Calabresi: "giornali ancora liberi, politici invadenti"

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4 Marzo 2010 - 10.26


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Intervista con Mario Calabresi di Davide Pelanda.

«In America le regole delle campagne elettorali ci sono, sono chiare e rispettate da tutti. In Italia non succede sempre questo. L”ho scritto nell”editoriale di oggi (del 3 marzo 2010 ndr): quando si va verso un”elezione non c”è bisogno di meno dibattito ma di più dibattito.

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Quando ci si avvicina all”appuntamento elettorale discutere e dibattere è una necessità, un diritto fondamentale dei cittadini».

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È questa l”opinione di Mario Calabresi – il più giovane direttore di un quotidiano italiano, al timone de «La Stampa» da quasi un anno – sulla decisione della maggioranza di centrodestra della Commissione di vigilanza del Parlamento, ratificata nel consiglio di amministrazione della Rai, che ha portato alla chiusura dei talk show di punta per il periodo elettorale.

Calabresi ha appena compiuto 40 anni (è nato infatti nel 1970) ed è stato nominato alla guida del giornale della famiglia Agnelli il 22 aprile 2009, succedendo a Giulio Anselmi.

Il suo curriculum è certamente degno di nota: è stato giornalista all”Ansa, poi a «la Repubblica», poi a «La Stampa», poi di nuovo a «Repubblica» come corrispondente ed infine oggi a dirigere «La Stampa». E ha anche raccontato l”11 settembre 2001 da New York.

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Ai giovani che vogliono intraprendere la carriera giornalistica cosa dice?

«Penso sia importante darsi un metodo, fare le cose con passione e continuare a coltivare nel giornalismo dei propri interessi, anche se non coincidono con quelli su cui si sta lavorando. Nei miei spazi liberi ho continuato ad occuparmi di politica estera, a seguire le elezioni americane, a leggere, a ritagliare, a fare archivio.Tutto ciò mi ha aiutato perché avevo acquisito quella competenza.

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Quando oggi leggo i curriculum che inviano mi colpiscono quelli di persone che mostrano degli interessi, delle passioni che coltivano in maniera forte: per me quello è una garanzia che c”è un “motore”.»

 

Ma come è arrivato a tutte queste tappe così giovane? Quale è la ricetta?

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«Lavorando tanto, lavorando tanto davvero. Se penso ai miei 30 anni non mi viene in mente un cinema: ho sempre lavorato mettendo veramente tanta passione. E ogni volta concentrandomi su quello che stavo facendo. Il mio sogno fin da ragazzo era quello di fare il corrispondente dagli Stati Uniti. Pensi che ho un archivio sulle campagne elettorali americane cominciato nel 1984 quando avevo solo 14 anni. Ci sono poi arrivato che di anni ne avevo 37».

 

Direttore, chi è a suo parere il miglior giornalista italiano oggi?

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«Eh, (lunga pausa di riflessione) non saprei dire, ce ne sono tanti. No, non mi sono mai piaciute le classifiche. Penso che ce ne siano molti di più di quanto si pensi. Un nome onestamente ora non mi viene».

 

Dopo Giulio Anselmi come ha trovato il giornale? Moderno? Come lo ha trasformato sotto la sua guida? Da rivedere in alcune cose?

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«Penso che Anselmi abbia fatto un grande lavoro, con lui c”è stato il passaggio ad un formato diverso, poi al colore. Mi ha lasciato un giornale autorevole. Purtroppo però sono arrivato nel momento peggiore dell”editoria non solo italiana. Come primo problema, dunque, ho affrontato la crisi della pubblicità, i problemi dei conti. Non era proprio ciò che mi aspettavo. Inoltre i giornali sono obbligati a cambiare, viviamo in una fase di grandi trasformazioni tecnologiche e, per certi versi, drammatica. Ma il cambiamento porta a delle opportunità che vanno sfruttate al massimo».

 

Da quando cӏ lei come direttore le vendite del giornale sono aumentate o diminuite?

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«Nei primi mesi dalla mia nomina sono aumentate. Ho rilevato il giornale con circa 300 mila copie vendute e l”ho portato un po” sopra quella quota. Quando abbiamo aumentato il prezzo le vendite sono diminuite, ma non potevamo fare altro, vista la crisi economica: gli aumenti di prezzo purtroppo fanno diminuire le vendite delle copie. Adesso però ci stiamo stabilizzando ad un livello uguale a quello iniziale e questo è un buon risultato. Siamo tornati ad essere il terzo giornale italiano e sono riuscito a portarlo sopra al Sole24Ore».

 

Ritiene che sia vero che in Italia il giornalismo sia “singolarmente imperfetto” e che “alterare l”informazione prendendo possesso dei media vuol dire disinformare metodicamente i cittadini che voteranno senza sapere per chi votano e per cosa” come ha scritto Barbara Spinelli su «Il Fatto» del 26 febbraio scorso?

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«Che in Italia ci sia una anomalia è fuor di discussione. La si vede e lo si è visto anche negli ultimi giorni in questa campagna elettorale. Penso che, nel momento in cui si parla di libertà dei giornalisti e di mancanza di libertà, ognuno di noi e soprattutto ogni direttore è il primo responsabile: se è libero informa, oppure non lo fa. Ciascuno di noi decide quanto è dritta la sua schiena e quanto ha voglia eventualmente di opporsi. Non esiste Paese al mondo in cui sia semplice fare le pulci al potere o essere critici. Non raccontiamoci che negli Stati Uniti o in Francia sia facile farlo, anche lì bisogna fare delle battaglie. Penso che ognuno dei giornalisti debba risponderne, e sia responsabile di quel che fa».

 

In sostanza oggi in Italia la libertà d”informazione esiste o no?

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«Basta andare in una edicola e ci si rende conto che esiste. Se guardiamo a tutto il complesso informativo penso che ci sia, soprattutto in televisione, un problema antico che oggi si è aggravato: un eccesso di presenze e controllo della politica».

 

L”effetto sulle classifiche di libertà nell”informazione è negativo. Come considera il fatto che l”Italia di oggi al pari della Thailandia di qualche anno fa abbia il maggiore proprietario di mezzi di comunicazione (Tv e giornali) che contemporaneamente occupa la responsabilità di capo di Governo?

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«Sono sempre stato scettico su questo genere di classifiche, non penso ci diano davvero la realtà dei fatti. La nostra televisione ha una grande anomalia che esiste da sempre: di qualunque colore sia stata, la politica ha sempre avuto un potere di nomina nella tv pubblica. Detto questo non possiamo dire che non ci siano anche voci dissonanti e che manchi il dibattito».

 

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