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«Sotto i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°247
di Thierry Meyssan.
Mentre ci avviciniamo alla fine della guerra contro la Siria, nessuno degli obiettivi iniziali degli anglosassoni è stato pienamente raggiunto: non solo i Fratelli Musulmani non hanno trionfato nella primavera araba, ma sembrano sconfitti in tutta la regione, tranne che in Qatar e in Turchia; se la Siria è in gran parte distrutta, la società siriana e il suo modello multiconfessionale hanno resistito; infine la via della seta dovrebbe essere ripristinata. Tuttavia, Israele e Turchia stanno per tirare le castagne dal fuoco tanto da risultare, a modo loro, perfino vincitori anch’essi della guerra.
DAMASCO (Siria) – Tutti si aspettavano che la crisi che oppone l’Arabia Saudita al Qatar avrebbe facilitato la rinascita dell’asse Riad-Damasco-Il Cairo, che aveva dominato la vita politica nel mondo arabo fino alla “primavera araba”. Non è accaduto.
Forse il principe Mohammad bin Salman spera ancora di vincere in Yemen e ritiene dunque inutile avvicinarsi alla Siria. O forse i sauditi, che a suo tempo condussero la rivolta araba contro gli Ottomani, ora considerano troppo pericoloso stare dalla parte della Siria contro la Turchia. È vero che nel corso dei negoziati di Crans-Montana la scorsa settimana, l’ONU, il Fondo monetario internazionale e l’Unione europea hanno sostenuto l’occupazione, sebbene illegale secondo il diritto internazionale, del Nord di Cipro da parte delle truppe turche. Evidentemente, benché sia diventato di moda in Occidente sputare sulla dittatura di Erdoğan, la NATO sostiene pienamente il dispiegamento militare turco a Cipro, in Siria, in Iraq e in Qatar.
Poiché «la Natura aborre il vuoto», è il Qatar ad aver stabilito contatti con Damasco. Per il presidente Bashar al-Assad è una conquista meno significativa che l’Arabia Saudita, ma comunque una conquista. Si tratta di uno Stato in meno nella guerra contro il suo paese, nella quale restano in campo in realtà, oltre a delle multinazionali USA, solo il Regno Unito, la Turchia e Israele.
L’incontro tra i presidenti Vladimir Putin e Donald Trump, in occasione del G20 di Amburgo il 7 luglio 2017, ha apparentemente rovesciato il tavolo. La riunione prevista per appena mezz’ora è durata quattro volte di più, costringendo altri capi di Stato e di governo stranieri a fare anticamera in attesa del loro turno. Ancorché non si sappia che cosa abbiano deciso i due presidenti e i loro ministri degli esteri, si sa che cosa hanno negoziato.
Israele, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti hanno proposto di porre fine alla guerra contro la Siria vittoria concretizzando la vittoria di Tel Aviv sulla Resistenza palestinese. Quest’ultima è ora divisa tra al-Fatah che governa a Ramallah e Hamas che governa a Gaza.
Ma al-Fatah di Mahmoud Abbas è gradualmente sprofondata nella corruzione e collabora apertamente con Israele. Mentre Hamas, creata dai Fratelli Musulmani, sotto gli auspici dei servizi segreti israeliani per indebolire al-Fatah, si è screditata dapprima per via delle sue azioni terroristiche contro i civili, poi con il suo incredibile comportamento durante la guerra contro la Siria. In realtà, solo la Turchia e l’Iran continuano a sostenere Hamas, che ripugna a tutti gli altri stati. Senza vergogna, la stessa Hamas che si era già alleata con il Mossad e al-Qa’ida per uccidere i dirigenti del FPLP nel campo siriano di Yarmuk nel 2012, ha implorato ancora una volta il perdono di Tel Aviv.
Da qui questo piano straordinario volto a unire le due principali fazioni palestinesi, a cacciare il vecchio Mahmoud Abbas (82 anni), a riconoscere uno Stato fantoccio palestinese e a porvi a capo nientemeno che il generale Mohammed Dahlan.
Mohammed Dahlan è il leader di al-Fatah che divenne segretamente un agente israeliano, combatté selvaggiamente contro Hamas e poi avvelenò Yasser Arafat. Una volta smascherato, è stato espulso da al-Fatah, è fuggito in Montenegro, ed è stato condannato in contumacia. Ha vissuto negli ultimi anni negli Emirati Arabi Uniti, dove ha gestito una fortuna di 120 milioni stornati dall’Autorità Palestinese. Dovrebbe essere accolto a Gaza dai suoi storici nemici di Hamas, tra cui il nuovo “Primo Ministro” Yahya Sinwar, che risulta essere uno dei suoi amici d’infanzia. Dimenticando il passato, si confiderà in lui per iniziare la lotta contro l’Esercito dell’Islam, ossia il ramo palestinese di Daesh.
Questo piano, qualora venisse attuato, segnerebbe la liquidazione definitiva della Resistenza palestinese, dopo 70 anni di lotta.
È in questo contesto che si dovrebbe capire l’annuncio di un accordo Putin-Trump su tre aree nel sud della Siria. Truppe statunitensi verrebbero autorizzate a schierarsi lì, presumibilmente per mantenervi la pace, in realtà per creare una zona smilitarizzata tra il Golan siriano e il resto del paese. Le truppe iraniane non sarebbero autorizzate ad avvicinarsi a Israele. In questo modo, il Golan, illegalmente occupato da Israele per quaranta anni, sarebbe di fatto considerato annesso, anche se questa parola non verrebbe pronunciata. Dei consigli locali dei villaggi verrebbero eletti a ottobre 2018 in conformità con la legge israeliana. La Russia non avrebbe da dire nulla in proposito e gli Stati Uniti da parte loro dimenticherebbero la loro ossessione sulla Crimea.
La pace potrebbe essere conclusa nel resto della Siria con l’eccezione della zona presa dai curdi a Daesh e di quella controllata dai turchi. Washington e Mosca lascerebbero che questi ultimi regolino i loro conti con i curdi, cioè massacrarli. Proprio come Henry Kissinger sostenne i curdi iracheni contro Saddam Hussein prima di abbandonarli da un giorno all’altro con il loro sogno del Kurdistan. In ultima analisi, l’esercito turco rimarrebbe a occupare Al-Bab, così come già occupa il Nord di Cipro e Bashiqa in Iraq.
Palestinesi e curdi pagherebbero per il loro errore di aver combattuto per un paese al di fuori del loro territorio (in Giordania e in Libano, invece che in Palestina per quanto riguarda i primi, in Iraq e in Siria al posto del Kurdistan per quanto riguarda i secondi).
Israele e Turchia sarebbero gli unici due Stati a trarre profitto dei sei anni di guerra contro il popolo siriano.
Traduzione a cura di Matzu Yagi.