'L''università delle cupole e il nuovo movimento'

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11 Gennaio 2011 - 23.17


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Intervista di Chiara Orsolini a Domenico Fiormonte, ricercatore in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l”Università di Roma Tre.

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Possiamo tracciare una breve storia del movimento contro la riforma? Da chi è nato e come si è sviluppato?
Io mi definisco un ricercatore indisponibile e insieme a molti colleghi di Roma Tre aderisco alla Rete 29 Aprile (www.rete29aprile.it). La protesta contro il Ddl Gelmini è partita da noi e in autunno si è saldata al movimento studentesco. Per questo conosco molto bene gli studenti che hanno svolto un ottimo lavoro di analisi e divulgazione dei documenti della riforma all”interno delle facoltà. Un impegno che, tranne trascurabili eccezioni, è stato completamente ignorato sia dai media sia dalle istituzioni.

In molti casi, anche all”interno delle facoltà ostili alla riforma, ci sono stati episodi di contrasto e ostruzionismo nei confronti della protesta. Va detto infatti che la maggioranza dei rettori, all”inizio, si è schierata a favore del Ddl e ciò ha provocato tensioni. Tornando ai media, hanno scoperto la protesta a metà dicembre, ma le manifestazioni sono partite almeno due mesi prima: in quel lasso di tempo sono state decine le iniziative, senza alcun incidente. E il governo come ha reagito? Insultando e deridendo gli studenti. I ministri Gelmini-Tremonti hanno inizialmente elargito la miseria di ottocento milioni al sistema per poi, dopo il 14 dicembre, arrivare fino a un miliardo. Quando in realtà il taglio di fondi previsto dalla legge 133 era stato di 1350 milioni.

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Durante le manifestazioni a Roma, Londra e Atene sono stati molti gli episodi di vandalismo e gli atti di violenza. E” giusto parlare di violenza politica, come ha asserito Alemanno, motivando una linea dura contro i manifestanti?
Il movimento nella sua maggioranza è contro la violenza. Lo ha capito il Presidente della Repubblica, che non si è barricato dietro le zone rosse ma li ha ricevuti al Quirinale. Purtroppo la gerontocrazia che governa gli atenei non ha avuto il coraggio di dire ciò che è sotto gli occhi di tutti: l”università pubblica, la ricerca e l”istruzione per questa classe politica non sono una risorsa ma una malattia da estirpare. E” da questa constatazione che parte la rabbia. Non è una rabbia di pochi. Il collettivo ”Carlo Giuliani” di Genova ha risposto a Saviano: “Quei ”50, 60 imbecilli”, in realtà erano diverse centinaia di persone, adirate contro una politica del malaffare e della corruzione”. Questo è il punto. Gli studenti pensano – e io credo che abbiano ragione – che la vera violenza si annidi nelle oligarchie assise nelle istituzioni, nei media e nelle banche e non accettano che lo Stato si indebiti per salvarle per poi presentare il conto alla società. Cioè a loro. Quanto ad Alemanno, tralasciando gli scandali della sua parentopoli, andrebbe ricordato che negli anni Settanta è stato arrestato tre volte, in seguito a tre ipotesi accusatorie: colpi di spranga contro un ragazzo, lancio di una molotov contro l”ambasciata dell”Urss e resistenza a pubblico ufficiale. Ogni volta, poi, è stato prosciolto. Da quale pulpito invoca il pugno duro contro i manifestanti?

Che cosa cambierà, con la riforma, per le famiglie che intendono mandare i figli all”università?
Uno degli obiettivi principali di questa riforma, come delle precedenti, varate anche dal centro sinistra, è indebolire la qualità dell”università pubblica, in modo da creare un robusto circuito per la formazione privata. Le famiglie dovrebbero essere molto preoccupate, perché il governo sta scaricando su di loro i costi sociali ed economici delle sue scelte ottuse. Ricordiamoci che l”istruzione è uno dei grandi business del nostro tempo (in Usa è un settore da più di 300 miliardi di dollari l”anno): da decenni si tenta di costruire un sistema iniquo con (poche) università di serie A, B e possibilmente C. Sia chiaro: questa non è un”idea solo italiana. In Francia e Regno Unito, per esempio, la formazione universitaria segue logiche di serie A e serie B, pensiamo a Oxford e Cambridge, due giganti la cui eccellenza è pagata a peso d”oro: quasi un terzo di tutti i finanziamenti pubblici assegnati al sistema universitario viene dirottato su quei due atenei. La differenza con il resto d”Europa e gli Usa, però, consiste nel fatto che i governi di quei Paesi investono molto di più in istruzione e ricerca rispetto all”Italia (in media i Paesi Ocse investono il 5,7% del Pil, mentre l”Italia il 4,5%). E comunque i loro sistemi di eccellenza sono finanziati interamente dallo Stato. Solo la Gelmini può sostenere che riducendo i finanziamenti possa migliorare qualcosa.

Oltre dei tagli ai finanziamenti, la ministra Gelmini dichiara spesso che il suo intenti sarebbe quelli di eliminare le gerarchie universitarie e i cosiddetti ”baroni”. Qual è il suo punto di vista in merito?
Come sostiene il coordinamento dei professori associati (www.professoriassociati.it) l”effetto combinato del blocco del turn over, dei pensionamenti, che ridurranno pesantemente il numero di ordinari, accanto all”esclusione di ricercatori e dei professori associati dalle commissioni di concorso e alla precarizzazione del ruolo dei ricercatori stessi, produrrà esattamente l”effetto contrario: la concentrazione in mano a pochi ordinari del potere decisionale. Dunque il ritorno alle baronie. Il testo della riforma è molto chiaro: i ”padroni” dell”università diventeranno i consigli di amministrazione, mini-cupole composte da non più di undici membri (prima erano una ventina), di cui almeno tre “esterni”, ovvero provenienti dal mondo delle professioni e dell”impresa. Per i ricercatori non è prevista alcuna rappresentanza.

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I privati avrebbero potere decisionale negli organi di dirigenza dell”Università pubblica. Con quali conseguenze?
Questa apertura dei CdA ai privati appare non solo pretestuosa, perché da sempre i privati collaborano con l”università (pensiamo ai politecnici), ma rischia di produrre effetti perversi di tipo clientelare. In quale altro Paese occidentale i privati entrano nell”università senza sborsare un centesimo? Qualcuno dice che si tratta di un regalo a Confindustria. Peggio: questo passaggio, come altri, è stato proprio scritto da Confindustria. La prova filologica è stata fornita da tempo: l”associazione confindustriale TreeeLLLe, presieduta da Attilio Oliva, ex vicepresidente della Luiss, a partire dal 2003 ha pubblicato una serie di “Quaderni” nei quali è possibile rinvenire l”editio princeps di questo scellerato disegno (vedi http://percorsopergatti.blogspot.com/2010/12/da-dove-viene-la-riforma-gelllmini.html). La Gelmini, in linea con il suo passato di studentessa mediocre, ha copiato. Come sorprendersi perciò che in un Ddl così partorito vengano ridotti gli spazi di democrazia, già molto scarsi in accademia? Con la scusa di avvicinare l”università al mondo del lavoro, la Gelmini permette a soggetti privati di condizionare direttamente gli indirizzi di ricerca e la didattica: si pensi che il CdA avrà il potere di proporre la chiusura dei corsi di laurea “improduttivi”. E il Senato accademico, l”altro organo di autogoverno dell”ateneo, potrà esprimere solo un parere.

Molti studenti fino ad oggi hanno potuto studiare grazie alle borse di studio. Il ddl Gelmini invece introduce un “prestito d”onore”. Ci può spiegare come funziona?
Ho sentito dire dalla ministra che il prestito d”onore funziona, “tant”è vero che ne ha usufruito anche Obama”. A parte il fatto che bisognerebbe domandare a lui, e a tutti gli studenti e le studentesse che si indebitano, quanto sia piacevole vivere con questa spada di Damocle sulla testa. La realtà è che il prestito d”onore trasforma lo studente in un”entità psicologicamente e materialmente subordinata a chi eroga il prestito (Stato, banche, fondazioni, ecc.). Questa subordinazione rende lo studente un soggetto meno libero di scegliere oltre che costantemente ricattabile. Quale studente-creditore infatti oserà ancora alzare la testa come accade in questi giorni? Spegnere lo spirito critico dei giovani ancora prima che si affaccino al mondo del lavoro è il vecchio sogno di ogni regime autoritario. Nello specifico del sistema italiano, come notava il ”Sole24 Ore” qualche mese fa, il prestito d”onore non riesce a partire sia perché nel nostro Paese vi è una forte resistenza culturale all”indebitamento, sia perché il disegno di legge prevede che il prestito venga restituito “a partire dal termine degli studi”. Nella nuova versione della legge approvata alla Camera, il testo sul Fondo per il merito è stato aggiunto: “Nei limiti delle risorse disponibili sul fondo, sono esclusi dall”obbligo della restituzione gli studenti che hanno conseguito il titolo di laurea con il massimo dei voti ed entro i termini di durata normale del corso”. L”espressione “nei limiti delle risorse disponibili” vuol dire che il Governo rimanda la palla delle risorse ai singoli atenei che, riuscendo a malapena a pagare gli stipendi, non potranno mai applicare questa norma.

Altro punto forte della riforma, secondo la Gelmini, riguarda il criterio della meritocrazia, in base al quale giudicare i meriti e difetti del personale universitario. Che cosa ne pensa?
La mia impressione è che il Governo, come gran parte del mondo politico, non sia in grado di rinunciare alle formule magiche e a modelli concettuali superati. I politici ripetono ossessivamente la parola “meritocrazia”. Come scrive la Rete 29 aprile, il termine meritocrazia ha una “forte valenza ideologica ed è privo di significato, se avulso dal dibattito scientifico internazionale sulla difficile definizione del merito scientifico (.). Limitarsi ad auspicare la ”meritocrazia” senza mettere le persone e le strutture da valutare in termini di merito, nelle condizioni di svolgere efficacemente la loro funzione è semplicemente privo di senso”.
L”Università, dunque, non ha bisogno di una riforma? In caso contrario, quali sarebbero gli aspetti da riformare e quali proposte ha avanzato la Rete 29 aprile?
L”università ha un disperato bisogno di riforme. Le proposte della rete sono online da mesi (www.rete29aprile.it/comunicati-stampa/le-proposte-di-riforma-della-r29a.html). Ne cito solo una: il ruolo unico della docenza, unico sistema per stroncare davvero le baronie. In pratica si eliminerebbe il problema alla radice, istituendo un ruolo unico per il docente inquadrato a tempo indeterminato. Eliminando i (livelli) di associato, ordinario, ricercatore, si eliminerebbe la maggioranza degli abusi di “casta”. Oggi un professore ordinario può trattare i ricercatori, precari e non, come se fossero sua proprietà privata. Col ruolo unico tutti potrebbero concorrere per le cariche istituzionali (presidente di corso di laurea, preside, rettore). Eventualità oggi impossibile. Come mai alla Gelmini non è mai passata per l”anticamera del cervello una proposta simile? Perché sono proprio i baroni gli unici rimasti a difenderla.

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In questa situazione di crisi globale del sistema economico e finanziario, quale è secondo lei il futuro dell”università?
Credo che l”università, come tutte le istituzioni moderne, sia al centro di una mutazione antropologica. Non è solo questione di maggiori investimenti e maggiori fondi per la ricerca, ma di capire che tipo di società vogliamo adesso. E” in atto una trasformazione nel modo di produrre e accedere alla conoscenza, ma scuola e università sono rimaste immobili. Gli studenti l”hanno capito e non lottano soltanto contro lo smantellamento di un”istituzione pubblica, ma per diffondere un”idea diversa di società e per difendere il valore di “bene comune” della conoscenza. Per questo la protesta non ha nulla a che vedere col ”68 o col ”77. All”epoca esistevano dei punti di riferimento politici chiari, a cominciare dalle rivoluzioni comuniste (Cina, Vietnam) o dalle esperienze di governi democratici ispirati agli ideali socialisti (Cile). Nulla di tutto ciò esiste oggi. Gli studenti sono l”alba del nuovo e allo stesso tempo sono chiamati a dargli forma.


Fonte: http://www.inviatospeciale.com/2011/01/istruzione-riforma-gelmini-quali-conseguenze/.

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