di Francesco Sylos Labini.
Il sistema universitario e della ricerca italiana sta affondando: la riforma Gelmini,
 unita al taglio dei finanziamenti operato da Tremonti e ai recenti 
provvedimenti del governo Monti, sta portando il sistema al collasso 
definitivo. Non si è trattato né di una casualità, né del frutto 
d’insipienza, quanto invece di un attacco molto ben preparato e condotto
 a termine attraverso una determinazione, da parte del governo 
Berlusconi, pari solo all’attacco permanente verso la magistratura e 
grazie a un’opposizione politica che quando non è stata d’accordo 
(raramente) non ha certo brillato per avere un ruolo attivo di 
contrasto. Il ministro Profumo, prima di lasciare il governo, ha firmato il decreto in cui è previsto un taglio di 300 milioni di euro
 al finanziamento ordinario delle università per il 2013, che cala così 
di quasi il 20% rispetto al 2009. Dunque, si passa da una situazione in 
cui si riusciva a stento a mantenere il funzionamento ordinario a una 
situazione in cui ci sono ben trenta atenei a rischio default:
 in pratica non avranno le risorse per pagare gli stipendi. Come ci si 
potrebbe aspettare gli atenei più a rischio sono quelli dell’Italia 
meridionale: Foggia, Cassino, Napoli, Bari, Palermo, ecc.
In 
questa situazione il barocco meccanismo dell’abilitazione scientifica 
nazionale, attraverso il quale si sarebbero dovuti reclutare i nuovi 
professori, produrrà un fiasco epocale, in cui i neoabilitati non 
avranno alcuna speranza di essere assunti – se non per una frazione ridicola.
 Il nuovo primo ministro ha recentemente dichiarato che si dimetterà se 
si dovranno fare tagli alla cultura, ricerca, università: ma i tagli 
sono stati già fatti e ormai, anche in assenza di nuovi tagli, il 
sistema si avvia al collasso.
L’emergenza “default†si somma a una serie di “storiche†emergenze che si sono aggravate nella scorsa legislatura: il fondo del diritto allo studio è crollato così come le immatricolazioni, i fondi per la ricerca di base sono calati del 50% nell’ultimo anno mentre le tasse universitarie
 continuano ad aumentare. Il nuovo ministro dell’istruzione si trova 
dunque a operare in una situazione di estrema criticità. Il problema 
chiave è che il ministero dell’economia verrà con ogni probabilità 
amministrato con la stessa logica che ha guidato i ministri del recente 
passato e che è quella della destra più ottusa e reazionaria: per ridurre la pressione fiscale proveniente dalle spese sociali, la ricetta consiste semplicemente nel tagliare e privatizzare al massimo i servizi oggi offerti dal welfare state, come se lo sviluppo potesse nascere dal taglio dell’Imu piuttosto che dall’investimento in innovazione e ricerca.
Tuttavia
 l’ampia maggioranza parlamentare di questo governo non si riflette in 
un consenso diffuso nel paese. Al contrario i due principali partiti che
 formano il governo hanno chiesto i voti al proprio elettorato 
promettendo un governo in contrasto l’uno con l’altro. In particolare, 
il centro sinistra si proponeva di attuare una politica capace di 
marcare una discontinuità netta con il recente passato: si è verificato 
esattamente l’opposto. La situazione politica generale è dunque molto fragile:
 al primo serio scoglio, che può ben essere costituito dal default degli
 atenei dell’Italia meridionale, le contraddizioni di questo governo non
 mancheranno di saltare fuori.
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