A che servono i filosofi?

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13 Novembre 2011 - 20.27


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di Paolo Bartolini – Megachip.

Da filosofo guardo con vergogna al confronto avvenuto, fra Giulietto Chiesa e Massimo Cacciari, in occasione della recente puntata del programma L”Ultima Parola su RaiDue.

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Il secondo è un noto filosofo nostrano che, rispetto al tema della crisi dei debiti sovrani e delle prossime manovre “lacrime e sangue” che ci imporrà il Governo Monti, non riesce a far altro che difendere la logica del “male minore” (il “maggiore”, avrete ben capito, è incarnato dal solito Berlusconi e dalla sua banda), invocando un realismo disincantato sulle sorti della nostro Paese a sovranità limitata.

Tra le righe il professor Cacciari (Massimo) allude alla necessità di una politica nuova – per carità “realistica”! – che realizzi le famigerate riforme bloccate da vent”anni in Parlamento. Chissà perché, ma l”impressione è quella che le riforme richieste si riducano alle solite liberalizzazioni/privatizzazioni a 360 gradi, in barba al dettato della nostra Costituzione.

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Lo conferma il fatto che Cacciari (Massimo) ritiene il potere del capitale finanziario transnazionale qualcosa di ovvio e di incontrastabile: qualsiasi critica al sistema è per lui anacronistica e ci riporta alle infantili pretese della lotta anticapitalistica del secolo scorso. Ebbene, se la filosofia dovesse anche solo fermarsi alla ricerca della verità (lasciando da parte Marx e le implicazioni pratiche evocate dal suo pensiero), ciò imporrebbe comunque che questa verità venga detta, e senza riguardo per il potente di turno. D”altronde la filosofia – quella vera – non ha mai smesso di collegare la Verità al Bene e di suscitare negli animi un profondo desiderio di Giustizia, senza il quale la speculazione teorica si riduce a vuoto orpello.

Dunque, registrare passivamente un dato di fatto (l”attuale architettura criminale della globalizzazione economica e finanziaria), senza coglierne gli effetti devastanti sulla vita umana, non significa servire la Verità, ma suggellare con il proprio status di intellettuale l”ordine delle cose, così com”è.

Gilles Deleuze, prossimo alla morte, ricordava l”importanza della vergogna come emozione sociale indispensabile per riconoscere (filosoficamente) la realtà delle ingiustizie a cui prendiamo parte quotidianamente, anche solo con il nostro silenzio.

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Sarebbe bello se le sue parole fossero rilette e comprese da quei filosofi che non si vergognano più di niente.

Risparmio loro la fatica e riporto qui una frase emblematica del grande francese: «Non ci sentiamo fuori dal nostro tempo, anzi, non smettiamo di sostenere con esso dei compromessi vergognosi. Questo sentimento di vergogna è una delle più potenti motivazioni della filosofia.

Noi non siamo responsabili per le vittime, ma davanti alle vittime». Meditate, professionisti della parola. Di un pensiero vivo abbiamo bisogno, non di cinismo a buon mercato.

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