Ghirri: voce del verbo vedere

«Capire, leggere e interpretare le immagini è come leggere o ascoltare un discorso: se non ne conosciamo la lingua per noi è incomprensibile. Bisogna partire dall’alfabeto ...». [Rita Iacomino]

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20 Agosto 2013 - 17.25


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di Rita Iacomino

Ecco che la realtà si confonde con le nostre proiezioni, natura e artificio mescolandosi formano una complessità illeggibile, il nostro sguardo annega nell’indecifrabile o soggiace al luogo comune visivo. Acquisire la consapevolezza delle leggi che regolano la visione, ci permette di affrontare le immagini, l’immagine del mondo.

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Nell’ottima mostra allestita al [url”Maxxi”]http://www.fondazionemaxxi.it/[/url] l’opera fotografica di Luigi Ghirri ha, tra gli altri, il merito di guidarci in un’esperienza educativa del vedere. Che il vedere sia frutto di processi fisiologici e psicologici insieme, lo sappiamo dagli studi sulla percezione visiva (Kanitzsa, Gregory, tra gli altri) i quali con metodologie e sviluppi differenti dimostrano quanto l’atto del guardare sia un processo implicante fortemente la soggettività. Vedere è anche ricordare, è anche un fatto affettivo, e può certamente essere un atto conoscitivo.

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Capire, leggere e interpretare le immagini è come leggere o ascoltare un discorso: se non ne conosciamo la lingua per noi è incomprensibile. Bisogna partire dall’alfabeto, dai singoli segni elementari, svelare le leggi che regolano i rapporti tra i vari elementi, svelarne il funzionamento, la sintassi. L’opera fotografica di Ghirri ha questo forte intento metalinguistico.

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Una delle principali leggi percettive riguarda ad esempio i rapporti che intercorrono tra figura e sfondo, in base alla quale su un campo visivo uno o più elementi che si distaccano da un insieme indeterminato assumono lo statuto di figure mentre il resto del campo arretra e diventa sfondo. Si tratta di un fatto complesso, qui troppo esemplificato ma sul quale è sorta la lunga diatriba tra astrazione e figurazione che ha attraversato il secolo scorso e forse mai risolta.

In molte immagini fotografiche di Ghirri l’indeterminatezza ci interroga su cosa sia sfondo e cosa figura in un’alternanza che l’occhio per ragioni fisiologiche e psicologiche accetta solo per un tempo brevissimo. Siamo costretti a scegliere cosa vedere, decidere priorità percettive. Il frequente ricorso dell’artista fotografo a tassellature spaziali o alle cosiddette immagini di controscambio, induce nell’osservatore una riflessione, un surplus di attenzione. Ghirri lavora sullo spaesamento dello sguardo permettendoci di accedere a un livello profondo dell’esperienza visiva.

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Di una semplicità disarmante dal punto di vista tecnico le fotografie di Ghirri raggiungono un’altissima misura poetica funzionando come macchine di senso, e agiscono potentemente sulla memoria, sembrano reperti di un nostro mondo infantile, apparentemente semplici trasportano invece un carico di ambiguità.

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Perché le immagini sono illusioni, il vero non più scindibile dal verosimile.

Un lavoro affascinante che ricorda nel metodo, nell’intento, quello impressionista. Ghirri fa con lo scatto fotografico quello che i pittori della luce e del colore hanno fatto con il pennello. Non a caso dall’operazione impressionista abbiamo tratto una prima grande lezione decostruttiva dell’immagine (e penso a Cezanne) che ha avuto le note conseguenze, passando per il cubismo, sull’arte contemporanea. Decostruire un’immagine è evidenziarne il meccanismo, trovare la struttura che regge “la rappresentazione”.

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C’è inoltre un armamentario di specchi vetri e riflessi nonché l’uso di reticoli grate e tassellature che ancora una volta, rendendo lo spazio rifratto e geometricamente rarefatto, infinito e bidimensionale, avvicina il fotografo ai pittori impressionisti. Naturalmente si tratta di suggestioni, l’opera di Ghirri presenta punti di tangenza con buona parte della riflessione artistica contemporanea (penso a Kosuth e ad alcune esperienze di Land Art) e a ritroso con le avanguardie storiche.

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Nelle fotografie ospitate al Maxxi, divise in tre grandi filoni tematici, si snoda un percorso che partendo dall’osservazione di oggetti/soggetti artificiali in perfetta osmosi con il paesaggio urbano o naturale giunge alle fotografie di “Paesaggi” e alla sezione “Architetture”. Non c’è monumentalità, le cose umane e quelle naturali giacciono su un unico piano, in una loro sconcertante evidenza, nel silenzio, senza tempo.

Guardando queste immagini si avverte come un’assenza, un certo distacco dalla cosa osservata, lo sguardo è sempre un po’ in basso quasi dovesse passare attraverso un bagno purificante e ridiventare infantile. Messaggi di carta da un mondo illusorio colto sul punto di sparire per sempre, fragili come ricordi di cose appena intraviste e pronte a rituffarsi nell’oblio.

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