Charlie Hebdo è solo un pretesto

'La piazza difende le libertà di espressione e di culto, e politici e stampa − che le calpestano − colgono l''occasione per rifarsi una verginità. [Thierry Meyssan]'

Charlie Hebdo è solo un pretesto
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Redazione Modifica articolo

17 Gennaio 2015 - 22.01


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Mentre milioni di
francesi si sono appena sollevati senza esitazione per difendere le
libertà di espressione e di culto, i politici e la stampa − che
gli uni e l”altra continuamente calpestano − colgono l”occasione
per rifarsi una verginità. Per Thierry Meyssan, il governo ha messo
in atto un”ampia manipolazione per fingersi alla testa di un grande
movimento popolare e ora cerca un modo per giustificare una nuova
operazione militare in Libia.

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di
Thierry Meyssan
.

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Una
cinquantina di capi di Stato e di governo che hanno partecipato alla
manifestazione.

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Nel
giro di tre giorni, in Francia, un gruppo di quattro o cinque persone
− dichiarandosi sia membri yemeniti di Al-Qa”ida sia dell’Emirato
Islamico (Daesh) − ha massacrato la redazione di
Charlie
Hebdo
e ha poi assassinato una
agente della polizia municipale e diversi ostaggi, in tre situazioni
diverse. La Francia, che non aveva più avuto tanta violenza dopo gli
attentati dell”OAS, da più di 50 anni, ha risposto dichiarando a
gran voce «Siamo tutti Charlie!», abbattendo tre terroristi e
organizzando una vasta manifestazione di alcuni milioni di persone.

Il
presidente della Repubblica, François Hollande, ha ricevuto i leader
dei partiti politici rappresentati in Parlamento, ha chiamato i
Francesi all”unità nazionale e ha partecipato alla manifestazione,
accompagnato da una cinquantina di capi di governi stranieri.

In
un precedente articolo [1], ho osservato che il modus operandi dei
terroristi non aveva nulla in comune con quello noto degli jihadisti
ma bensì con quello di un commando militare. Ho concluso che quindi
non importa chi fossero: l”unica cosa da sapere è chi li comandava.
In questo secondo articolo vorrei tornare alle reazioni suscitate da
questo caso.

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La
sospensione del diritto di manifestare

Dall’annuncio
del massacro di
Charlie Hebdo,
il 7 gennaio 2015 intorno a mezzogiorno, il primo ministro Manuel
Valls ha deciso l”attuazione nell’Île-de-France del piano
antiterrorismo Vigipirate al livello “allarme attentati”, che
comprende un centinaio di misure automatiche e di altre circa
duecento opzionali. Tra le misure scelte, il ministero dell”Interno
ha annunciato il rinvio di tutti gli eventi autorizzati: le autorità
erano giustamente preoccupate che i terroristi non sparassero sulla
folla.

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Tuttavia,
un partito di estrema sinistra ha chiesto di manifestare
immediatamente a sostegno di
Charlie
Hebdo
. Dopo alcune ore di
esitazione, il capo della polizia ha autorizzato una manifestazione
che avrebbe raggiunto le centomila persone. Ancora più strano, il
primo ministro ha dichiarato il lutto nazionale per l’indomani, 8
gennaio. Molte manifestazioni sono state organizzate dalle autorità
per celebrare un minuto di silenzio. Ancora più sorprendente, per
domenica 11 il Partito socialista ha chiesto una vasta manifestazione
nazionale che avrebbe messo insieme più di due milioni di persone a
Parigi.

Così
il governo ha potuto vietare le manifestazioni perché pericolose per
i loro partecipanti, ma i suoi membri hanno potuto organizzarne una
enorme invitando i leader di governi stranieri senza timore per la
loro sicurezza.

Questa
distorsione conferma che, contrariamente alle proprie dichiarazioni,
il governo sapeva con precisione la portata della minaccia e sapeva
che non avrebbe riguardato le manifestazioni.

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Si
preferisce quindi mantenere solo questa straordinaria spinta popolare
per la libertà.

L’unità
nazionale

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In
questa situazione di crisi, destra e sinistra si sono impegnate a
partecipare insieme a una manifestazione nazionale. Ma a favore di o
contro quali valori manifesteranno?

Scopriamo
che i leader di destra e sinistra hanno condiviso i valori
antireligiosi, antinazionali e antimilitaristi del molto di sinistra
Charlie Hebdo.
Sapevamo che il suo fondatore, Philippe Val , era un amico di
Sarkozy. Improvvisamente scopriamo che il suo nuovo direttore, Charb,
è stato il compagno di un ministro di destra, Jeannette Bougrab.

Costei
è stata ospite del tg di TF1. Molto commossa, racconta il suo amore.
Poi presenta i principi antireligiosi di Charb come un impegno laico
per affrontare l’islamismo, prima di paragonare il suo amico
all’eroe della resistenza Jean Moulin e di chiedere che sia sepolto
nel Pantheon come lui. Finisce rivelando che la coppia aveva pensato
di lasciare la Francia e iniziare una nuova vita altrove. Restiamo
sconcertati. In breve, Jeannette Bougrab ha appena mostrato il suo
disprezzo per i suoi concittadini, assimilato la laicità alla lotta
antireligiosa e messo sullo stesso piano un comico antinazionale e il
fondatore del Consiglio Nazionale della Resistenza. Non importa
quanto protesta la famiglia di Charb: il dubbio è sollevato.

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E
affinché si capisca bene cos’è – vista da destra e da sinistra
− “l’unità nazionale”, alcuni leader socialisti dichiarano
che il Front national sarà escluso dalla manifestazione
“repubblicana”. Abbiamo capito bene l”enormità della questione?
Dei leader politici si richiamano alla Repubblica per escludere i
loro rivali. Alla fine, il Front national si è unito a
manifestazioni in provincia.

L’unità
internazionale

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Invitando
ogni genere di capi di Stato e di governo per aprire con lui la
manifestazione, il presidente Hollande intendeva conferirle
solennità. Tra i presenti abbiamo individuato David Cameron e
Benjamin Netanyahu, i cui Stati dispongono di un onnipotente
controllo militare; oppure il ministro americano alla Giustizia Eric
Holder, il cui paese ama così tanto la libertà di espressione che
ha bombardato e distrutto numerose televisioni, da quella di Belgrado
alle emittenti libiche; il primo ministro turco Ahmet Davutoglu, il
cui paese vieta la costruzione di chiese cristiane (anche se sembra
pronto ad autorizzarne presto una); o ancora Benjamin Netanyahu, che
si è complimentato con i combattenti di Al-Qa”ida ricoverati negli
ospedali israeliani; senza dimenticare nuovamente Eric Holder, Ahmet
Davutoğlu e il re Abdullah di Giordania, i cui Stati hanno
riorganizzato l’ISIS (Daesh) nel gennaio 2014.

Che
cosa sono dunque venute a fare queste persone a Parigi? Certamente
non a difendere la libertà di espressione e di culto che in realtà
combattono.

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La
libertà di espressione

Non
è solo la classe politica che ha approfittato dell’occasione per
tirare acqua al proprio mulino. C’è anche la stampa. Questa vede
in Charlie Hebdo un esempio di libertà che essa stessa continua a
calpestare, autocensurandosi costantemente e mostrandosi sempre
solidale con i crimini commessi all”estero dal governo.

La
stampa francese è davvero nutrita ma estremamente conformista e
quindi per nulla pluralista, fino all’unanimità con cui presenta
Charlie Hebdo: perché, contrariamente a ciò che essa dice, il
giornale satirico ha sostenuto la sua opposizione alla libertà di
espressione soprattutto quando aveva firmato una petizione per
vietare il Front National o quando si era schierato per la censura di
Internet.

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In
ogni caso, possiamo solo rallegrarci di vedere la stampa prendere
finalmente la difesa di chi viene attaccato per ciò che ha detto.

A
proposito della pista jihadista

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Continuando
la sua indagine nella direzione sbagliata, la stampa traccia il
profilo dei terroristi e dimentica di cercare i loro mandanti.
Scherzi a parte, ha spiegato che questa ondata di attentati è una
collaborazione tra membri yemeniti di Al-Qa”ida e dell’ISIS, mentre
le due organizzazioni sono impegnate da un anno in una guerra feroce
che già ha fatto almeno tremila vittime in entrambi i campi.

A
questo proposito, mi sorprendo per tali riferimenti; se ne dovrà
presto trovare uno nuovo che colleghi questo attacco alla Libia.
Infatti, se Hollande segue le orme di George W. Bush, dovrebbe
attaccare lo Yemen anche se la Francia non vi ha un effettivo
interesse. Orbene, il suo capo di stato maggiore speciale, il
generale Puga, sta preparando un nuovo intervento militare in Libia.


Questo
obiettivo è molto più logico: la Francia potrebbe così raccogliere
i benefici che sperava di ottenere col suo primo intervento. E
porterebbe a termine il progetto degli Stati Uniti di rimodellamento
del “Grande Medio Oriente”, come pubblicato da Robin Wright sul
New York Times
nel settembre 2013 [2] e come iniziato dall’ISIS in Iraq e in
Siria.

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Thierry
Meyssan

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[1]
“Qui a commandité l’attentat contre Charlie Hebdo?” di Thierry
Meyssan, Réseau Voltaire, 7 gennaio 2015.

[2]
“Imagining a Remapped Middle East” di Robin Wright,
The
New York Times Sunday Review
, 28
settembre 2013.

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Traduzione per Megachip a cura di
Emilio M. Piano.
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