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Provate a pensare se un medico valutasse lo stato di salute di un suo paziente misurandogli solo la pressione arteriosa o la febbre; oppure se un ingegnere verificasse l”idoneità statica di un edificio occupandosi solo di fondazioni e pilastri, trascurando tutti gli altri elementi portanti. Cosa accadrebbe? Quali conseguenze ne deriverebbero? La valutazione in qualsiasi campo del sapere è attività complessa come complessi sono i fenomeni da valutare.Ora, tra il 10 e il 13 maggio prossimi, un campione rappresentativo della popolazione scolastica, dalle scuole elementari a quelle superiori, sarà sottoposto ai famigerati test Invalsi, quesiti con risposte multiple preconfezionate a cui apporre delle crocette; essi dovrebbero rappresentare lo strumento che il Ministero dell”Istruzione ha adottato per valutare gli apprendimenti e quindi il sistema-scuola.
Ma cosa c”è che non funziona in questi test? Per spiegarlo prendo a prestito l”immagine utilizzata da Bateson, che paragona i quiz, distribuiti a iosa nelle scuole e università americane, a sassi gettati a due pezzi di carta dalla stessa distanza, quello che viene colpito di più dovrebbe essere più grande dell”altro: se getti un sacco di domande agli studenti e colpisci più conoscenze in uno di loro, allora pensi che quello ne sappia di più.
Non si tratta qui di demonizzare i test, come strumento di valutazione, ma di capire se essi rappresentino il mezzo più adatto per cogliere il complesso mondo dei saperi, dei percorsi, delle strategie di apprendimento che la scuola mette in atto per svolgere al meglio il ruolo che la Costituzione le ha assegnato: essere uno strumento compensativo in grado di aiutare chi è più in difficoltà , permettere l”accesso a quel sapere sul sapere che è, scusate il bisticcio di parole, il sapere critico.
Ma forse la scuola dei quiz vuole solo ragionieristicamente misurare le cose che gli insegnanti “inculcano” o dovrebbero inculcare, secondo il nostro presidente-pedagogista. E così i test Invalsi da strumenti di valutazione si trasformano in strumenti di svalutazione: svalutazione degli apprendimenti ridotti a nozionismo, svalutazione degli insegnanti umiliati a fare i somministratori e tabulatori, come travèt di quart”ordine, svalutazione della scuola appiattita dal rullo compressore dei quiz che non possono rilevare né rispettare le asperità e le piccole o grandi tappe raggiunte nel percorso di crescita scolastica compiuto da ogni studente.
L”Invalsi però non si accontenta di banalizzare il lavoro scolastico, vuole anche frugare nella vita dei vostri figli, sapere con chi vivono, se i genitori sono separati, quali lingue o dialetti parlano a casa, il titolo di studio dei genitori, quanti libri sono presenti in casa e se hanno a disposizione una scrivania o una cameretta tutta per loro. Tutto in nome della ricerca, della scoperta di improbabili correlazioni, ovviamente nessun progetto di controllo di orwelliana memoria!
Come scriveva Aristotele nell”Etica Nicomachea “Non deliberiamo intorno ai fini, bensì intorno alle cose che riguardano i fini . come e attraverso quali mezzi li potremo realizzare”. Non metto in dubbio la necessità di una seria valutazione di sistema, ma è palese l”incongruità di una rilevazione standardizzata a crocette per valutare la complessità dei processi di apprendimento che la scuola pubblica, con sempre maggior fatica, tra tagli e pseudoriforme, cerca di attivare.
Di fronte a queste forme di misurazione e di controllo, anche della vita intima dei cittadini, bisognerebbe forse civilmente rispondere riprendendo ad usare lo strumento dell”obiezione di coscienza, rifiutandoci di mandare i figli a scuola nel giorno delle prove, rifiutandoci noi insegnanti di diventare mute comparse nel nostro ambiente di lavoro, impedendo che la scuola si trasformi in un quizzificio (perdonatemi l”orribile neologismo) per teste malfatte.
Trieste, 5 maggio 2011
Davide Zotti
professore di Filosofia e Scienze Sociali
del Liceo Statale “G. Carducci” di Trieste
Fonte: ReteScuole
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