Cina alla conquista dell’Africa

All’indomani del 7° Forum sulla cooperazione sino-africana, la Cina estende il suo peso in Africa, attraverso finanziamenti destinati a infrastrutture e attività estrattive. [Alessia Amighini]

Cina alla conquista dell’Africa
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2 Ottobre 2018 - 14.49


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di Alessia Amighini*

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All’indomani del 7° Forum sulla cooperazione sino-africana, la Cina estende il suo peso in Africa, attraverso finanziamenti destinati a infrastrutture e attività estrattive. Il rapporto diventa così ancora più sbilanciato, a favore del gigante asiatico. (lavoce.info)

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I risultati del Forum di cooperazione

La cronaca dal 7° Forum sulla cooperazione sino-africana (Focac), svoltosi a Pechino il 3 e 4 settembre, ha sottolineato i profondi legami tra la Cina e l’Africa (53 su 54 paesi) e il ruolo propulsore che la Cina ha assunto nello sviluppo africano. Dal 2000 il Forum formalizza le relazioni tra Pechino e il continente africano e di fatto istituzionalizza la presenza crescente di imprese, capitali, lavoratori e merci cinesi in Africa; quest’anno il presidente Xi ha promesso altri 60 miliardi di dollari di prestiti in varie forme, che si aggiungono ai 136 miliardi già elargiti negli ultimi 17 anni a un alto numero di governi e imprese di stato. La Cina è la fabbrica manifatturiera del mondo ma non dispone di sufficienti materie prime per sostenere il suo sviluppo industriale. E così Pechino da qualche anno usa il suo supporto politico ed economico all’Africa sub-sahariana, ricca di materie e povera di capitali, per assicurarsi gli approvvigionamenti di molte materie prime, tra cui il petrolio. Secondo i dati del Sais (School of Advanced International Studies, divisione della John Hopkins University), il primo paese ricevente è l’Angola, con quasi un terzo (42,2 miliardi), seguito dall’Etiopia con 13,7 miliardi e dal Kenya con 9,8.

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La Cina estende così il suo peso nei finanziamenti all’Africa (il primo donatore/creditore sono ancora gli Stati Uniti), destinati soprattutto a infrastrutture e attività estrattive. La maggior parte dei fondi, infatti, è sotto forma di crediti commerciali, crediti all’esportazione, crediti di fornitura (il primato dell’Angola, per esempio, dipende da 19 miliardi di prestiti commerciali, non prestiti agevolati).

La cooperazione cinese in Africa contribuisce in parte all’assistenza umanitaria e allo sviluppo tramite progetti di responsabilità sociale d’impresa, istruzione, formazione, sanità, sicurezza, ma resta sempre strettamente legata agli obiettivi economici e commerciali di Pechino. Da qui il vasto numero dei paesi beneficiari, pochi dei quali però ottengono gran parte delle risorse (a loro volta concentrate su pochi settori produttivi).

Resta lo squilibrio

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La cooperazione economica e commerciale è volta a facilitare soprattutto gli scambi sino-africani. Peccato però che lo squilibrio commerciale sia uno dei temi più preoccupanti nelle relazioni sino-africane e non si vede come un ulteriore aumento dell’interscambio possa favorire l’Africa, che negli ultimi 15 anni ha importato sempre di più dalla Cina, ma ha esportato sempre meno.

Il problema è che le esportazioni cinesi verso l’Africa consistono soprattutto di macchinari e manufatti, mentre le esportazioni africane verso la Cina sono dominate dal petrolio. Questo tipo di interscambio risponde alla consueta logica del vantaggio comparato: la Cina esporta in Africa i prodotti che le costano di meno (macchinari e manufatti) e importa quelli che le costano di più (materie prime). Ma a lungo andare tale interscambio rischia di fossilizzare la concentrazione produttiva dell’Africa e rende volatili i proventi dall’export, che seguono le stesse oscillazioni del prezzo del greggio. La sensibile riduzione delle esportazioni africane verso la Cina dal 2015 dipende dal calo del loro valore pur con volumi stabili o crescenti.

In questo contesto, porsi obiettivi “comuni” di interscambio totale e non di riduzione del disavanzo africano è il segnale di una forte ed efficace manipolazione degli obiettivi africani a beneficio degli interessi cinesi. Solo 5 dei 60 miliardi promessi sono destinati a un fondo speciale per promuovere l’importazione dall’Africa di prodotti diversi dalle risorse naturali.

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Anche la cooperazione della Cina con l’Unione africana per creare reti infrastrutturali e commerciali che promuovano il commercio e l’integrazione regionale e internazionale rischia di avvantaggiare soprattutto le logiche cinesi. Il commercio intra-regionale è da sempre limitato in Africa, rispetto agli altri continenti, certamente per la mancanza di infrastrutture, ma anche per la scarsa complementarietà delle economie. Solo se le reti commerciali e di trasporto che la Cina ha interesse a costruire in Africa serviranno ad aumentare anche la capacità di esportazione dei paesi africani, oltre che a potenziare le rotte e destinazioni delle esportazioni cinesi, il risultato porterà benefici reciproci.

Xi ha annunciato anche che 10 dei 60 miliardi di prestiti saranno sotto forma di investimenti di imprese. Per le grandi imprese cinesi, l’Africa è un mercato in crescita. Nel 2016, i ricavi annui lordi di quelle impegnate in progetti di costruzione sono stati di 50 miliardi di dollari. La metà dei quali in soli cinque paesi: Algeria, Etiopia, Kenya, Angola e Nigeria. Sono gli stessi in cui si è registrato un forte aumento di lavoratori cinesi, in totale oltre 227 mila alla fine del 2016. La formazione che la Cina si impegna a finanziare in Africa, sempre nei paesi che più le interessano, potrebbe essere un segnale positivo verso una maggiore integrazione del mercato del lavoro locale, ma i risultati ancora non si vedono.

Infine, in alcuni paesi riceventi il peso marginale del debito nei confronti della Cina è molto alto, per esempio a Gibuti, il caso più eclatante, con la quasi totalità del debito estero (80 per cento del Pil) dovuto alla Cina, ma anche in Kenya e in Etiopia. Alla dipendenza economica e finanziaria si aggiunge quella politica dal creditore principale.

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(11 settembre 2018)

 

*Alessia Amighini: Professore associato di Politica economica presso l’Università del Piemonte Orientale e Associate Senior Research Fellow nel programma Asia dell’ISPI. È stata visiting scholar presso il Department of International Business and Economics dell’Università di Greenwich ed economista presso la United Nations Conference on Trade and Development. Ha pubblicato numerosi articoli sull’economia cinese e sull’espansione delle imprese cinesi all’estero su riviste accademiche internazionali quali China Economic Review, China and the World Economy, International Economics, World Development, World Economy. Tra i libri: L’economia della Cina nel XXI secolo (con F. Lemoine), Il Mulino (in corso di pubblicazione); L’économie de la Chine au XXIè siècle (con F. Lemoine), La Découverte (in corso di pubblicazione); China Dream: Still coming True?, ISPI, 2016; Xi Jinping’s policy gambles: The bumpy road ahead (con A. Berkofski), ISPI, 2015 e L’economia della Cina (con S. Chiarlone), Il Mulino, 2006.

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