Il mio successo a New York? Impensabile a Roma

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26 Settembre 2010 - 19.25


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di Benedetta Fallucchi ilfattoquotidiano.it.

Andrea Del Monte è arrivato nella Grande Mela da migrante, “con due valige e molta determinazione”, dopo anni di difficoltà professionali nel nostro Paese. Ora il suo ristorante è recensito dal New York Times: “Un percorso impossibile da noi”.

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All”Italia, e a Roma, la sua città, paga un affettuoso tributo: il nome del locale. Campo de” fiori: così si chiama il ristorante che Andrea Dal Monte, 42enne con la faccia da ragazzino, ha aperto a New York solo due mesi fa.

A riprova che l”American way of life non è solo mitologia, il ristorante è già finito sul New York Times. “Credo sia la prima volta che un locale viene recensito sul New York Times così a ridosso della data di apertura”, confessa orgoglioso Dal Monte. Il frutto di un duro lavoro, certo, ma anche “qualcosa di impensabile in Italia”.

La sua è una delle sempre più numerose storie di frustrazione italiana che si tramutano in un successo all”estero. Dal Monte lascia l”Italia perché è arrivato all”esasperazione in tutti i contesti professionali in cui ha lavorato. Nel suo caso sono principalmente due: il cinema e la ristorazione. Per circa 10 anni è alla Cecchi Gori come ufficio stampa e come sceneggiatore. Scrive diverse sceneggiature (una di queste probabilmente entrerà in fase di produzione quest”anno, “dopo solo 6 anni!”, commenta lui caustico), fa il ghost-writer per i comici più famosi d”Italia, all”epoca nella scuderia Cecchi Gori. “Ma loro non lo ammetteranno mai, mai farebbero pubblicità a un giovane sceneggiatore”. Perché, spiega, il modello italiano è questo: “Tu vieni succhiato, le tue competenze vengono sfruttate, ma tu non devi mai figurare”. Poi la fine della Cecchi Gori: “Allora mi sono accorto che il cinema italiano era morto”.

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Il numero di film prodotti cala verticalmente di anno in anno, c”è un crollo del settore privato, sopravvive solo chi si accaparra i finanziamenti pubblici e mantenersi come sceneggiatore è un”utopia. Il mercato è talmente stretto e soffocante che conviene cambiare ambito. Meglio se muniti di una seconda passione. Così Dal Monte si lancia nella ristorazione. Nel 2004 insieme ad alcuni soci apre un ristorante a Trastevere, lo lascia nel 2006 e ne fonda un altro nel 2008, che presto si guadagna la prima stella Michelin. Ma anche la vita da imprenditore in Italia si rivela un incubo: si è costantemente soggetti a balzelli, a lungaggini burocratiche snervanti, a controlli che spesso, dice Dal Monte, seguono la logica del pizzo. Da qui a decidere di andarsene il passo è brevissimo.

Nel 2008 sbarca a New York con sua moglie come il più classico dei migranti: munito solo di due valigie e della sua determinazione. Per due mesi dormono letteralmente per terra perché non possono comprare il mobilio, però il lavoro arriva subito: prima in un ristorante italiano di Manhattan, poi, come manager e sommelier, nella Mecca dei ristoranti italiani a New York: il Del Posto. Infine, la scelta di mettersi in proprio. E il successo immediato – grazie al più famoso food blogger americano che si incuriosisce e scrive un post sul nuovo locale dopo aver spulciato tra gli annunci di Craiglist e aver trovato quello di Dal Monte che cerca personale. Poi tutti gli altri giornali, fino al New York Times. “That”s America”, chiosa divertito Dal Monte: “La differenza con l”Italia è che qui il tuo unico limite sei tu, in Italia il limite è ambientale”. E affidarsi alle regole nel Belpaese non paga, visto che c”è sempre chi sa come vincere senza nemmeno gareggiare.

Nostalgia? “Nessuna. L”ultima volta che sono stato a Roma ho trovato molti negozi chiusi e un”atmosfera cupa, triste, di insoddisfazione. È il Paese più bello del mondo, ma farò come gli americani: solo in vacanza”.

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Fonte: www.ilfattoquotidiano.it.

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