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Nel 1996 Jacques Delors (già Presidente della Commissione Europea) cura il volume, diventato poi un punto di riferimento per le politiche educative europee, “Nell”educazione un tesoro” (1). Sotto la guida di Delors la Commissione ha ribadito il ruolo centrale della “conoscenza” ed ha reso esplicita l”idea secondo la quale l”educazione per tutta la vita si fonda su quattro aspetti fondanti: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme e imparare a essere. In sostanza per la Commissione Europea la conoscenza ed i processi di apprendimento vanno considerati in un ottica Life Long (lungo tutto il corso della vita) e Life Wide (la conoscenza si produce e si apprende in infiniti contesti sia formali – scuola, università , centri di formazione -, sia informali – luoghi di lavoro, web, etc. – ).
Queste riflessioni sono poi state la base della cosiddetta “strategia di Lisbona”. In occasione del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, i capi degli Stati o dei governi dei paesi UE hanno proposto un quadro strategico, la suddetta strategia “di Lisbona”, con lo scopo di fare dell”Unione europea “l”economia più competitiva del mondo e di pervenire alla piena occupazione entro il 2010″. La strategia si muoveva su 3 pilastri concettuali e di azione: un pilastro economico, un pilastro sociale, un pilastro ambientale.
La questione dell”education (intendendo con education tanto l”istruzione formale, quanto la formazione professionale e l”apprendimento informale) era centrale in tutti e tre i pilastri. In sostanza (scontando una visione in buona parte economicistica e probabilmente troppo meccanica) una popolazione “ben formata” rappresentava un vantaggio in termini di migliore capacità competitiva; allo stesso tempo una maggiore istruzione media avrebbe comportato una più elevata coesione sociale ed indirettamente una maggiore consapevolezza individuale e collettiva (anche relativamente alle tematiche ambientali proprie del terzo pilastro).
In pratica l”education era una chiave passepartout che avrebbe permesso agli individui ed alla società di migliorarsi continuamente. Proprio sulla base della “strategia di Lisbona”, si comincia a pensare alla Comunità Europea come ad un sistema integrato (non tenendo forse ben in conto la resistenza delle caratteristiche e delle vocazioni nazionali) che configurasse una società “connessa” (non solo in senso informatico tramite il supporto del web) in cui la circolazione libera dei beni e delle persone avrebbe dato vita ad una “società della conoscenza”.
Gli obiettivi, in termini di misurazione, che venivano posti per lo sviluppo dei sistemi educativi erano alti: netta diminuzione degli abbandoni scolastici, crescita del numero dei diplomati e dei laureati, miglioramento delle competenze (quindi non solo di quanto “certificato” dal titolo di studio ma piuttosto di quanto i soggetti sono in grado di comprendere e fare), etc.
Inutile in questa sede dire che molti di questi obiettivi non sono stati raggiunti (cosa ancor più vera per l”Italia). Le mie domande sono: cosa resta oggi dell”idea di società della conoscenza? Cosa è accaduto, soprattutto in Italia, in questi ultimi dieci anni che ha reso quegli obiettivi un miraggio irraggiunto?
A ben vedere si ha l”impressione che la tanto decantata ed auspicata “società della conoscenza” abbia subito almeno tre tradimenti (se ne potrebbero individuare almeno altrettanti): il primo è un tradimento da parte delle istituzioni in termini di politiche (nel senso inglese di policies, quindi di specifiche azioni legislative e di intervento) e di deficit di implementazione; il secondo è un tradimento da parte degli stessi sistemi sociali che sarebbero dovuti essere allo stesso tempo soggetti ed oggetto di cambiamento nella società della conoscenza; il terzo è un tradimento da parte del sistema politico (intendendo per sistema politico la Politica, nel senso inglese di Politic). A mio parere questi tre tradimenti sono avvenuti in molti degli stati dell”UE, ma vorrei concentrare l”attenzione sul caso italiano.
Il tradimento da parte delle istituzioni si sostanzia in una incapacità di trasformare in pratica, quindi in specifiche azioni di policies, le indicazioni provenienti dalla strategia di Lisbona. Il primo decennio del nuovo secolo è stato, sul piano dei sistemi educativi, un periodo di riforme continue, talvolta contraddittorie, spesso sovrapposte (2). I dati (per esempio quelli forniti dall”OCSE tramite l”indagine OCSE-PISA e gli indicatori di “Education at a glance”) mostrano come né l”efficacia né l”equità del sistema educativo italiano siano migliorate. Il nostro è un paese in cui cospicue fasce sociali – quelle più deboli, ovviamente – sono tuttora penalizzate in termini di probabilità di accesso e riuscita rispetto all”acquisizione di un titolo di studio medio-alto (3). Se poi spostiamo il nostro sguardo dal sistema educativo formale al non formale ed all”informale, vedremo che i canali di formazione professionale, permanente e continua sono canali secchi: poco sviluppati (rispetto alla media UE) e con risultati contradditori in termini competenze apprese dai soggetti e in termini di potenziale occupazionale (o di miglioramento di carriera) prodotto.
Il tradimento da parte del sistema sociale è immediatamente visibile in almeno due aspetti. Il primo è una bassissima mobilità sociale (tradimento dovuto a una serie di meccanismi invisibili e prodotti dalla combinazione delle singole azioni individuali). In Italia non conta solo avere un certo titolo di studio (o un certo livello di competenze) per accedere ad una data posizione occupazione o classe sociale (4); spesso contano i fattori di ereditarietà sociale e di accesso a network sociali che veicolano privilegi informativi e posizionali (“società della conoscenza” vs “società delle conoscenze“?).
Questa situazione produce uno spreco immenso di “conoscenza” e soprattutto produce insoddisfazione e senso (più che comprensibile) di ingiustizia in quanti vivono l”esperienza (spesso vissuta individualmente e “solitariamente”) di un potenziale di mobilità sociale congelato da un sistema di disuguaglianze e blocchi all”accesso prodotti da corporazioni formali ed informali.
Il secondo è una scarsa consapevolezza/capacità di attivarsi in movimento dal basso per rivendicare il diritto all”istruzione ed a un sistema sociale più giusto. Con questo non voglio assolutamente sostenere che non ci siano stati negli ultimi dieci anni grandi mobilitazioni ma piuttosto penso che tali mobilitazioni siano state spesso contestuali, sporadiche e forse non numericamente sufficienti. Poi, laddove c”è un”attivazione concreta essa si scontra spesso con il terzo tradimento.
Ed il terzo tradimento è quello operato da parte del sistema politico. Esso si sostanzia in un uso puramente retorico se non proprio affabulatorio dell”idea di “società della conoscenza” (fenomeno bipartisan, purtroppo), in una scarsa capacità propositiva/concreta (e in ciò esso si riconnette al primo dei tra “tradimenti”) e di cogliere le istanze dal basso e, infine, da una sostanziale incapacità di fornire un disegno chiaro che funga da base a politiche di medio raggio.
Stanti questi dati e queste analisi, a parere di chi scrive, sarebbe necessario ripartire dagli obiettivi di Lisbona con energia (e mezzi) ma soprattutto con una consapevolezza diverse. L”istruzione, la formazione, il Life Long Learning, sono le basi per godere dei diritti di cittadinanza; ma essi sono allo stesso tempo mezzo di cittadinanza e diritto di cittadinanza. La nuova sfida si gioca quindi non solo sul piano della competitività ma sul piano dell”equità e dell”efficacia dei sistemi dell”education (e di quello italiano in primis). Il passo necessario da fare per il futuro è quello di passare, quindi, dalla retorica della “conoscenza” alla pratica della “conoscenza”, senza abbassare la guarda nei confronti di vecchi e nuovi tradimenti.
Parole chiave: Education, scuola, formazione, conoscenza, disuguaglianze
Riferimenti
(1) Delors J., “Nell”educazione un tesoro” (Armando, Roma, 1996)
(2) Benadusi L., Giancola O., Viteritti A., “Scuole in azione tra equità e qualità ” (Guerini, Milano, 2008)
(3) Giancola O., “Performance e diseguaglianze in educazione” (ScriptaWeb, Napoli, 2009)
(4) Checchi D. (a cura di), “Immobilità diffusa” (Il Mulino, Bologna, 2010)
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