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Il Venezuela, un paese sotto assedio

Torno dal Venezuela ancora più convinto del sostegno alla rivoluzione bolivariana e della necessità di impegnarci a fondo per sostenerla. [Giorgio Cremaschi]

Il Venezuela, un paese sotto assedio
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2 Giugno 2018 - 08.21


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di Giorgio Cremaschi

 

Ho partecipato ad una missione internazionale di accompagnamento alle elezioni presidenziali venezuelane. Per l’Italia erano state invitate forze politiche di tutti gli schieramenti, io c’ero per Potere al Popolo, chi non è venuto lo ha fatto per sua scelta.

Anche l’Unione Europea era stata invitata a mandare suoi osservatori, ma ha rifiutato contestando le elezioni prima ancora che esse avvenissero. Di conseguenza era abbastanza paradossale la composizione delle delegazioni, oltre 40 paesi con un centinaio di osservatori. Quelle occidentali erano formate in gran parte da militanti di movimenti e forze di sinistra all’opposizione, con qualche parlamentare. Quelle di Asia, Africa e America Latina erano molto più istituzionali e governative. L’intera Unione Africana aveva inviato una ambasciatrice come sua rappresentante. Già nella composizione degli “osservatori” c’era dunque una ribaltamento dei rapporti di potere tra quello che una volta si chiamava terzo mondo, e l’occidente imperiale. Lo stesso ribaltamento di ottica è necessario per capire cosa succede e come ci si schiera in Venezuela e in tutto il mondo terzo. Da un lato c’è l’imperialismo occidentale, sì proprio il vecchio imperialismo vivo e vegeto, dall’altro tutti coloro che in un modo o nell’altro lo contrastano o son da esso combattuti. Chi è contro l’imperialismo spesso non persegue affatto politiche socialiste, ma solo politiche di indipendenza nazionale. Però basta questo a volte per essere messo nel conto dei nemici della civiltà occidentale. Viste dal Venezuela le differenze e i conflitti tra La UE a trazione Merkel e gli USA di Trump scompaiono: la loro aggressiva guerra, per ora solo economica contro il governo bolivariano li accomuna senza alcuna distinzione.

La fortuna/sfortuna del Venezuela si chiama petrolio, di cui il paese è ricco con una riserva pare superiore a quella dell’Arabia Saudita. Nel 2007 Chavez ha nazionalizzato totalmente l’estrazione e la produzione petrolifera. Non solo quella già in mano ad un finto ente di stato in realtà in mano alle multinazionali, ma anche quelle che le compagnie petrolifere occidentali gestivano in proprio. Da allora la guerra al chavismo delle vecchie classi dirigenti venezuelane, che già nel 2002 avevano fallito un colpo di stato, si è saldata con quella del capitalismo multinazionale. Sono quasi dieci anni che il Venezuela subisce una aggressione economica che ora è diventata un vero e proprio blocco.

Le elezioni

Ma torniamo alle elezioni, di cui abbiamo potuto verificare i meccanismi, discutere con i rappresentanti dei candidati, ispezionare alcuni seggi durante le operazioni di voto

Come gruppo di osservatori internazionali siamo stati in una scuola dove si stavano organizzando nove seggi e abbiamo seguito l’organizzazione di uno di loro. Prima di descrivere la procedura di voto, vorrei però soffermarmi sugli scrutatori e sui presidenti di seggio. In base alla legge essi sono gente del quartiere in cui si vota, estratti dalle liste elettorali e chiamati ad un compito che è considerato dovere civico e che si può rifiutare solo per comprovati motivi. Essi sono quindi tutte persone del popolo, la più semplice e normale, il volto segnato dalle fatiche quotidiane.

Il voto è integralmente e ovunque elettronico, con 45000 computer distribuiti in tutto il paese. Il riconoscimento dell’elettore avviene con il suo documento e poi con l’impronta digitale del pollice su un mezzo elettronico. Solo se questa corrisponde al nome contenuto nel registro degli elettori si attiva il computer per il voto. A questo punto l’elettore accede allo spazio isolato e coperto, un tavolo cabinato, nel quale si vota. Con il dito tocca il volto del candidato nella lista prescelta sullo schermo, e poi lo conferma al computer. La macchina emette la ricevuta con il voto, l’elettore la piega, esce dalla cabina, la introduce in un’urna. Poi conferma che ha votato nell’apposito albo degli elettori del suo seggio con firma ed impronta digitale, questa volta all’antica, con l’inchiostro.

Lo spoglio dei voti avviene con le ricevute nelle urne e con il conteggio elettronico. Solo se coincidono i dati vengono inviati con un modem al centro calcolo nazionale. Tutto il processo è per via elettronica, una via inattaccabile come hanno detto tanti esperti. E come ha confermato Luis Zapatero, presente in Venezuela come mediatore internazionale tra governo e opposizioni, che ha parlato di elezioni sostanzialmente corrette e in ogni caso svolte con lo stesso metodo già utilizzato nel passato, anche quando alle legislative vinsero le opposizioni. Opposizioni che invece questa volta si sono divise, con il loro leader, l’ultra reazionario Borges teleguidato da Trump, che ha deciso di boicottarle, mentre un altro loro esponente, Falcon, ha deciso di presentarsi.

La campagna elettorale è stata libera, abbiamo potuto incontrare i rappresentanti di Falcon e degli altri candidati minori, che hanno protestato per la mancanza di par condicio sulle tv, anche se tutti i mass media internazionali, liberamente visti ovunque, sono contro il governo. Hanno inoltre lamentato l’organizzazione capillare dei gazebo pro Maduro, che hanno denunciato come condizionamento del voto anche se sono stati collocati, per accordo tra tutti, ad almeno 200 metri dai seggi. Nessuno dei rappresentanti dei candidati ha però lamentato ostacoli o impedimenti alla propria campagna elettorale, dai comizi alle gigantografie dei leader che gareggiavano con quelle di Maduro. E soprattutto nessuno ha messo in dubbio la segretezza del voto. Anzi i rappresentanti di Falcon, che aveva un programma ultraliberista e di apertura totale alle multinazionali, ci hanno detto di aver incontrato esponenti della UE e di aver capito che l’Unione avrebbe riconosciuto il voto se essi avessero vinto.

Il giorno del voto ho visto ai seggi tante file ordinate, con persone tranquillamente sedute, come si usa in quel paese dove il voto è anche un momento di incontro e festa. I rappresentanti dei vari candidati presenziavano nei centri di voto ove era assente ogni propaganda elettorale. Il voto era segreto, dunque anche se ci fossero state pressioni gli elettori avrebbero potuto tranquillamente ignorarle nel segreto di un voto assolutamente non riconoscibile.

Alla fine hanno votato 9 milioni e 700mila persone, quasi la metà dei 20 milioni di aventi diritto. Il boicottaggio dell’opposizione ha concorso a far mancare circa il 20% rispetto al circa 70% di partecipanti alle precedenti elezioni presidenziali. Maduro ha ricevuto 6 milioni e 700mila voti, quasi il 68%, Falcon meno di 2 milioni di voti e il terzo candidato, il centrista cristiano Bertucci, meno di un milione; quasi nulla hanno avuto altri candidati minori.

Maduro ha preso meno dei voti ricevuti nella precedente elezione, ma l’opposizione difficilmente avrebbe vinto con una tale frantumazione delle sue candidature e soprattutto perché la violenza omicida delle sue sommosse di un anno fa, le famigerate Guarimbas, le ha alienato una parte del consenso che aveva raccolto. Per cui difficilmente tutti i suoi passati sostenitori sarebbero tornati a votarla. Per questo la parte più violenta e golpista di essa ha deciso di rifiutare il voto: avrebbero perso.

Il consenso a Maduro e al potere bolivariano

Il consenso a Maduro e al potere bolivariano è quello di un blocco sociale e politico popolare e di sinistra che resiste a condizioni terribili. In Venezuela c’è l’iper inflazione, un litro di latte costa un milione di bolivares, la moneta locale, con stipendi medi di tre milioni. Come fanno a vivere allora? Con sistemi organizzati di distribuzione sociale dei beni fondamentali, e con tanti espedienti e aiuti. Le medicine mancano perché vengono accaparrate. Un gesuita, padre Numa, ha denunciato i trucchi e i falsi aiuti anche della Caritas. Se si gira per Caracas la quantità di negozi chiusi è impressionante come nell’Atene colpita dalla Troika.

Tutto questo è prima di tutto il risultato di una guerra economica terribile sul piano internazionale e di un vero sabotaggio all’interno del paese. Le sanzioni ed il blocco economico organizzati da USA e UE sono la causa principale dell’iper inflazione, per capirci siamo al gioco sullo spread che noi ben conosciamo svolto alla ennesima potenza. All’interno i monopolisti privati locali (sì, ci sono ancora), usano la produzione come arma. La farina di mais è in mano ad un solo produttore/distributore, che la amministra a seconda dei cicli elettorali.

Il governo ha rifiutato ogni politica di tagli sociali, all’opposto di quello che stanno facendo Macrì in Argentina e il golpista Temer in Brasile. Non c’è aumento della povertà nonostante le condizioni economiche. La struttura sociale pubblica tutela ed istruisce la popolazione. Abbiamo visitato il centro delle orchestre popolari, più di un milione di ragazzi poveri seguono le scuole sociali di musica. Una cosa impensabile da noi.

Ciò che è mancato dal governo, e che raccoglie critiche anche da chi lo sostiene, è un piano di controllo sul sistema economico, ancora in gran parte in mani private e totalmente ostili al chavismo e al socialismo bolivariano.

Le asperità della guerra economica, a mio parere, sono accentuate dal fatto che il sistema bolivariano sia stato non troppo, ma troppo poco socialista, puntando più sulla distribuzione della ricchezza che su un suo reale controllo. Lo si vede anche dal traffico automobilistico di Caracas, fatto in gran parte di macchine di lusso. Coloro che più ferocemente contestano il governo socialista sono quelli che stanno meglio.

In questa situazione il consenso ricevuto dal fronte che sostiene Maduro è miracoloso, è il segno di una resistenza popolare eccezionale. A questo si aggiunge un altro elemento di fondo. Nel 1973 il Cile di Allende sperimentò la stessa aggressione e le stesse difficoltà del Venezuela di oggi. Fu l’esercito in mano agli USA guidato da Pinochet a risolvere la situazione in un bagno di sangue. Questo in Venezuela gli USA non lo possono fare, perché Chavez ha costruito un sistema democratico e popolare in tutti gli apparati dello stato a partire dalle forze armate. È questo che fa impazzire di rabbia l’opposizione golpista, che oramai spera in un intervento militare esterno che parta dai confini con la Colombia.

Ora il governo sta cominciando un corso più consapevole e coraggioso, sta costruendo una nuova moneta interna, il PETRO, e sta varando un piano sociale e di ripresa. Inoltre il prezzo del petrolio sta salendo e, anche se il governo vuole uscire da un sistema economico tutto fondato sulla produzione petrolifera, questo può cambiare le cose in meglio. Il consenso ricevuto nel voto è dunque un segno di forza che spaventa gli aggressori USA e i loro complici europei. Per questo di fronte a elezioni corrette e trasparenti USA e UE hanno intensificato le sanzioni.

Stando nella delegazione internazionale, incontrando persone stupende che lottano e che discutono apertamente di problemi ed errori, ho provato rabbia e disprezzo per la campagna di fake news che descrive il Venezuela come una dittatura senza speranza. Ho visto in essa il peggio dell’imperialismo occidentale e mi sono vergognato della UE, che verso il Venezuela e il suo popolo tocca vertici di rara infamia.

Torno dal Venezuela ancora più convinto del sostegno alla rivoluzione bolivariana e della necessità di impegnarci a fondo per sostenerla.

(30 maggio 2018)

 

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