Nel compound di Lusaka, dove la vita è dura e magica

Ma la tua casa com’è? Hai il bagno? E come fai con l’acqua?. Erano domande curiose per me: davo per scontato che avessero già le risposte.

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10 Giugno 2014 - 12.05


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di Valeria Vacca.

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Esteticamente un compound assomiglia a quell’idea di Africa che i
mass media hanno coltivato nell’immaginario comune nel corso degli anni.
Le strade non asfaltate, i rifiuti sul ciglio della strada, il fango,
le case costruite con mattoni di terra e tetti di lamiera o eternit, le
strade animate dai bambini che spingono le carriole per portare le
taniche di acqua, le donne che camminano sui cigli della strada con il
loro business trasportato sulla testa.

Forse è stato per questo che non mi sono resa conto, nei primi giorni, di dove mi trovassi.

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Mi hanno aiutato a capirlo le persone che vivevano nei quartieri
vicino a Bauleni, il compound alla periferia di Lusaka, dove ho vissuto
per tre mesi.


Sono state quindi le domande degli zambiani a farmi percepire e comprendere le differenze tra i vari quartieri: “Perché vivi a Bauleni?”,
“Ma la tua casa com’è? Hai il bagno? E come fai con l’acqua?”. Strane
curiosità per me: davo per scontato che avessero già le risposte.
Quartieri vicini tra loro ma così distanti.


Nella casa in cui ho vissuto, il bagno era all’esterno e in
condivisione, come in tutte le abitazioni del compound. Sono stata
fortunata perché il mio veniva utilizzato unicamente dalla famiglia
proprietaria. Il fatto che fosse numerosa rendeva poi la cosa relativa.

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Anche per l’utilizzo dell’acqua posso dire di essere stata fortunata.
Nel giardino dove abitavo c’era una pompa da cui potevano accedere
all’acqua anche tutti i vicini. Altri abitanti sono decisamente più
sfortunati, devono percorrere chilometri e chilometri per poter
raggiungere una fonte d’acqua. Non solo ho dovuto imparare a gestirmi e
organizzarmi l’acqua ma, soprattutto, a guadagnarmela: mi hanno
insegnato a svegliarmi la notte per prenderla in modo da avere più
probabilità di trovarla ed evitare le lunghe file.


L’acqua, infatti, non c’era tutti i giorni e questo faceva sì che la
fila delle persone fosse lunga e pazientemente organizzata con secchi e
bidoni posizionati accanto al rubinetto, spesso per interi giorni. La
disponibilità dell’acqua non è l’unico aspetto che ho dovuto imparare a
gestire e organizzare.


A Bauleni l’elettricità viene negata alla popolazione per via di una pratica di risparmio statale (“load shedding”)che
consente di vendere l’energia ai paesi confinanti. In teoria, i giorni
in cui l’elettricità non viene erogata sono fissi (tre volte la
settimana, nelle ore serali), in pratica manca per intere mattinate.

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Per me ha significato imparare a gestire la batteria del mio computer
per il lavoro, il telefono per le comunicazioni e altresì
l’organizzazione nella preparazione dei pasti, dato che i fornelli non
sono a gas ma elettrici. Per gli abitanti del compound come carpentieri,
falegnami, uffici, copisterie, non avere l’elettricità significa non
lavorare e bloccare la loro attività.


Vivere nel compound ha voluto dire apprendimento, adattamento,
sacrificio, fatica fisica e mentale. Ma vivere il compound ha
significato tante altre cose.


Ascoltare i silenzi nei soli momenti in cui l’elettricità mancava;
sentire costantemente la musica, i rumori, i brusii e i canti; ammirare
la bellezza delle strade polverose, quella dei bambini e delle donne, le
cui forme, di cui vanno così fiere e che vengono raccontate nei
cartelloni pubblicitari di Lusaka, dovrebbero far rivalutare i canoni di
bellezza occidentali; scoprire il modo di vivere degli abitanti di
Bauleni e assaporare la loro cultura.

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Mi sono sforzata di capire certi aspetti della vita che sono molto
diversi dalla mia vita italiana, dove tutto è scontato, compresi gli
sprechi legati al benessere e al consumismo. 

Nel compound ho capito il
profondo significato della parola rispetto.

 Per questo ho scelto di
condividere una quotidianità fatta di difficoltà, bellezza e magia.
Perché questa è la mia Africa. Il mio Zambia.

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Fonte: http://spondasud.it/2014/06/storia-nel-compound-lusaka-dove-vita-dura-magica-2125

 

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