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14 Settembre 2011 - 10.30


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di Marisa Conte. – We are all on the Freedom Flotilla 2-News.

Ho scoperto Twitter da poco. Avevo provato, tempo fa, a usarlo ma non ci avevo capito granché. Oltre a ciò, non capivo perché si dovessero usare tanti mezzi diversi per comunicare. Appartengo a una generazione che comunicava benissimo, anche senza tutta questa tecnologia. Anche prima della mia generazione, anzi, bastava andare in piazza e parlare con la gente per sapere tutto quello che accadeva nel Mondo. Sembra strano ma è così. Mi frenava anche il limite di 140 caratteri consentiti per scrivere. Che cosa mai si può fare con così poco spazio a disposizione, pensavo.

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Poi, ci sono tornata, quando ho iniziato l”attività in sostegno della missione della Freedom Flotilla 2 e dei diritti del Popolo Palestinese. Mi serviva per ricevere le notizie dalle barche.

E ho scoperto che Twitter ha diversi meriti.

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Il più importante di tutti è che mette ansia. L”ansia dell”urgenza.

Da 63 anni, Israele ruba terra ai Palestinesi, distrugge le loro case e i loro olivi, in Cisgiordania, bombarda la Striscia di Gaza, senza riguardo per chi colpisce: che siano pescatori, contadini, bambini, pacifici manifestanti o attivisti internazionali, chiunque può diventare bersaglio delle loro armi micidiali. Ad agosto, Israele non è riuscita a rispettare neanche il Ramadan, il periodo durante il quale i Musulmani digiunano dall”alba al tramonto. Puntualmente, al tramonto, arrivavano gli aerei.

I tweets scorrevano veloci, durante quel mese particolare, per comunicare i morti, i feriti, i boati, il fumo che saliva dagli edifici colpiti, il cibo andato a male per mancanza di elettricità, improvvisamente saltata.

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Dalla Cisgiordania, giungono gli aggiornamenti sui manifestanti pacifici che ogni settimana protestano contro il muro e l”occupazione, arrestati, gasati o picchiata da soldati e coloni che Israele sta armando per farsi dare una mano a esasperare e scacciare dalla propria terra un Popolo dimenticato.

Ovviamente, tweettano anche quelli dall”altra parte.

Per esempio, il portavoce dell”IDF (Israeli Defence Force, n.d.a.), con molta cinica ironia ci aggiorna, quotidianamente, sulla quantità di beni che lascia passare, attraverso i valichi. Un”amica gli ha scritto che sembra un disco rotto, mentre io gli ho fatto osservare che, continuando a bombardare e uccidere civili, presto non ci sarà più qualcuno a cui distribuire quei beni. Oltre a ciò, i Palestinesi non vogliono la carità ma il rispetto della propria dignità. E” questo che i guerrafondai non vogliono capire.

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Poi, c”è una che si firma con un nome che, tradotto, significa “LaMadreDiUnsoldato”. Dalle cose che scrive sembra più quel soldato che sua madre. Ogni volta che da Gaza parte un razzo, lei invoca i piloti israeliani “Andate, difendeteci, Dio vi benedica”. Preferisco le madri dei soldati israeliani morti che lavorano fianco a fianco con le madri dei Palestinesi morti, per costruire la Pace. E” più da madre.

C”è anche il Primo Ministro israeliano, Netanyahu, per noi attivisti “Neta”. Deve essersi scocciato di ricevere i nostri tweet perché, qualche giorno fa, ha cominciato di rivolgersi al suo portavoce. I “Grandi” hanno tutti un portavoce che li aiuta a tenere a debita distanza i comuni mortali come noi. Per noi è uguale, tanto non rispondono manco i portavoce.

C”è persino Danny Avalon, Vice Ministro della Difesa, il quale scrive spesso. Joseph Dana, giornalista residente in Cisgiordania, gli ha anche chiesto come facesse ad avere tanto tempo da dedicare a Twitter. Neanche lui risponde ma, da qualche tempo, lo leggiamo meno. Sarà occupato a preparare qualche bombardamento “educativo”, nel caso quegli ingrati dei Palestinesi riuscissero a farsi riconoscere lo Stato di Palestina, il prossimo 20 settembre, all”ONU.

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Come si fa a non essere grati all”occupante!?

Tutti giorni, il portavoce dell”IDF ci delizia con la foto del giorno: sono sempre soldati e soldatesse che si addestrano, prendono la mira o si rilassano nel deserto. Sembra quasi che, in Israele, non vivano altri che soldati. Eppure, quest”estate, le piazze israeliane sono state invase dalle tende, abitate da cittadini di quel Paese, incavolati neri per la situazione economica e sociale in cui vivono. Non una parola da lor signori Autorità. Abbiamo provato a far loro capire che i loro cittadini preferirebbero mille volte avere servizi e salari, piuttosto che veder destinare quei fondi a ulteriori spese militari. Ma un guerrafondaio è un guerrafondaio: togligli i giocattoli e non sa più di cosa vivere.

Scrivere su Twitter è un”occasione unica per entrare in contatto diretto con le Istituzioni. Ci sono tutti: ONU, Casa Bianca, Unione Europea, Governi e Ministeri vari, ONG grandi e piccole, media di ogni tendenza.

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Soprattutto, ci sono le persone comuni che si battono per raccontare la realtà così come la vivono e non quella filtrata dalle veline dei Potenti.

E è qui che casca l”asino.

Giornali e Tv dovrebbero fare il lavoro che facciamo noi, semplici cittadini: raccontare la realtà così come viene vissuta davvero. Invece la ignorano, lasciando che la gente muoia o venga arrestata senza che se ne sappia più niente o che sopravviva, vedendosi calpestata nei propri diritti.

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E” inaccettabile, oltre che disonorevole, per una professione che, se fatta nel rispetto della sua etica, fa onore a chi la esercita.

Quando su Twitter leggi appelli a far sapere al Mondo cosa sta accadendo, che siano Palestinesi, Siriani, Libici, Egiziani, No Tav, No Dal Molin, tutte persone impegnate da anni e anni in una lotta impari, e poi sui media non trovi una sola parola o, se la trovi, non c”è niente di quello che queste persone ti hanno comunicato, con insistenza e passione, ti viene da chiedere “ma a che servite, voi giornalisti? Come fate a dormire, la notte, sapendo che il vostro non lavoro ha contribuito a distruggere altre vite?”.

Non risponderanno neanche loro, come i portavoce di cui sopra.

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E”, quindi su di loro che bisogna agire. Tartassarli finché non decideranno di passare dalla nostra parte.

Sono i tanti cittadini presenti su Twitter che lo chiedono e lo chiedono a tutti quelli, attivisti e non, che continuano a tenere il conto dei morti, dei feriti, degli arrestati, delle case demolite, dei bambini rapiti, degli anziani bastonati alle manifestazioni e non sanno cosa fare, aspettando che qualche nome più noto organizzi una qualche protesta. Da decenni, siamo stati abituati a credere che, senza di loro, non possiamo incidere.

Eppure, è facile agire.

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Un tweet di OhMyGaza, ad agosto, diceva:

“OhMyGaza-FreePalestine 

Dear world: all you have to do is pick up the phone, make a call, be a voice, tell your govt enough is enough,

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end the occupation of #Gaza”

 

“Caro Mondo: tutto quello che devi fare è prendere il telefono, fare una telefonata, essere una voce, dire al tuo Governo che il troppo è troppo, fine dell”occupazione di Gaza.”.

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Vale per qualunque sopruso.

Sono 140 caratteri. E sono sufficienti.

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