Cosa vogliono i pirati

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20 Settembre 2011 - 06.30


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di Pierluigi Mennitti – East Side Report.

Se ne sono accorti tutti all”ultimo momento, quando ormai era troppo tardi per prenderne le misure.

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Avversari politici, sondaggisti, indagatori dell”incubo più o meno professionali. Di colpo, nell”ultima settimana di campagna elettorale, i Pirati sono balzati dal 5 al 9% nelle intenzioni di voto dei berlinesi.

E così a urne aperte è stato: quella che già sembrava un”avventura di successo (superare la soglia di sbarramento) si è trasformata in una marcia trionfale. Per la prima volta dentro un parlamento regionale e per di più con un numero di seggi tale da rendere addirittura problematico il compito di riempire tutto, assemblea cittadina e circoscrizioni. Pare che in alcune circoscrizioni i seggi ottenuti siano superiori ai candidati disponibili.

 

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Un”onda anomala, insomma, propagatasi un po” dovunque in città, da est a ovest, da nord a sud. Nel Bezirk che ingloba simbolicamente i quartieri ribelli delle due vecchie metà della città – Kreuzberg e Friedrichshain – hanno ottenuto il risultato più alto. Il dettaglio dei dati indica una maggiore prevalenza nei quartieri orientali, anche se la geografia sociale di Berlino è talmente cambiata da rendere il vecchio clivage est/ovest non sempre utilizzabile. Nessun dubbio invece sull”età: tra i sostenitori prevalgono di gran lunga i giovani tra i 18 (16 per il voto alla circoscrizione) e i 30 anni. Così come è chiarissimo a chi hanno preso i voti: a nessuno. In grande maggioranza i Pirati hanno pescato nel grande mare del non voto giovanile. Il resto è arrivato da delusi dell”Spd e dei Verdi, ma poca roba.

Ora la domanda appare scontata: semplice fenomeno di ludica protesta o embrione di un”alternativa politica che possa risolvere l”incapacità della politica tradizionale di offrire risposte alla domanda di rappresentatività democratica, specie nell”era digitale? Probabilmente tutte e due le cose e il futuro di questa variopinta formazione dipenderà molto da quel che faranno i Pirati nel parlamento di Berlino. In Germania esiste già un precedente positivo: i Verdi. Nacquero come gruppo funambolico e irriverente sull”onda delle trasformazioni sociali degli anni Settanta, portando in politica istanze nuove – pacifiste e ambientaliste – che nel tempo si sono sedimentate, istituzionalizzate e trasformate con l”azione politica quotidiana e la condivisione delle responsabilità di governo. Potrebbe accadere di nuovo con i Pirati. Vediamo dunque chi sono.

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Il partito originario fu fondato in Svezia nel 2006 da Rickard Falkvinge, un imprenditore classe 1972, che mollò gli studi di fisica tecnica per guidare un progetto alla Microsoft Corporation, poi gestire una piccola azienda di software e infine dare vita a una formazione politica che combattesse contro le leggi che regolano il copyright. Nel 2009 è riuscito ad eleggere un deputato a Strasburgo. Partiti gemelli sono spuntati come funghi un po” dovunque nel mondo, ma quello tedesco sembra aver trovato terreno fertile negli acquitrini della Politikverdrossenheit, un parolone di 21 lettere che descrive il disincanto dei cittadini dalla politica tradizionale.

Finora non li aveva presi sul serio quasi nessuno. Ma da quando i sondaggi berlinesi hanno cominciato a far brillare risultati da trionfo, si sono attirati i giudizi risentiti di quella che, con qualche forzatura italiana, potremmo chiamare la casta tedesca. Consigli paternalistici, come quelli della candidata verde Renate Künast, che ha detto di volerli in qualche modo socializzare, tirare fuori da scrivanie e computer e gettare nell”acqua fredda della politica quotidiana. O vere e proprie dichiarazioni di ostilità, come quella del sindaco Wowereit, che ha invitato gli elettori a non sprecare un voto utile. Non è stato molto ascoltato.

I chioschi elettorali dei Pirati, sparsi per la città, sembravano vulcani di confusione, attivismo, straordinaria energia. Cerca di mettere un po” d”ordine Fabio Reinhardt, 30 anni, candidato con il numero 9 della lista, ovviamente eletto. Di professione fa lo storico, e questo è un colpo basso. Non sembra un nerd da tastiera, ma neppure un appassionato di cose passate. Infatti spiazza per il modo candido con cui ammette: «C”è del vero nell”accusa che ci muovono di essere impreparati alla politica. Nessuno di noi può dire, con sincerità, se saremo all”altezza. In lista non c”è uno che abbia già avuto esperienza in parlamento, anche se il partito è pieno di gente che ha già lavorato in politica e soprattutto in organizzazioni, movimenti e Ong».

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«Siamo partiti puntando su temi che apparivano settoriali», riprende Fabio, «come la difesa dei cittadini dalla sorveglianza dello stato o la legalizzazione dello scambio su internet. Ci siamo confrontati con il diritto europeo in materia, perché oggi molto dipende da Bruxelles. La politica interna tedesca è per noi un campo nuovo ma non ci spaventa: c”è tanto da fare per svecchiarla e c”è tanto consenso da conquistare».

Spiega che il partito riceve donazioni private, sempre rese note e da qualche tempo il finanziamento pubblico dello stato: «La politica deve essere più trasparente». Le assemblee di base sono il momento in cui le idee vengono buttate sul tavolo, valutate, discusse, sviscerate senza pregiudizi: «Siamo un contenitore nuovo nel quale tutte le opinioni sono benvenute e vengono messe alla prova, non c”è gerarchia, prevale la divisione del potere». Julian Assange è un eroe e i pirati sono dalla parte di WikiLeaks. Parlano di democrazia della mescolanza, che è una definizione suggestiva anche se piuttosto vaga. E poi di legalizzazione della cannabis e di abolire il limite di età per il voto. Una commissione dovrebbe stabilire il grado di maturità di un aspirante elettore: «Si può essere già maturi a 13 anni e non esserlo mai neppure a 60».

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Un aspetto curioso è che mancano le donne, almeno nelle liste elettorali. Sui 17 candidati berlinesi, 16 erano uomini e una sola donna. «Abbiamo finora avuto un”appeal di tipo tecnico», spiega Reinhardt, «ed è un problema generale che le donne siano meno attratte da studi di tipo tecnico-matematico». Le cose dovrebbero cambiare in futuro, con l”ampliamento dei temi programmatici.

Libertario e progressista, questo è a grandi linee il profilo di un partito che sfugge al classico allineamento delle forze politiche da destra a sinistra. Nato a metà degli anni Duemila, quando il mondo digitale era già entrato in tutti gli aspetti della vita quotidiana, l”ambizione dei pirati è oggi di riuscire a dare qualche risposta al deficit di legittimità di cui soffre la rappresentanza democratica. Per quanto i candidati siano ora tutti presi dalla necessità di dimostrare agli elettori di saper maneggiare anche temi più tradizionali, specie amministrativi, fornendo ricette su come migliorare i trasporti pubblici, la sicurezza, addirittura i debiti delle casse comunali, il meglio di sé lo offrono quando decidono di tirar su l”ancora e salpare verso i mari sconosciuti del futuro.

«La gente vuole più democrazia», conclude Reinhardt, «ha l”impressione che le decisioni vengano prese in maniera oscura. Ma neppure il modello di democrazia diretta offerta dai referendum è la soluzione giusta, perché semplifica le questioni, richiede risposte secche, sì o no, e può aprire la strada ai populismi. Noi proponiamo la liquid democracy, un sistema di partecipazione continuo del cittadino, il quale offre al politico una delega e può ritirarla in qualsiasi momento. Ci si può arrivare in breve tempo, i software ci sono già». E non ci vuole neppure il copyright.

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Tratto da: http://esreport.wordpress.com/2011/09/19/cosa-vogliono-i-pirati/.

(Aggiornamento e ampliamento di un articolo pubblicato su Lettera 43)

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