di Giovanni Salmeri e Stefano Semplici.
è l’ultimo episodio di una strategia di distruzione dell’Università per
via burocratica che lascia davvero sconcertati.
Si tratta di un
documento di 57 pagine, che in nome della onnipresente esigenza di
Assicurazione della Qualità rovescia sugli addetti ai lavori l’ennesimo
diluvio di indicazioni, tabelle e algoritmi che paiono usciti da un
testo di astrologia: l’intera vita accademica viene tradotta e
stravolta, ancora una volta, in adempimenti, requisiti, misurazioni,
riunioni, valutazioni, raccomandazioni, incontri, indicatori, redazioni,
programmazioni, colloqui, descrizioni, dichiarazioni.
Il fatto che le Linee Guida
vengano presentate semplicemente come «una raccolta di informazioni»
utili alla riflessione dei singoli Atenei «sul livello di sviluppo
raggiunto dal proprio sistema di Assicurazione della Qualità » e che si
preveda un accreditamento periodico solo a campione non migliora le
cose: specularmente si leggono gli obblighi che diventano a questo punto
ineludibili, alcuni dei quali fatti scivolare nel testo come se fossero
una cosa ovvia (a pagina 6, per esempio, scopriamo per la prima volta
che gli Atenei devono esercitare «una azione continua di formazione dei
responsabili dei Corsi di Studio» e tremiamo al solo pensiero dei
possibili contenuti e dei misteriosi docenti ai quali sarà affidata
questa sorta di “rieducazione†permanente).
finora le indicazioni in proposito abbiano avuto un orientamento molto
diverso, ma perché qui tutto si trova moltiplicato ed esasperato, fino
al punto che sono indicati giorni della settimana e orari in cui i
membri della CEV (Commissione Esperti per la Valutazione) devono
svolgere i loro incontri, perfino privati.
Se il testo
non fosse stato pubblicato sul sito istituzionale dell’ANVUR si potrebbe
davvero credere di essere di fronte ad una parodia.
Tanto più che ciò
avviene sotto un governo che ha considerato come priorità la «lotta alla
burocratizzazione» e che proprio l’attuale responsabile dell’UniversitÃ
ha dichiarato il 1º aprile 2014 davanti alla VII Commissione Permanente
del Senato (non tra quattro amici al bar) che con l’ANVUR «invece di
semplificare, abbiamo complicato» e che bisogna operare «una
semplificazione normativa sui meccanismi di accreditamento didattico di
ogni ciclo».
Pure autorevoli componenti dell’ANVUR si sono espressi in
questo senso. Allora delle due l’una: o quella che leggiamo è una
versione già semplificata (e inorridiamo nell’immaginare come potesse
essere quella originaria: forse era indicato anche il menù settimanale
per gli Esperti della Valutazione, in fondo anche Glenn Gould sceglieva
il pasto a seconda del capolavoro che doveva interpretare); oppure
l’Università italiana è ormai governata da ignoti, sottratti ad ogni
indirizzo, controllo, valutazione.
soprattutto – ci teniamo a sottolinearlo a scanso di equivoci – non
abbiamo paura di essere valutati, giudicati e controllati. È giusto che i
professori universitari siano premiati quando operano bene e siano
puniti e, nei casi estremi, perfino cacciati quando si sottraggono ai
loro doveri verso gli studenti e verso la comunità scientifica alla
quale appartengono. Così come dovrebbe accadere per tutti coloro che
hanno la responsabilità e l’onore di lavorare per il bene comune,
ricevendo per questo uno stipendio dallo Stato. Rifiutiamo però – e
siamo ormai pronti a farlo fino a prendere la strada di una vera e
propria disobbedienza civile – di accettare l’idea che questi obiettivi
siano raggiungibili solo trasformando la burocrazia accademica in un
mostro che divora le passioni e le energie di chi cerca ogni giorno di
fare il proprio dovere e lascia paradossalmente indisturbati tutti gli
altri. Parliamo di macigni che hanno trasformato in una frustrante corsa
ad ostacoli la nostra vita quotidiana:
nostro vero lavoro e ci trasformano in passacarte che non hanno più
tempo e voglia neppure di parlare con gli studenti (e ancor meno fra di
noi);
ammissione universale, perfettamente inutili e inducono a continui falsi
ideologici, consistendo, in buona parte, nelle redazione di documenti
in cui si parla di riunioni immaginarie con discussioni immaginarie su
argomenti immaginari;
queste normative e che rivela una sistematica sfiducia nei confronti
delle Università , presentate all’opinione pubblica come istituzioni che
devono continuamente dimostrare di non essere associazioni a delinquere
dedite alla circonvenzione di incapaci;
universitaria tramite una regolamentazione nevrotico-ossessiva che rende
sempre più difficile l’invenzione, la sperimentazione,
l’interdisciplinarità , non per ultimo per l’anticipo spropositato con
cui ogni sia pur minima novità va programmata.
inammissibile che documenti che pretendono di promuovere la qualitÃ
dell’Università siano scritti in un italiano stentato, pieno di
barbarismi, con perle come «la CEV, può proporre all’ANVUR», «La CEV
deve riunirsi […] per allineare [?] tutti i componenti sull’andamento
della visita» (p. 12), «discussione sulle evidenze [?] della giornata»
(p. 13 e altrove), «ex-alumni» (p. 13), «Se dopo tale tempo, le
criticità permangono» (p. 15), «nota da tutti docenti » (p. 46), «gli
eventuali altre strutture» (p. 49 e 51), «il numero di ore […] sono
adeguate» (p. 56). Che lingua è? E nessuno si è accorto di quanto sia
offensivo spiegare: «La CEV marca a destra la casella della riga
prescelta» (p. 20 e poi molte altre volte)? Che cosa sono, le istruzioni
per un bonobo?
Abbiamo un minimo di dignità e non accettiamo di farci valutare con
regole elaborate da qualcuno che riceverebbe probabilmente Obblighi
Formativi Aggiuntivi (OFA) in lingua italiana in qualsiasi prova di
ammissione all’Università e che tratta pure gli «Esperti» come docili
esecutori. Si dirà certamente che queste sviste vanno attribuite agli
“uffici†e che non si può pretendere che i colleghi del Direttivo
dell’ANVUR si preoccupino di tali quisquilie. Noi pensiamo che la
trascuratezza della forma trasmetta sempre un brutto segnale sulla
qualità complessiva del percorso di elaborazione di un testo,
soprattutto quando si tratta di un testo così importante.
ha reso ormai definitivamente chiaro che nessuno può farsi illusioni
sul sistema AVA, inaugurato con Decreto Ministeriale del 28 gennaio
2013. In campo non vi sono opzioni diverse su singoli problemi, ma due
modelli di Università , diversi e inconciliabili: da una parte c’è
un’Università libera e autonoma, valutata da agenzie indipendenti e
anzitutto dagli studenti, fatta di insegnamento e di ricerca, in cui si
suppone che le cose siano fatte bene a meno che consti il contrario;
dall’altra c’è l’Università sotto il totale controllo delle burocrazie
ministeriali, fatta di docenti trasformati a loro volta in burocrati, di
commissioni e carte, con l’ossessione della «misurazione», in cui si
suppone che le cose siano fatte male a meno che non si riesca a
dimostrare il contrario. Bisogna scegliere da che parte stare.
colleghe e i colleghi di prendere atto che è arrivato il momento di
metterci la faccia, non lamentandosi nei corridoi o intorno al tavolo di
una cena fra amici, ma dicendo a voce alta che d’ora innanzi
rifiuteranno la loro collaborazione per tutti gli adempimenti previsti
dal sistema AVA (Autovalutazione, Valutazione periodica,
Accreditamento), garantendo solo ciò che è indispensabile per non
danneggiare i loro studenti. Noi lo faremo e speriamo di non restare
soli.
Chiediamo al CUN e alla Conferenza dei Rettori di rinunciare
finalmente all’illusione di poter salvare l’Università con documenti che
negli ultimi tempi hanno dimostrato la disponibilità ad un ravvedimento
operoso rispetto a troppe complicità del passato e che tuttavia non
producono nessun effetto.
Facciano quello che la politica oggi ci
sollecita a fare: chiedano prove concrete di un cambiamento radicale di
rotta (a partire dal ritiro del Decreto Ministeriale del 28 gennaio 2013
con cui è stato istituito il sistema AVA) in tempi brevissimi e si
dimettano in blocco se non accadrà niente.
Chiediamo al Ministro e al
Presidente del Consiglio, che non ne parla mai, di considerare che
l’Italia non cambierà verso se non cambierà verso la nostra Università .
Il Ministro riconosce che l’ANVUR ha in molti casi creato ostacoli
anziché aiutare il sistema a guadagnare trasparenza ed efficienza? Cambi
verso all’ANVUR, naturalmente senza buttare il bambino con l’acqua
sporca.
Il Presidente Renzi vuole prendere a picconate l’ipertrofia
burocratica che genera frustrazione e spreco di risorse? Prometta che
ridurrà dell’80 per cento il volume delle norme e degli adempimenti che
uccidono l’Università e che sono stati purtroppo pensati con il
contributo proprio di alcuni professori universitari, che in buona fede
hanno fatto alcune cose buone e, purtroppo, molti errori. E lo faccia
davvero.
Siamo pronti a dimostrare che il 20 per cento di ciò che è
stato fatto basta e avanza per stanare i fannulloni, valorizzare la
buona ricerca, colpire davvero gli assenteisti e chiudere i corsi di
laurea che “vendono†agli studenti quel che non hanno.
Nel frattempo, si
restituisca qualcosa anche all’Università . In troppe aule sono rimasti
ormai solo gli studenti. E pareti e tetti non sono spesso in condizioni
migliori di quelli delle nostre scuole.