Verso la marcia Perugia-Assisi. Sette domande a Giulietto Chiesa

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4 Settembre 2011 - 17.08


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da «Telegrammi della nonviolenza in cammino».


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Qual è stato il significato più rilevante della marcia Perugia-Assisi in questi cinquanta anni?

Due principali. Il primo è che ha consentito a molte forze e visioni diverse di manifestare insieme contro la guerra. Il secondo è che ha tenuto vivo il ricordo di questa necessità, soprattutto verso le nuove generazioni, che purtroppo dovranno vivere in un mondo pericolosamente inclinato verso la guerra. E non lo sanno.

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Cosa caratterizzerà maggiormente la marcia che si terrà il 25 settembre di quest”anno?

Non so quale accentuazione verrà data. Credo che ci dovrebbe essere una riflessione severamente critica e autocritica per lo stato delle cose in seno al movimento pacifista. Il quale ha subito gravi rovesci in questi ultimi anni. Bisognerebbe analizzare cause e responsabilità politiche e morali per questi rovesci.

 

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Qual è lo “stato dell”arte” della nonviolenza oggi in Italia?

Direi che siamo appena all”inizio di una riflessione in questo senso. Se il mondo diventa sempre più violento c”è una serie di cause. Bisogna capire, prima di tutto, quali sono. Combattere la violenza con la nonviolenza sarà probabilmente uno dei compiti più difficili che si dovranno affrontare nel prossimo futuro.

 

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Quale ruolo può svolgere il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini, e gli altri movimenti, associazioni e gruppi nonviolenti presenti in Italia?

Promuovere lo studio della crisi contemporanea. Poco si studia, cioè poco si sa della dinamica accelerata che porta verso una catastrofe senza precedenti per la storia umana. Moltissimi, anche tra i nonviolenti, continuano a pensare in modo lineare, come se il domani fosse uguale all”oggi. Non sarà così.


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Quali i fatti più significativi degli ultimi mesi in Italia e nel mondo dal punto di vista della nonviolenza?

Non ho esempi da portare migliori di quello del movimento No Tav. In Val di Susa la scelta è stata quella della nonviolenza. Eppure molti continuano a forzare la mano a chi vuole mantenere (e io sono integralmente d”accordo con loro) la scelta nonviolenta. Si tratta però di una resistenza attiva e non passiva. Una nonviolenza che agisce e non subisce, che accerchia e non attacca.

Quanti hanno capito queste cose, fuori dalla Val di Susa? Non so. Io considero la loro esperienza di “difesa del territorio” come assolutamente esemplare. Da studiare.

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Su quali iniziative concentrare maggiormente l”impegno nei prossimi mesi?

Sulla difesa del territorio, considerando come “territorio” la nostra mente, il nostro corpo, il luogo in cui viviamo, l”aria che respiriamo, l”acqua che beviamo.

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Se una persona del tutto ignara le chiedesse “Cosa e” la nonviolenza, e come accostarsi ad essa?”, cosa risponderebbe?

La nonviolenza e” al tempo stesso un”idea etica e pratica. I detentori della violenza sono coloro che ci opprimono e depredano. Essi hanno i mezzi per attuarla. Predicare la violenza significa dare loro il modo di reprimerci, cioè di sconfiggerci. Nello stesso tempo l”uso della violenza rende violenti. Dunque educare alla nonviolenza è un atto civico. Ma io non credo alla “nonviolenza passiva”: di chi “attende” la violenza. Io propongo la nonviolenza attiva, come forma di resistenza e di difesa organizzata. La nonviolenza, in questo senso, non deve essere individuale. Io non desidero una “nonviolenza” per la sconfitta, ma mi batto per una nonviolenza che cambi il mondo e difenda i più deboli.

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Fonte: «Telegrammi della nonviolenza in cammino», N° 650, 17 agosto 2011

 

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