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La discussione in calce al primo post sul «Potere Pappone» non accenna a spegnersi e nemmeno a calare di intensità . Nel momento in cui scriviamo, siamo intorno ai 350 commenti e il livello è davvero molto alto. Nel frattempo, sono accadute due cose che, se possibile, mettono altra carne al fuoco. O meglio: cucinano in modi inattesi gli stessi ingredienti, fornendo ulteriori spunti, esempi, chiavi di lettura.
Lunedì scorso, nel prime time di Rai 3, è andato in onda il «doppio elenco» di Fini e Bersani sui valori della destra e della sinistra.
Ieri sera siamo andati alla prima bolognese dell”ultimo film di Guido Chiesa, Io sono con te.
Il mesto doppio elenco possiamo analizzarlo subito, perché lo avete visto tutti, o comunque ne avete letto.
Il film di Guido, invece, uscirà nelle sale soltanto venerdì sera (in sole 15 copie, ahinoi). Ci è piaciuto molto. Lo ammettiamo, avevamo dei timori, dovuti anche alla lettura di recensioni e interviste. L”opera, invece, ci ha sorpreso in positivo. Certo, ci sono dei punti critici (di cui vorremmo discutere con voi), alcuni passaggi rischiano di idealizzare la figura materna, ma Io sono con te tocca con sensibilità tutti i temi su cui stiamo dibattendo ultimamente:
– la donna come fondatrice di una genitorialità liberante e non apprensiva;
– la donna come portatrice non solo della propria differenza ma di un universale;
– l”universale come rottura della Legge che fonda ogni divisione: puri e impuri, ebrei e gentili, liberi e schiavi, donne e uomini, adulti e bambini etc.
– la messa in crisi del modello mentale del Padre Severo;
– l”affermarsi di una figura di padre disposto ad apprendere dalle relazioni e interrompere la coazione a ripetere.
A costo di sembrare patetici: questo film merita di sopravvivere nelle sale, di resistere all”urto del primo week-end di programmazione e, magari, di conquistare qualche schermo in più. Chi può vada a vederlo, perché la prossima settimana vorremmo parlarne in modo approfondito, insieme.
E ora passiamo alle cose brutte.
Premessa: dal segretario del PD non ci aspettavamo certo affermazioni radicali, estreme, rivoluzionarie. Sappiamo da sempre che quel partito non rappresenta il nostro modo di intendere la politica. Ciononostante, ci aspettavamo quantomeno delle affermazioni. Non le abbiamo sentite.
Bersani parte bene. Il primo punto del suo elenco è la necessità di rovesciare la narrazione dominante, cambiare punto di vista e far scaturire da una differenza (i più deboli) una verità universale, valida per tutti. Una mossa che abbiamo invocato spesso contro le storie tossiche del potere.
«Se guardi il mondo con gli occhi dei più deboli puoi fare davvero un mondo migliore per tutti»
L”unico appunto che si potrebbe fare è sulla scelta di “più deboli” come etichetta per nominare il nuovo punto di vista. E” un etichetta, appunto, debole, anche per il ricorso al comparativo (“più deboli”). Già il termine “esclusi” poteva funzionare meglio. Gli esclusi possono ribellarsi e rovesciare la loro condizione. I deboli sono destinati alla sconfitta. Essere esclusi è una condizione storica, dovuta ai meccanismi sociali. Essere deboli è una caratteristica naturale, legata all”individuo. Si poteva scegliere “oppressi”, “emarginati”, “ultimi”, al limite il cattolicissimo “umili”. “Più deboli” fa venire in mente Guzzanti nei panni di Joda/Veltroni che consiglia al portiere del Centrosinistra: “Usa la debolezza” e finisce con l”ipnotizzarlo prima di un calcio di rigore.
Non a caso, dopo questo attacco, l”elenco comincia subito a infiacchirsi. Bersani smorza l”affermazione successiva, sembra che si vergogni della sua forza, dice una verità e allo stesso tempo la sminuisce. Forse vorrebbe essere ironico: ma allora l”intenzione è peggio del risultato. Avvalla l”idea di una sinistra poco convinta, poco affermativa, debole, insicura, che quasi chiede scusa per le sue idee.
«stai bene se anche gli altri stanno un po” bene»
Noialtri, quando dobbiamo rivedere le bozze dei nostri romanzi, partiamo sempre da una ricerca con i termini «un po”» e «quasi», per poi sterminarli. Non ha senso tirare in ballo un”idea per poi indebolirla. Se vuoi dire che un tizio è “quasi convinto” devi trovare una parola della lingua italiana che esprima quel concetto, ma in maniera piena, non approssimativa. La parola c”è, puoi star sicuro. Usare “quasi” è un segno di pigrizia e di pressapochismo. La lingua dev”essere esatta, affilata, tagliente.
Da qui in avanti la lettura di Bersani sprofonda sotto una valanga di negazioni e scenari negativi.
«Se pochi hanno troppo e troppi hanno poco, l”economia non gira»
Al di là del concetto espresso – condivisibile o meno – è l”espressione stessa ad essere perdente. La cuspide della frase è l”immagine deprimente dell”economia che non gira. Per evitarla, basterebbe dire che una distribuzione equa della ricchezza non è solo giusta, ma anche economicamente desiderabile. Stesso discorso per la frase successiva:
«L”ingiustizia fa male all”economia»
Ma andiamo avanti.
«Ci vuole un mercato che funzioni, senza monopoli, ecc.»
George Lakoff insegna che non si può “negare un frame”. Bisogna combatterlo con un frame diverso. Se mi parli di mercato senza questo e senza quello, nel mio cervello attivi e rinforzi il concetto di “mercato”, punto e basta. I tuoi “senza” valgono zero, come la negazione “non” quando mi ordini di “Non pensare all”elefante”. La frase successiva, da questo punto di vista, è ancora peggio.
«Ci sono beni che non si possono affidare al mercato»
Molto meglio sarebbe dire che ci sono “beni comuni” , elencarli, e sostenere che lo Stato deve garantirli in certe forme. Bersani invece ci sta dicendo che il mercato va bene, a patto di essere buoni. Qualcuno, in passato, diceva la stessa cosa del colonialismo.
Si arriva così alla parte sul lavoro:
«Un”ora di lavoro precario non può costare meno di un”ora di lavoro stabile»
Qui l”andamento “in negativo” dell”elenco combina un vero disastro. Invece di sostenere che il lavoro dev”essere una garanzia, dev”essere stabile e via discorrendo, Bersani finisce per dirci che il lavoro precario va bene, purché non costi meno di quello stabile.
Anche il discorso sulle tasse non esce da questo schema:
«Chi non paga le tasse mette le mani nelle tasche di chi è più povero di lui»
Dovresti dirmi, piuttosto, che chi versa le tasse contribuisce al bene comune e che lo Stato mi deve garantire che il mio contributo venga utilizzato in questo senso. “Contributo”, “contribuente”, “bene comune”, “equità “: sono queste le parole chiave affermative che si dovrebbero usare parlando di tasse.
Anche sulla salute, sulla scuola, sull”ambiente e sull”eutanasia il discorso è tutto in negativo.
«Davanti a un problema serio di salute non ci può essere né povero, né ricco»
Mentre è chiaro che poveri e ricchi ci sono, ma devi garantire a tutti le stesse cure.
«indebolire la scuola pubblica vuol dire rubare il futuro ai più deboli»
Mentre dovresti dirmi che rafforzare la scuola pubblica significa dare un futuro ai nostri figli.
«Non abbiamo il diritto di distruggere quello che non è nostro»
Mentre abbiamo il dovere di rispettare l”ambiente perché anche noi siamo l”ambiente.
«Se devo morire attaccato a mille tubi, non può deciderlo il parlamento»
e poi bisogna
«combattere contro ogni illegalità »
Frase vaghissima e negativa, quando invece dovresti spiegarmi perché ritieni la legalità un valore di sinistra.
Ma la degna conclusione di questa retorica oppositiva è la frase finale dell”elenco.
«combattere l”aggressività che ci abita dentro»
L”enunciato non è solo contraddittorio (“essere aggressivi contro l”aggressività “?) e pericoloso dal punto di vista psichico, ma ancora una volta si basa su una visione in negativo dell”essere umano, che per essere “di sinistra” dovrebbe reprimere una sua caratteristica naturale. Al contrario, se proprio vogliamo metterla in questi termini, essere di sinistra non ha nulla di innaturale. Le neuroscienze dimostrano che l”empatia è cablata nel nostro cervello. Siamo “fatti” per capire gli altri e per collaborare. Questa nostra potenzialità , sempre secondo Lakoff, è alla base del modello narrativo che incornicia la visione “progressista” della realtà : il modello del Genitore Comprensivo, incentrato appunto sull”empatia e sulla cura.
Il discorso di Bersani fallisce perché non riesce a iscriversi in questo modello e d”altra parte non propone nessun frame alternativo, se non – per negazione – quello dell”avversario politico.
Fini, spiace dirlo, ha impostato il suo discorso in maniera più efficace. Il suo modello di riferimento è quello del Padre Severo, e lo sostiene con grande assertività . Così facendo rischia di far breccia nel cuore di molti moderati, pronti a dimenticare che il buon Gianfranco ha retto il moccolo a Berlusconi per 16 anni, firmando le due peggiori leggi dell”attuale ordinamento: quella sulle droghe e quella sull”immigrazione.
Il primo concetto che Fini introduce è la cittadinanza come premio e non come diritto.
«E” bello, nonostante tutto, essere italiani. Perché è un piccolo privilegio»
«i figli degli immigrati onesti, domani, saranno anch”essi cittadini italiani»
Messa giù in questi termini – onestà , privilegio – anche un”idea deteriore di cittadinanza può apparire positiva. “Un passo avanti” rispetto all”immagine “razzista” che la destra italiana si porta dietro dai tempi del fascismo. In realtà , anche sotto il fascismo – prima delle leggi razziali – i sudditi coloniali potevano acquisire la cittadinanza italiana, purché la meritassero con particolari dimostrazioni di fedeltà . Nel 1933 venne introdotta una legge che permetteva ai meticci, figli di padre italiano, di ottenere la cittadinanza anche se non erano stati riconosciuti. Lo scopo ultimo – secondo il ministro delle colonie De Bono – era quello di evitare il formarsi di “un nucleo di popolazione meticcia”, non inquadrato né tra gli indigeni né tra gli italiani, e dunque “elemento di pericolosa irrequietezza”. Nell”applicare la legge, però, il governatore dell”Eritrea concordò con i giudici di escludere “i meticci di cattiva condotta” e quelli sposati o conviventi con donne eritree. Inoltre, il conferimento dell”ambito “premio” doveva considerarsi “revocabile”.
Rispetto a questo quadro – cittadinanza come premio, cittadinanza come forma di controllo e cittadinanza patrilineare – il discorso di Fini produce uno scarto solo rispetto all”ultimo elemento. L”unica negazione contenuta nel suo elenco, riguarda infatti i padri e la Patria.
«La Patria, da qualche tempo, non è più soltanto la terra dei padri»
La cittadinanza-premio diventa così il concetto cardine che può tenere assieme il modello conservatore del Padre Severo e l”idea di Patria come terra dei figli.
«Destra vuol dire cultura dei doveri»
«Chi sbaglia paga, prima o poi, e chi fa il proprio dovere viene premiato»
«Senza l”autorità della legge non c”è libertà , ma solo anarchia»
«L”uguaglianza dei cittadini dev”essere garantita nel punto di partenza. Da questa vera uguaglianza la destra vuole costruire una società dove il merito e le capacità siano i soli criteri per selezionare la classe dirigente. Un paese in cui chi lavora di più, guadagna di più e chi merita ottiene i maggiori riconoscimenti»
Questo è un vero e proprio temino sul modello del Padre Severo: la disciplina come obbedienza all”autorità , misura di premi e punizioni, strumento per farsi strada nella vita, origine di ogni gerarchia. Morale, ricchezza e potere vanno di pari passo. Una volta garantita l”uguaglianza delle opportunità , chi è più bravo, più disciplinato e più obbediente arriva in cima, mentre gli esclusi sono colpevoli della loro condizione.
Peccato che in realtà proprio quest”impostazione conservatrice abbia come inevitabile sbocco un paese berlusconiano. “Papi Silvio” è un prodotto del modello del Padre Severo. Chi infatti può garantire la meritocrazia? Non lo Stato, che Fini liquida con la classica formula liberista.
«Per la Destra, lo Stato deve essere efficiente, non invadente»
Dunque il mercato, la mano invisibile, garantirà la giusta ricompensa ai cittadini retti, disciplinati e capaci. Si è ben visto, ormai, quanto questa favola sia inconsistente. Nelle mani del mercato, l”uguaglianza delle opportunità diventa carta straccia, e il liberismo si trasforma in una selezione innaturale, dove trionfa chi più si vende, chi imbocca più scorciatoie, chi più prevarica e più si mostra.
Fini, invece, nasconde questa parentela stretta tra “Papi Silvio” e il “Padre Severo” e conclude con una frase fiduciosa e ottimista, ancora una volta affermativa.
«Non dobbiamo costruirla dal nulla, quest”Italia migliore: c”è già . Dobbiamo solo far sentire la sua voce»
Anche per noi l”Italia migliore c”è già , o meglio: gli italiani migliori. Sono quelli che ogni giorno difendono i beni comuni e lottano per dignità , solidarietà e autodeterminazione. Queste persone non si sono certo scordate chi sia Fini e cosa abbia fatto in tutti questi anni. Oggi avanzano in ordine sparso, con molte voci, ma sapranno trovare una lingua comune, lontana da elenchi vuoti e tristi giochini.
Tratto da: wumingfoundation.com
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