La crisi, il buio

Teatro: “Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni”, di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini. Presentato in prima nazionale al Palladium di Roma. [Matteo Brighenti]

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15 Novembre 2013 - 09.56


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di Matteo Brighenti

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Il suicidio è l’affermazione di una negazione. Non posso, non devo, non voglio andare avanti. Mi fermo qui. Basta. Per me è troppo. Daria Deflorian e Antonio Tagliarini con [i]Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni[/i], presentato in prima nazionale al Palladium di Roma per [url”Romaeuropa Festival”]http://romaeuropa.net/festival.html[/url], fanno lo stesso al teatro, lo suicidano: non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo interpretare la crisi economica greca intorno e – soprattutto – dentro le salme di quattro donne, pensionate, che si sono tolte volontariamente la vita con barbiturici e vodka.

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La rappresentazione scenica è un’arma spuntata, non riesce più a dare la vita per la morte, a restituire gli occhi chiusi, il buio e poi il riposo inseguito oltre la sofferenza di r-esistere. Su un palcoscenico, al massimo, si può discutere dei dubbi irrisolti, delle difficoltà insormontabili, di tutti quegli inciampi che hanno portato alla decisione di non mettere in scena lo spettacolo. Una combinazione dissacrante e intima, ironica e precaria del talento di non riuscire a fare niente né a essere nessuno.

Tolto il testo, rimane allora il pre-testo, “lo sfondo”, lo chiamano Deflorian e Tagliarini, “la Storia quella con la esse maiuscola”. Le quattro donne suicide, però, non sono mai esistite. Sono l’invenzione letteraria di Petros Markaris, scrittore greco che usa il romanzo giallo per raccontare il presente di un Paese vilipeso dalla crisi. [b]L’esattore [/b](Bompiani, 2011) si apre sull’immagine di loro che si tolgono la vita, una scelta ponderata e rivendicata con un biglietto di spiazzante semplicità:

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“abbiamo capito che siamo di peso allo Stato, ai medici, ai farmacisti e a tutta la società. Quindi ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni. Risparmierete sulle nostre quattro pensioni e vivrete meglio.

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Nonostante siano personaggi di carta come Amleto o Antigone, le quattro donne anziane sono comunque irrappresentabili perché in scena non si sentono i rumori di Atene né si vedono le serrande abbassate dei negozi con sopra il cartello “affittasi”: la Grecia vera, insomma, non c’è, ci sono solo tre sedie, un tavolo, una bottiglia, quattro bicchieri e quattro carte d’identità. Su un palcoscenico spoglio come una lapide senza fiori gli attori guardano quindi a se stessi che immaginano questo singolare suicidio collettivo contro la crisi in un modesto appartamento di periferia, racchiuso tra il momento in cui prendono i sonniferi e quello in cui muoiono.

Il fatto che le figure del romanzo di Markaris siano quattro donne e che in scena, invece, ci siano due donne e due uomini dimostra che il problema dell’identificazione con il personaggio non dipende dal genere o dalla costituzione fisica, ma dalla situazione in cui essa viene cercata, cioè in teatro: davanti a un pubblico, che ha pagato un biglietto, tutto è recitato e perciò falso.

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In Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni, infatti, a Deflorian e Tagliarini si aggiungono Monica Piseddu e Valentino Villa. Non essere più soli ha aperto nuove zone di confronto con lo spazio, la qualità del silenzio e dell’ascolto, per questo duo con base a Roma (nati entrambi come interpreti, lei attrice, lui attore e danzatore) che da quando nel 2008 ha iniziato a collaborare creando e curando la regia di spettacoli, installazioni, letture teatrali e performance, ha puntato a ridefinire la recitazione, l’immedesimazione e la distanza critica verso il personaggio.

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Questo nuovo momento di un percorso di ricerca coerente e determinato ha mosso i primi passi a [url”Perdutamente”]http://www.teatrodiroma.net/adon.pl?act=doc&doc=1984[/url], la factory di 18 compagnie romane chiamate da Gabriele Lavia per il Teatro di Roma che si è svolta al Teatro India tra giugno e dicembre 2012 e si lega al precedente [b][url”Reality”]http://doppiozero.com/materiali/scene/reality-inequilibrio[/url][/b] che toglieva gli oggetti utilizzati nel parallelo rzeczy/cose per dare forma alle migliaia di piccole incombenze quotidiane registrare minuziosamente sui suoi quaderni da Janina Turek, casalinga di Cracovia.

Della instabilità politica, della precarietà economica, dei mutamenti sociali in Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni rimangono le esperienze personali che si sommano ai fallimenti della rappresentazione, quasi una prova aperta di attori che parlano come se rispondessero a domande che loro stessi si sono fatti. I pensieri non li portano da nessuna parte, allora provano con il corpo, ma è un’altra astrazione ancora, una parrucca senza volto, guanti e gonna neri che si annullano sul fondo. Parole, parole, parole. Le parole sono gli unici nodi che li tengono stretti a questo nostro tempo cinico e avaro.

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Peraltro, i “suicidi della crisi”, nati come una provocatoria finzione nel romanzo di Markaris, sono diventati una dolorosa realtà, in crescita sia in Grecia che in Italia. Valentino Villa racconta della famiglia suicida di Civitanova Marche, anche loro hanno lasciato il messaggio: “perdonateci”. Questa non è più un’immagine di romanzo, la realtà si è fusa con la sua rappresentazione e dunque bisognerebbe replicare la vita, ma è impossibile: morire si muore una volta sola.

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Quel che si può fare è restituire la dignità di atto politico a una rinuncia esistenziale, a un rifiuto della [b][url”società della stanchezza”]http://www.doppiozero.com/materiali/contemporanea/una-stanchezza-che-cura[/url][/b], come l’ha definita il filosofo Byung-Chul Han (altra fonte dello spettacolo), per sanare la commozione facile, il sorriso stereotipato delle relazioni sociali, le ricette per sopportare le ingiustizie che ci tocca tanto ricevere quanto fare. Sul palco risuonano allora gli esempi dei “suicidi altruistici” del praghese Jan Palach e del monaco vietnamita Thich Quang Duc.

“Posso disperarmi?” chiede alla fine di tutto Antonio Tagliarini. Posso essere sincero qui, davanti a voi, almeno stasera? La risposta se la prende il buio che gli mangia prima la faccia poi tutto il corpo. Questo è il teatro che c’è, che è possibile oggi. Un cumulo di silenzio nero che chiude la bocca a esseri che per restare umani scelgono di morire.

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L”opera è in scena da sabato 16 a lunedì 18 novembre al [url”Pim Off”]http://www.pimoff.it/deflorian-tagliarini-2/[/url] di Milano.

Foto copertina: © Futura Tittaferrante.

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