La pedina cipriota

Washington usa la crisi finanziaria cipriota per attuare una strategia di acquisizione di capitali

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Redazione Modifica articolo

24 Marzo 2013 - 18.18


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«Sotto i nostri occhi», cronaca di politica internazionale n°31.

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di Thierry Meyssan.

Washington è stata pronta a usare la crisi finanziaria cipriota per attuare la strategia di acquisizione di capitali che ho descritto tre settimane fa su queste colonne (1). Con l’aiuto della direttrice del Fondo monetario internazionale, la statunitense Christine Lagarde, ha rimesso in causa l’inviolabilità della proprietà privata nell’Unione europea e ha tentato di confiscare un decimo dei depositi bancari, in apparenza per salvare la banca nazionale cipriota colpita dalla crisi greca.  Va da sé che la finalità annunciata è solo un pretesto, poiché, lungi dal risolvere il problema, questa confisca – se dovesse essere attuata – non farebbe altro che peggiorarlo. Una volta minacciati, i capitali rimanenti fuggirebbero dall’isola provocando il crollo della sua economia.  

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L’unica vera soluzione sarebbe quella di cancellare i debiti anticipando il fatturato dello sfruttamento del gas cipriota. Sarebbe d’altronde più logico che il gas a buon mercato rilanciasse l’economia dell’Unione europea. Ma Washington ha deciso diversamente. Gli europei sono invitati a continuare a procurarsi la loro energia a prezzi elevati nel Vicino Oriente, mentre il gas a buon mercato è riservato ad alimentare l’economia israeliana.

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Per nascondere il ruolo decisionale di Washington, questa rapina in banca non è presentata come un’esigenza del FMI, bensì di una troika che include anche l’UE e la BCE. In questa prospettiva, la confisca sostituirebbe una svalutazione resa impossibile a causa dell’appartenenza alla zona euro. Solo che qui la svalutazione non sarebbe una politica di Nicosia, ma un diktat del padrone della BCE, Mario Draghi, l’ex direttore europeo della banca Goldman Sachs, che è appunto il principale creditore di Cipro.

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La signora Lagarde, ex consulente legale del complesso militare-industriale USA, non sta cercando di danneggiare Cipro, bensì di mettere in allarme i capitali basati in Europa per poi pilotarli fino a Wall Street affinché rilancino la finanza USA.


Perché mai prendersela con quest’isola? Perché è uno dei pochi paradisi fiscali rimasti in seno all’Unione europea e perché i depositi presenti sono principalmente russi. Perché farlo ora? Perché i ciprioti hanno commesso l’errore di eleggere come nuovo presidente lo statunitense Nikos Anastasiades. Essi hanno così ripercorso gli stessi passi dei greci che, vittime dello stesso miraggio americano, avevano eletto come primo ministro lo statunitense Georgios Papandreou.

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Questa bassa cucina non ha comunque funzionato. Il Parlamento cipriota ha respinto all’unanimità dei voti espressi la tassazione che confisca i depositi bancari. C’è qui un apparente paradosso. Il governo liberale vuole nazionalizzare un decimo dei capitali, mentre il Parlamento comunista difende la proprietà privata. Il fatto è che la nazionalizzazione non si farebbe a favore della comunità nazionale, bensì della finanza internazionale.

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I consigli amichevoli hanno dunque lasciato il posto alle minacce. Si parla di escludere Cipro dalla zona euro, se i rappresentanti del suo popolo persistono nel loro rifiuto. Tuttavia, questo risulta difficilmente possibile. I trattati sono stati concepiti in modo che la zona euro sia un viaggio senza ritorno. Non è possibile lasciarla da soli, né esserne esclusi, a meno che non si lasci l’Unione europea.

Tuttavia questa opzione, che non era stata considerata da quelli che raccolgono il pizzo, è temuta da Washington. Se l’isola fuoriuscisse dall’Unione, verrebbe acquistata con appena una decina di miliardi di dollari da Mosca. Si tratterebbe di un pessimo esempio: uno Stato della zona di influenza occidentale che entrerebbe nella sfera di influenza russa, in un cammino inverso rispetto a tutto quel che abbiamo visto dopo la caduta dell’URSS. Sarebbe sicuramente seguito dagli altri Stati balcanici, a partire dalla Grecia.

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Per Washington, questo scenario catastrofico deve essere evitato a tutti i costi. Pochi mesi fa, al Dipartimento di Stato fu sufficiente aggrottare le sopracciglia per far sì che Atene rinunciasse a vendere il suo settore energetico a Mosca. Questa volta, tutti i mezzi, anche i più anti-democratici, saranno usati contro i ciprioti se resistono.

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La Russia finge di non essere interessata. Vladimir Putin ha trascurato le offerte vantaggiose di investimento che sono state fatte dal governo Anastasiades. Il fatto è che non ha intenzione di salvare gli oligarchi russi che avevano nascosto i loro capitali nell’isola, né l’Unione europea, che li aveva aiutati a organizzare la loro evasione fiscale. Dietro le quinte, ha negoziato un accordo segreto con Angela Merkel che dovrebbe consentire una soluzione finanziaria alla crisi, ma dovrebbe anche sfociare in una vasta rimessa in causa delle regole europee. Per inciso, lo Zar ha raccolto delle informazioni sorprendenti in merito agli investimenti russi nell’isola durante l’epoca Medvedev, informazioni che potrebbero essere utilizzate come mezzo di pressione sul suo inconsistente primo ministro.

 

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(1) “La NATO economica, soluzione USA alla crisi 3 marzo 2013.

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Traduzione a cura di Matzu Yagi.

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Questa “cronaca settimanale di politica estera” appare simultaneamente in versione araba sul quotidiano “Al-Watan” (Siria), in versione tedesca sulla “Neue Reinische Zeitung”, in lingua russa sulla “Komsomolskaja Pravda”, in inglese su “Information Clearing House”.

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