Israele e “pinkwashing”

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26 Novembre 2011 - 01.05


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di Sarah Schulman – New York Times.

“Nei sogni comincia la responsabilità“, ha scritto Yeats nel 1914. Queste parole riechieggiano nel caso di persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender che sono state testimoni di drammatici cambiamenti nella nostra relazione con il Potere. Dopo generazioni di sacrifici e di organizzazione, le persone omosessuali in alcune parti del mondo hanno guadagnato tutela dalla discriminazione e il riconoscimento del rapporto.

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Ma questi cambiamenti hanno dato origine a un fenomeno nefasto: l”arruolamento di gay bianchi da parte di forze politiche anti-immigrazione e anti-musulmane in Europa Occidentale e in Israele.

Nei Paesi Bassi, alcuni gay olandesi sono stati attratti dai messaggi di Geert Wilders, che ha ereditato molti dei seguaci del  leader gay anti-immigrazione Pim Fortuyn assassinato (http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/1971462.stm) e il cui Partito per la Libertà è oggi il terzo Partito politico del Paese. In Norvegia, Anders Behring Breivik, l”estremista che ha massacrato 77 persone in luglio, ha citato come ispiratore Bruce Bawer, scrittore gay americano critico verso l”immigrazione musulmana. Il Guardian ha riportato che lo scorso anno il gruppo razzista Lega per la Difesa Inglese aveva 115 membri nella sua ala gay. La Federazione Tedesca Lesbiche e Gay ha rilasciato dichiarazioni in cui gli immigrati musulmani sono visti come nemici dei gay.

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Queste rappresentazioni degli immigrati – di solito i musulmani di origine araba, sud-asiatica, turca o africana – come “fanatici omofobici” ignora in modo opportunista l”esistenza dei gay musulmani e dei loro alleati all”interno delle loro comunità. Rendono anche invisibile il ruolo che i fondamentalisti cristiani, la Chiesa Cattolica Romana e gli Ebrei ortodossi giocano nel perpetuare la paura e perfino l”odio per i gay. E questo messaggio cinico si è ora radicato nella xenofobia europea per diventare un potente strumento nel lungo conflitto israelo-palestinese.

Nel 2005, con l”aiuto di dirigenti americani di marketing, il Governo israeliano ha iniziato una campagna di marketing, “Brand Israel” (“Targato Israele” n.d.t.), rivolta a uomini di età compresa tra i 18 e i 34 anni. La campagna, come riportato da The Jewish Daily Forward, ha cercato di dipingere Israele come “attuale e moderna.” Il Governo ha in seguito ampliato il piano di marketing sfruttando la comunità gay per riposizionare la sua immagine globale.

L”anno scorso, il sito israeliano di cronaca Ynet ha riferito che l”Ufficio del Turismo di Tel Aviv aveva iniziato una campagna del valore di circa 90 milioni di dollari per promuovere la città come “meta turistica internazionale” per i gay. La promozione, che ha ricevuto il sostegno del Ministero del Turismo e dei Consolati israeliani all”estero, comprende la raffigurazione di giovani coppie dello stesso sesso e il finanziamento per la proiezione di film filoisraeliani a festival del cinema gay e lesbico negli Stati Uniti. (Il Governo non è solo; un produttore israeliano di film porno ha addirittura girato un film, “Uomini d”Israele,” in una località che era un antico villaggio palestinese.)

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Questo messaggio viene articolato ai massimi livelli. In maggio, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto al Congresso che il Medio Oriente è “un luogo in cui le donne vengono lapidate, i gay vengono impiccati, i cristiani sono perseguitati”.

Il crescente movimento globale gay contro l”occupazione israeliana ha chiamato queste tattiche “pinkwashing”: una strategia deliberata per nascondere le continue violazioni dei diritti umani dei Palestinesi dietro l”immagine di modernità rappresentata dalla vita gay israeliana. Aeyal Gross, professore di diritto all”Università di Tel Aviv, sostiene che “i diritti gay sono diventati sostanzialmente un strumento di pubbliche relazioni”, (http://www.al-bab.com/blog/blog1006b.htm) anche se “i politici conservatori e soprattutto quelli religiosi rimangono ferocemente omofobi”.

Il pinkwashing non solo manipola i progressi guadagnati faticosamente dalla comunità gay di Israele ma ignora anche l”esistenza di organizzazioni palestinesi per i diritti dei gay. L”omosessualità è stata depenalizzata in Cisgiordania dal 1950, quando le leggi anti-sodomia imposte sotto l”influenza coloniale britannica sono state abolite dal codice penale giordano, che i Palestinesi seguono.

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Più importante è l”emergente movimento palestinese gay con le sue tre principali organizzazioni: Awsat (http://www.aswatgroup.org/content/who-we-are), Al Qaws (http://www.alqaws.org/q/content/community-building) e Palestinian Queers for Boycott, Divestment and Sanctions (http://www.pqbds.com/about).

Questi gruppi hanno ben chiaro che l”oppressione dei Palestinesi attraversa il confine della sessualità; come ha detto Haneen Maikay, direttore di Al Qaws: “Quando si passa attraverso un checkpoint, non importa quale sia l”orientamento sessuale del soldato”.

Ciò che rende le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender e i loro alleati così esposti al pinkwashing – e al suo corollario, la tendenza, cioè, di alcuni bianchi gay a privilegiare la loro identità razziale e religiosa, un fenomeno che il teorico Jasbir K. Puar ha definito “omonazionalismo” – è l”eredità emotiva dell”omofobia. La maggior parte delle persone gay ha sperimentato l”oppressione in modi intensi – in famiglia, nelle rappresentazioni distorte nella cultura popolare, nella sistematica disuguaglianza giuridica che ha appena cominciato a cedere. L”allargamento dei diritti dei gay ha portato alcune persone di buona volontà a credere erroneamente che quanto è avanzato un Paese lo si veda da come tratta l”omosessualità.

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In Israele, i soldati gay e la relativa apertura di Tel Aviv sono indicatori incompleti dei diritti umani – proprio come in America, l”allargamento dei diritti degli omosessuali in alcuni Stati non ha compensato le violazioni dei diritti umani come l”incarcerazione di massa. Il riconoscimento, a lungo cercato, di alcuni diritti per alcuni gay non deve renderci ciechi davanti alle lotte contro il razzismo in Europa e negli Stati Uniti, o all”insistenza dei Palestinesi per una terra da chiamare casa.

 

Sarah Schulman è professore di scienze umanistiche presso il College of Staten Island, City University di New York.

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Fonte: http://www.nytimes.com/2011/11/23/opinion/pinkwashing-and-israels-use-of-gays-as-a-messaging-tool.html?_r=3&hp.

Traduzione di Elena Bellini

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N.d.T: * “La formula pinkwashing allude alla “pennellata di rosa” che le democrazie occidentali si danno per rendere presentabili interventi militari nelle più disparate regioni del mondo (in particolare nel mondo arabo) e, al contempo, per giustificare le politiche razziste adottate all”interno dei propri confini.”

(da http://www.zeroviolenzadonne.it/index.php?option=com_content&view=article&type=news&id=14185 )


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Pubblicata da We are all on the Freedom Flotilla 2 – News .


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