Nel cuore della società dello spettacolo

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7 Ottobre 2010 - 14.23


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Intervista di Giulietto Chiesa a Carlo Freccero.

Carlo Freccero, uno dei cervelli più brillanti del mondo dei media in Europa, è stato esautorato dalla direzione di Rai4, al tempo in cui in Rai si censura e si epura ferocemente per conto del Caimandrillo.

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Pubblichiamo l”intervista che Freccero ha rilasciato a Giulietto Chiesa qualche mese fa sul quarto numero della rivista COMetA, “La strategia del caos.

La politica spazzata via dalla prevalenza del capitale finanziario su quello produttivo. La sconfitta delle lotte operaie e l”accettazione culturale del consumismo dilagante. La televisione commerciale prende in carico e alimenta questa svolta, frantumando il suo pubblico e parcellizzando il messaggio. Questi e altri temi cruciali, al centro dell”incontro tra due intellettuali che analizzano il presente e il futuro del mezzo di comunicazione di massa che sta cambiando lo scenario della nostra democrazia.

Indaffarato e vulcanico come sempre, Carlo Freccero mi riceve in un ufficio dalle pareti tappezzate di prospetti, orari, palinsesti.

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Se c”è una persona in Italia che sta vivendo, letteralmente, l”inizio della fine della televisione generalista, è proprio lui, che ne ha visto la nascita, anzi che ne è stato la “levatrice”. Oggi Freccero vede tramontare quella televisione che ha plasmato mostruosamente le società moderne e le psicologie di milioni e di miliardi di individui.

Ho appena finito di scrivere un libro nel quale gli ho dedicato un brano intero, paragonandolo a Robert Oppenheimer. Glielo dico. Mi guarda un po” strano. Non credo che avesse mai pensato di poter essere collocato nella stessa categoria di pesi di un fisico che è stato tra gl”inventori della bomba atomica e che, alla fine, dopo Hiroshima e Nagasaki, resosi conto della tremenda responsabilità morale che si era accollato, si pentì e visse gli ultimi anni della sua vita a metà strada tra l”eroe e il reietto, senza pace, dentro la società americana che lo guardava, incredula e sdegnata, come un traditore.

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Che ne dici, Carlo? Anche tu hai inventato una “bomba atomica”, sebbene la tua non abbia prodotto una Hiroshima. O, meglio, è stata una esplosione metaforica, relativamente lenta. I morti neanche si sono visti. Ma il guasto è stato immenso. Oppenheimer si è pentito, alla fine. E tu?

[La risposta viene dopo qualche decina di secondi, non subito. Ma arriva chiara]

Sì, mi sono pentito. Anche se tutto era già scritto, era nelle cose. E sarebbe avvenuto anche a prescindere da Berlusconi. Noi non abbiamo fatto altro che accompagnare il processo di americanizzazione della società italiana. Quella sì che è stata come un”esplosione. La globalizzazione ha trasformato il produttore in consumatore, ha demolito le classi sociali, le ha trasformate. E alla classe ha sostituito l”individuo. Tutto questo è avvenuto prima della caduta del muro.

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Si potrebbe dire, io questo penso, che sia stato questo insieme di processi possenti che ha provocato la caduta del muro…

È così che la penso anch”io: la politica è crollata dopo che il capitale finanziario ha soggiogato il capitale industriale. E quando le lotte operaie sono state sconfitte, con esse è sparito il contraltare critico a quanto stava avvenendo. La tv commerciale incarna questa svolta, la diffonde e la moltiplica. E l”accettazione del consumismo dilagante sommerge ogni visione critica, ogni aspirazione al cambiamento. È chiaro che, in un contesto di questo genere, il pensiero unico sarebbe diventato dominante. Erano i suoi binari che si andavano costruendo. Ed è qui che l”anomalia italiana ha preso forma fisica, trasformando pienamente la democrazia in manipolazione. Così come il mercato era senza regole, così il detentore della televisione è diventato primo ministro.

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Esagerati, questi italiani. Abbiamo inventato il fascismo. E dopo cinquant”anni abbiamo fatto di peggio, sembra.

Molto di quello che è l”Italia di oggi, mediatica all”estremo, è rintracciabile ovunque. È la globalizzazione, bellezza. Ma è vero che qui, più clamorosamente che altrove, l”audience si è trasformata in maggioranza e ha marchiato a fuoco la politica, imprimendole l”ordine del discorso televisivo.

Così direbbe anche Gore Vidal. Nel suo romanzo storico L”età dell”Oro racconta di quei due senatori americani che, all”inizio degli anni ”50, vengono interrotti nel loro colloquio dall”arrivo di una troupe televisiva dell”epoca. E uno dei due dice all”altro: “È arrivata la televisione, Dio salvi i brutti!”.

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Già, la tv italiana è partita con vent”anni di ritardo. E ha superato i maestri americani nell”uso dell”audience per produrre consenso. Così si spiega perché là non c”è mai stato un capo dello stato che era anche padrone delle tv. Ma il meccanismo è lo stesso dappertutto. “Televisione commerciale” significa “pubblicità“. E, quindi, si punta alla massimizzazione degli ascolti, a tutti i costi, anzi a basso costo. Questa è la tv generalista, rivolta a un pubblico indiscriminato.

 

Ma molti pensano che la tv generalista sia ormai in crisi. Si sta già costruendo una nuova strategia?

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Certo che è in crisi. Siamo nel pieno sviluppo di nuovi media, e questi nuovi arrivati lavorano per una parcellizzazione dei messaggi e del pubblico. Una parte della vecchia audience diventa attiva e di fatto collide con il muro della maggioranza, cioè con l”audience. Comunque si guardi la faccenda, la tv generalista sta perdendo la sua centralità. E questo si trasferisce sui consumi, che si orientano verso una differenziazione, una compartimentalizzazione, una frammentazione. I pubblici vengono ora guardati non più in base alle categorie d”età biologiche e anagrafiche. Vecchiume. Adesso i produttori di pubblicità tengono conto di pubblici attivi, con identità e culture diverse, anche contrapposte: black, gay, donne, perfino vampiri. La soggettività dell”uomo bianco entra anch”essa in crisi mentre altre soggettività avanzano. Ma tutto questo non ha nulla di antagonista. Semplicemente si è creato un terreno in cui si sviluppano nuovi modelli di consumo: minoritari, di nicchia, diretti a conquistare microcomunità.

 

Sempre di consumo si tratta. Sotto altra veste, ma non meno coatto.

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L”ho detto. Non c”è nulla di antagonista. È la prosecuzione della vittoria del consumo americano contro la cultura europea. La situation comedy americana era incentrata sulla figura femminile subordinata. Adesso abbiamo Sex and the city. È la nuova fiction americana che ha creato contenuti e consumi diversi che sono il risultato della fine della sudditanza alla maggioranza, anche nei consumi. I nuovi media si basano sul consumatore attivo.

Dunque, siccome l”Europa arriva dopo, toccherà in pieno anche a noi?

In Europa, poiché la società civile è diversa, il processo è stato più lento, anche se già lo vediamo in azione. Sky, per esempio, è già il modello americano che guarda a pubblici differenziati. Obama ha vinto non solo per questo, ma anche perché ha visto in anticipo l”esigenza di parlare a pubblici differenziati.

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Molto si è detto in proposito, sfiorando la retorica…

In tv non è tutto nero o tutto bianco. È in atto un corpo a corpo a tratti drammatico. È come la vita. Ma perché in Italia siamo ancora fermi alla tv generalista? In primo luogo perché l”Italia è un Paese vecchio. Lo è anche demograficamente. Un Paese con un tasso di scolarizzazione medio basso. E questo complica le cose. Arriviamo dopo, trascinati. Reagan disse “neoliberismo” negli anni ”80, e noi dietro. Adesso ci toccherà aggiornarci di nuovo.

Ma è questo quello che dovremmo fare? Aggiornarci a un nuovo avvitamento consumistico di tipo settorializzato? Non ti pare che anche la società americana sia ormai in piena crisi proprio per questo consumo spasmodico che, tra l”altro, ha azzerato il risparmio delle famiglie?

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Non credo che il consumismo sia eterno. Il modello neoliberista mostra larghe crepe che non sembrano riparabili. Diciamo che questa società, con questa intensità di consumo, non è sostenibile. E penso che chi fa comunicazione oggi non possa più eludere questo problema.

[Questa volta la pausa che Carlo Freccero si concede è lunga. E colgo l”attimo per fargli la domanda che, per me, è quella da un milione di dollari]

La macchina imponente della società dello spettacolo continua a funzionare a pieni giri mentre è evidente che produce disastri. È ancora possibile fermarla? O, ancora più difficile, invertire il suo funzionamento? Mettere la marcia indietro?

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[Sul tavolo ci sono diversi fascicoli, articoli e saggi appena pubblicati; altri, appena scritti da Freccero, che stanno per uscire. Li sfoglia soprappensiero. Non sembra del tutto convinto]

Sto lavorando su questa traccia, ma devo dire che i segnali sono negativi. Si è aperto un altro capitolo della mia vita. Cosa diventeranno i nuovi media , dopo questo corpo a corpo, dopo questa transizione, è tutt”altro che definito.

Un pubblico differenziato, di monadi incollate allo schermo del computer, consumatrici di nicchia, è meglio del consumatore coatto della tv generalista?

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Internet è stato ed è una gigantesca macchina in evoluzione. È un dato di fatto che i grandi media rimuovono e censurano la verità. La rete ha aggirato l”ostacolo con la controinformazione. Ma anche questa è in crisi. Non ci sono soltanto trame occulte da scoprire quando c”è a disposizione un”enorme quantità di cose nuove. Nello stesso tempo, infatti, la rete settorializza. E questo significa che il privato si sostituisce al politico, le emozioni predominano, la protesta si trasforma anch”essa in consumo e addirittura si muove per difendere i diritti del consumatore più che quelli del cittadino. Io uso il libro di Stella, La casta come un documento guida. Tutte le contestazioni che la “casta”, la classe politica, solleva con il suo agire, sono di fatto riconducibili a contrasti economici di consumo.

Ahi ahi, questo ti metterà in contrasto con gli adoratori della rete, che sono molti e pensano di fare la rivoluzione “in” rete e “con” la rete. Cosa dici a tua discolpa?

Grillo dice che i giornali e la tv sono obsoleti perché ormai le notizie si vedono su internet. È una cavolata, perché i giornali sono un”altra cosa, appunto, cavoli a merenda. Su internet non puoi trovare molte cose che i giornali ancora contengono, ad esempio la mediazione giornalistica. Report di Milena Gabanelli, per esempio, sta sulla tv generalista ed è il miglior prototipo del giornalismo d”inchiesta. Ecco un importante lavoro di intermediazione professionale. Nello stesso tempo esso non si propone affatto come coscienza critica, non fa altro che mobilitare potenziali class actions, che difendere consumatori che si ritengono truffati. È uno dei molti sintomi del fatto che la politica si è trasformata in un”assemblea di condominio. La class action è la sepoltura di un vero cambiamento sociale. Siamo interamente all”interno del pensiero unico.

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Ma, di fronte a tutti questi cambiamenti, diciamo pure rivoluzionamenti, la sinistra cosa ha fatto? Sartori scrisse un bel libro, Homo videns, che venne snobbato proprio dai “televisivi” di sinistra e ignorato da tutti gli altri.

La sinistra ha avuto un ritardo pauroso sui temi della comunicazione. Sartori, peraltro, fotografava la tv generalista che oggi non è più dominante. Quell”analisi non è più attuale perché i messaggi sono più complessi. Lo spettatore è un attivo partecipante e viene coinvolto da un meccanismo di “sforzo più ricompensa” che si vede bene in azione nei videogiochi. Lo spettatore, giovane, deve essere capace di performance. Il linguaggio non è più lineare. Il nuovo immaginario prodotto da questi media è artificiale, è tutta una Second life dove lo spettatore sfoga le sue paure e rimedia alle sue frustrazioni. Ma anche questa seconda vita è interamente plasmata dal marketing.

Dici che Sartori è superato, ma il meccanismo manipolatorio, seppure dislocato in parallelo, funziona perfettamente anche in questa logica?

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Non c”è dubbio, ma questa transizione può produrre anche momenti di resistenza al modello dominante. Il controllo è più complicato e possono aprirsi smagliature. Segnali in questa direzione già ci sono.

 

Io penso al successo della Lega. Paure, frustrazioni, fuga dalla globalizzazione sono fatte proprie da destra in chiave xenofoba, di chiusura nel provincialismo, nel separatismo.

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È una risposta regressiva a una condizione umana infelice. Che può avvenire in un contesto in cui non vi sono idee forti che diano risposte forti in altra direzione. Se queste non ci sono, le giovani generazioni possono reagire, nel vuoto pneumatico presente, pensando a un futuro da Avatar. La sinistra non è stata capace di inventare un nuovo discorso, una “nuova narrazione”, come si usa dire adesso. Ha accettato il pensiero dominante, con la sola idea di correggerlo un pochino. Impossibile arginare, con questi mezzi, il procedere micidiale della macchina assorbente e mistificante.

Ma i segnali di cui parli quali sono, dove sono?

Non parlo della sinistra italiana, che non conta. Parlo del mondo intero, dove gli interrogativi sono ancora aperti. Questa è una transizione da una situazione a un”altra.

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La domanda che ti faccio è allora questa: è possibile una discontinuità, una rottura nel meccanismo di dominio? Io l”ho chiamato la “grande fabbrica dei sogni e della menzogna”.

Non sono per niente ottimista. Non credo che i nuovi media stiano democratizzando l”informazione e la comunicazione. “Nuovo” non vuole dire necessariamente “più democratico”. Può voler dire soltanto “più carico di emozione”. Si può solo dire che entriamo in una nuova cultura che sarà maggiormente audiovisiva della precedente.

Quello che manca è un pensiero critico, di rottura.

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Che infatti aspetta di essere elaborato. Il dato attuale è che anche i fenomeni di contestazione nascono all”interno della tv generalista. Santoro è tutto “dentro” la tv generalista: ha creato un fuoricampo “dentro” la tv generalista.

Ma questa definizione, che ritengo giusta, ha un interfaccia positiva o, per meglio dire, presenta una possibilità di azione politica. Milioni di persone sono nate e sono state svezzate dentro la tv generalista. Se gli dai qualche cosa del tutto diverso non le sedurrai. Ci vuole, in questo senso, anche una transizione, in cui parte del nuovo si mescola con parte del vecchio. Penso a Rai per una notte. Che, con la sua formula multipiattaforma, ma anche con le sue facce popolari, è stata molto simile al progetto di Pandora tv che avevo lanciato ma che non è riuscito a decollare. Solo che io l”avevo proposto non come “una sortita democratica” una volta tanto, ma come un nuovo “canale”, un appuntamento quotidiano dell”Italia democratica. Insomma un modo per mettere i piedi nel piatto del dominio altrui. Sbaglio?

Che la sinistra, tutta, non abbia capito l”importanza politica della tv ormai lo sappiamo. Il guasto è stato profondo. I partiti politici di sinistra si sono allineati alle richieste, artificialmente prodotte a loro volta, degli elettori manipolati. Per questo hanno perduto contenuti. Appartenere a un partito, oggi, è anch”essa operazione di consumo, di connessioni, di conventions, di primarie. In questi contenitori non può nascere nessun pensiero critico. Tu dici che dobbiamo organizzarci per reagire. Io rispondo che dobbiamo farlo, ma non con schemi vecchi. Quelli non funzioneranno. E mentre noi siamo ancora fermi a questo, l”editto bulgaro si è sostanzialmente affermato, diventando consuetudine, se non legge. Era una linea editoriale vera e propria. Nessuno fino ad ora l”ha contrastata.

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Fonte: COMetA.

 

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