Scontro di Civiltà 2 | Megachip
Top

Scontro di Civiltà 2

Molti intellettuali vicini alle stanze dei bottoni dell'Impero persistono nell'insegnamento di teorie che sono state negate dai fatti. Ecco le prossime tappe della loro applicazione [T. Meyssan]

Scontro di Civiltà 2
Preroll

Redazione Modifica articolo

9 Ottobre 2017 - 10.50


ATF
 
«Sotto i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°260
di Thierry Meyssan.
 
Da 16 anni in qua, parecchi dibattiti hanno agitato gli esperti di politica internazionale al momento di determinare gli obiettivi della strategia statunitense. È ovviamente più facile risolvere la questione dopo questo periodo anziché all’inizio. Eppure pochissimi l’hanno fatto e molti persistono nell’insegnamento delle teorie che sono state negate dai fatti. Sulla base delle conclusioni di questo dibattito, Thierry Meyssan ricorda il passo successivo previsto per le forze armate USA secondo i loro teorici prima di questo periodo; un passo che potrebbe essere presto messo in opera.
 
DAMASCO (Siria)  –  Le forze che hanno pensato e pianificato l’annientamento del “Medio Oriente allargato” consideravano questa regione come un laboratorio in cui sarebbero andati a testare la loro nuova strategia. Se nel 2001 esse annoveravano i governi degli Stati Uniti, del Regno Unito e di Israele, hanno poi perso il potere politico a Washington e ora perseguono il loro progetto economico-militare attraverso le multinazionali private.
Hanno escogitato la loro strategia attorno alle opere da una parte dell’ammiraglio Arthur Cebrowski e del suo assistente Thomas Barnett al Pentagono, e dall’altra parte di Bernard Lewis e del suo assistente Samuel Huntington presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale [1].
Il loro obiettivo consiste tanto nell’adattare il loro dominio agli sviluppi tecnici ed economici contemporanei quanto estenderlo agli ex paesi del blocco sovietico. In passato, Washington controllava l’economia mondiale attraverso il mercato energetico mondiale. Per fare questo, ha imposto il dollaro come valuta per qualsiasi contratto petrolifero, minacciando con la guerra chiunque disobbedisse. Tuttavia, questo sistema non poteva durare con la sostituzione parziale del gas russo, iraniano, del Qatar – e presto del gas siriano – in luogo del petrolio.
Unendosi con l’origine criminale di una gran parte dei coloni statunitensi, queste forze immaginavano di dominare i paesi ricchi imponendo loro di pagare il pizzo: per poter avere accesso non solo alle fonti energetiche fossili, ma anche alle materie prime in generale, gli Stati stabili (compresi gli ex sovietici) dovrebbero cercare la “protezione” delle forze armate statunitensi e, accessoriamente, quella del Regno Unito e di Israele.
Per fare questo, basta dividere il mondo in due, globalizzare le economie solvibili e distruggere qualsiasi capacità di resistenza nel resto del mondo.
Questa visione del mondo è radicalmente diversa da quelle prevalenti nell’Impero britannico e nel sionismo. Questo cambio di paradigma poteva essere messo in pratica solo con una forte mobilitazione a seguito di uno shock psicologico, una «nuova Pearl Harbor»: quel che fu l’11 settembre.
Se questo progetto appariva delirante e crudele, 16 anni dopo possiamo osservare sia il fatto che è effettivamente in corso di realizzazione sia che incontra degli ostacoli inattesi.
La globalizzazione economica dei paesi solvibili era quasi completa quando uno di essi, la Russia, si è opposta militarmente alla distruzione delle capacità di resistenza in Siria e poi all’integrazione forzata dell’Ucraina nell’economia globale. Washington e Londra hanno quindi ordinato ai loro alleati sanzioni economiche contro Mosca. Così facendo hanno interrotto il processo di globalizzazione dei paesi solvibili.
Lanciando il suo progetto delle “Vie della seta”, la Cina ha investito considerevolmente in paesi destinati alla distruzione. Le forze che promuovono la “nuova mappa del mondo”, hanno risposto con la creazione di uno stato terrorista che tagliava l’antica via della seta in Iraq e in Siria, e trasformando il conflitto ucraino in guerra, interrompendo così il tracciato originale della seconda Via della seta.
Queste forze stanno attualmente mirando a estendere il caos a una seconda regione, il Sud-Est asiatico. È proprio di là che i jihadisti sembrano migrare secondo il comitato anti-terrorismo delle Nazioni Unite [2].
In tal modo, queste forze circoscrivono gli eventi 2012-16 al Medio Oriente, senza pregiudicare una guerra o meno intorno ai curdi, intanto che preparano la devastazione del sud-est asiatico. Questa sarebbe la seconda tappa dello “scontro di civiltà”: dopo quella tra i musulmani e i “giudeo-cristiani” (sic) [3], ecco i musulmani contro i buddisti.
 
NOTE
[1] Network Centric Warfare: Developing and Leveraging Information Superiority, David S. Alberts, John J. Garstka & Frederick P. Stein, CCRP, 1999. The Pentagon’s New Map, Thomas P. M. Barnett, Putnam Publishing Group, 2004. «The Roots of Muslim Rage», Bernard Lewis, Atlantic Monthly, september 1990. «The Clash of Civilizations?» & «The West Unique, Not Universal», Samuel Huntington, Foreign Affairs, 1993 & 1996; The Soldier and the State & The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, Samuel Huntington, Harvard 1957 & Simon and Schulster 1996.
[2] «L’Islam politico contro la Cina», di Thierry Meyssan, Megachip, Rete Voltaire, 4 ottobre 2017.
[3] L’espressione giudeo-cristiani designava esclusivamente fino agli anni ’90 la comunità degli ebrei che si convertì al cristianesimo al seguito di San Giacomo; una comunità che è stata sciolta dopo il sacco di Gerusalemme da parte dei Romani. Tuttavia, poiché i cristiani occidentali continuavano a dare un ruolo molto importante all’Antico Testamento nella loro pratica, spesso senza rendersene nemmeno conto difendevano punti di vista ebraici anziché punti di vista cristiani. Al contrario, i cristiani dell’Oriente, fedeli alla tradizione dei loro predecessori, raramente si riferiscono alle scritture ebraiche e si rifiutano di leggerle durante l’Eucaristia.
 

Pubblicato dal quotidiano Al-Watan (Siria).

Traduzione a cura di Matzu Yagi.
Native

Articoli correlati