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Geopolitica di Trump

Trump sta imprimendo una accelerazione alla sua strategia che è nota ed ampiamente annunciata da tempo, pur nel disinteresse e sottovalutazione generale. [Pierluigi Fagan]

Geopolitica di Trump
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3 Aprile 2018 - 09.19


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di Pierluigi Fagan

Pochi giorni fa, Trump ha annunciato che gli USA si ritireranno dalla Siria presto, molto presto, aggiungendo: “Let the other people take care of it now…”. Nel campo delle relazioni internazionali, questo si chiama “scarica barile”, ovvero quando una superpotenza risparmia impegno diretto in un quadrante lasciando siano altri ad affrontare rischi e costi. Potrebbe anche significare lasciare il quadrante alla sua entropia naturale, ovvero aprire una fase di “tutti contro tutti”, lasciar sfogare le dinamiche endogene. Chiamarsi fuori quindi per lasciar spazio ad altri e magari sperare si verrà in seguito richiamati con supplica, quindi con aumentato potere negoziale. Di fatto e se l’annuncio avrà seguito (non è stile di gioco di Trump non fare ciò che dice), Trump dà per chiusa la partita siriana (e che l’abbia data per chiusa ci sono riscontri già da tempo), evita il confronto con l’avanzata in Siria di Erdogan, lascia alla Russia il suo ruolo cardine ma si deresponsabilizza anche per ciò che eventualmente decideranno di fare Israele ed Arabia Saudita. Tutto ciò al netto di quello che invece farà a breve contro l’Iran, ma quella è un’altra partita.

Nella telefonata Trump – Putin del 20 marzo, fonti russe affermano che l’americano avrebbe lanciato al russo l’invito ad un bilaterale in luogo e data da definire. Dopo c’è stata l’espulsione reciproca di diplomatici ma si badi bene, gli USA hanno lasciato alla Russia la decisione di con chi sostituire gli espulsi. Non si tratta quindi di una riduzione di rappresentanza che significherebbe senz’altro un grande raffreddamento delle relazioni , ma di avvertimento o di azione condotta più badando alla forma che alla sostanza. Sappiamo da tempo che la strategia geopolitica complessiva di Trump prevede — tra l’altro — di provare a staccare Russia da Cina e tutte le punture di spillo registrate recentemente con esibizione reciproca di armi e scontri diplomatici potrebbe preludere proprio all’apertura di una ”grande trattativa”. Sta di fatto che sono mesi che il caso Ucraina è scomparso dai radar e non c’è argomento più immediatamente doloroso da manipolare per davvero alzare la tensione con Mosca mentre il disimpegno in Siria offre sul piatto un ghiotto, parziale, vantaggio.

Dopo la visita di Kim Jong un a Pechino, a metà Aprile ci sarà il bilaterale Trump — Shinzo Abe ed entro maggio, forse, l’incontro diretto USA — Corea del Nord. Nel frattempo, la Corea del Sud ha accettato i diktat americani sul riequilibrio della bilancia commerciale. È questo il primo risultato concreto della guerra dei dazi. Rimangono sospesi i dazi verso l’Europa, anche qui in attesa che la trattativa sulle nuove regole del commercio USA-UE abbia esito positivo o negativo.

Infine, mentre continua il bombardamento ad Amazon ed al comparto più globalista dell’economia americana (la finanza è capitolo a parte), cioè l’hi-tech digitale, si annunciano dazi massicci verso la Cina, circa 60 mld US$. Promessi già forse per la prossima settimana, rimarranno però sospesi per altri 30 giorni in cui rimarrà aperta la finestra della trattativa. Sebbene ritualmente fiocchino analisi sul fatto che Trump ed i suoi non capiscono niente di economia, esattamente come avvenne per la Brexit, qualcuno (un articolo del Sole24Ore) comincia a capire che la razionale sottostante è geopolitica e non strettamente economica. Chissà, forse prima o poi i padroni delle narrazione dominante, penderanno atto che il paradigma è cambiato e che l’esperto economico non è più in grado di leggere fenomeni che rispondono ad altro ordinatore. Distruzione creatrice quindi, meno economisti e più geopolitici.

Concludendo l’interlocutorio punto di aggiornamento, Trump sta imprimendo una accelerazione alla sua strategia che è nota ed ampiamente annunciata da tempo, pur nel disinteresse e sottovalutazione generale. Tatticamente certo c’è l’incombenza delle elezioni novembre prossimo, strategicamente c’è il disegno di ri-sottomettere a giri ancor più stretti l’Europa e la Germania nello specifico (Germania che nel frattempo ha dato definitivo via libera al raddoppio del North stream 2 nel Baltico), il tentativo di staccare Russia e Cina o quantomeno problematizzare la relazione, la decisa ed a questo punto chiara volontà di contenere e mettere sempre più in difficoltà l’unico vero concorrente che rischia di portare l’attuale configurazione multipolare sbilanciato a bilanciato: la Cina.

Come già scritto nell’articolo sul conflitto permanente, la questione è sia complessa che lunga quindi mettiamoci comodi e vediamo come andrà a finire, seguire gli sviluppi di strategie mal si coniuga con l’ansia quotidiana. Segnalo infine che non è chiaro il fine ultimo di Trump. Potrebbe trattarsi di riequilibrio, prender tempo, contenere l’avanzata cinese e quindi difendere l’ancora ampio primato da multipolare sbilanciato che gli USA mantengono e manterranno ancora per un po’ (quanto “un po’ è da vedere”), incluso un tentativo di ri-bipolarizzare lo scenario oppure un rivedere i legami di interdipendenza in preparazione di un confronto più deciso e risolutivo. Ma ne riparleremo più in là, se Trump riuscisse nei suoi intenti, abbiamo altri sette anni davanti.

 

 

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