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Sulla “Repubblica” dello scorso 5 ottobre compare, finalmente nelle pagine nazionali (e non, come spesso, nella cronaca romana), un articolo, a firma di Fabio Tonacci (Dall”Atac di Roma alla Sicilia l”assunzione è affare di famiglia; ecco la mappa di Parentopoli), che denuncia gli innumerevoli scandali delle assunzioni attuate su base familiare, dalle Alpi alla Sicilia; perché i leghisti sono in questo, come giustamente illustra Tonacci, del tutto alieni dal federalismo, e anzi dediti precisamente come gli altri allo sport nazionale più increscioso (e dannoso non solo per la reputazione del nostro collassato Paese, ma per la conseguente possibilità che vi avvengano investimenti dall”estero). Ho fatto un sobbalzo di positiva sorpresa quando ho visto, nella grafica che corredava l”articolo, il nome di Giacomo Frati, il figlio del rettore della “Sapienza”, chiamato al Policlinico Umberto I, come ricorda il fondino, dal direttore generale Capparelli, a sua volta nominato da Luigi Frati, cioè il padre (nonché ovviamente rettore) dell”assunto Giacomo.
I giornalisti colti (ci sono, e sono più di quanti si creda) sanno bene che alcune delle regole del loro mestiere non le hanno inventate loro, ma sono già tutte nei grandi trattati di retorica dell”antichità . Esse dicono, a esempio, che la disposizione delle parti del discorso riveste enorme importanza ai fini dell”incisività del discorso medesimo.
Anzi, quella che qui illustro è l”ennesima vicenda che dimostra come vera la tesi che da anni mi sforzo di esporre ai miei allievi: e cioè che saper leggere i grandi testi è il modo migliore per saper leggere anche le notizie quotidiane.
Ma la cosa più istruttiva è che, se si legge l”articolo, il nome di Frati è scomparso, come non fosse mai esistito. Il giornale cioè non solo, con la scusa che l”articolo tratta di assunzioni, e non di concorsi (ma, a prescindere dal fatto che sul finire l”articolo anche di concorsi tratta, tutti sappiamo come funzionano concorsi e chiamate in ambito universitario), sorvola sulla industria nepotistica del rettore Frati, non affrontando mai il nodo, ma fa di peggio.
Dice, in sostanza: “vedi, te lo dico” (al lettore); ma “vedi, non ne parlo” (al rettore).
Speriamo almeno che quando Frati, di cui da tempo chiedo vanamente le dimissioni, non sarà più rettore, alcuni giornalisti non vengano a fare la morale ai professori complici, che hanno sempre taciuto. Giacché il giornale di cui oggi parlo ha fatto qualcosa di assai più criticabile: ha finto di parlare.
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Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/blogs/eta-senza-beta/repubblica-s-e-desta-sull-affare-frati-non-proprio.
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