The Monti Lessons

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13 Gennaio 2012 - 14.02


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di Helena Janeczek – www.nazioneindiana.com

Forse è stato quando da Fazio ha elogiato la ricchezza meritata che ho avuto un lampo. Non è solo questione di stile o di classe – il fascino discreto della borghesia a cui non siamo abituati. Nemmeno la stravaganza di chi riassume in purezza quel liberalismo che era stato lo slogan rivoluzionario su cui si è edificato il Nouveau Régime berlusconiano di corti, privilegi e monopoli.

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E” che quando parla Mario Monti pare un po” curioso che si chiami Mario Monti. Quasi verrebbe da fargli i complimenti per il suo italiano, così privo d”accento. Più che strano, Monti sembra straniero: questo è la sua forza. Il sogno di una dominazione straniera che faccia funzionare meglio il Paese non alberga solo nelle anime di una colta e privilegiata minoranza.

Neanche per capire la lista della spesa della signora Monti inviata graziosamente a Calderoli, serve la laurea in Bocconi. Eppure è come se la Presidenza del Consiglio avesse risposto in inglese a un”accusa formulata in italo-padano.

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Cambiare il linguaggio, usarne uno inedito, si è visto, può essere un”arma di devastante efficacia. Sembra facile per lo Straniero a capo del suo “governo strano”. Si può forse pretendere humor britannico a chi non può più andare in pensione, stenta a pagare il mutuo, o vede la scuola smantellata? No, ma anche la rabbia e le critiche possono trovare modi per esprimersi diversi dai soliti che ritroviamo amplificati nelle pubbliche piazze televisive. Non solo il linguaggio dei vincitori, infatti, è stato sempre lo stesso negli ultimi decenni, ma anche quello maggiormente udibile dei suoi avversari.

Solo da quando si è deciso di abbondonare i moduli della protesta delegata, anche dal basso, dalle piazze, si è cominciato a farsi sentire un linguaggio nuovo. Fare cortei vestiti da Babbo Natale, salire sulle gru o sulla Torre di Pisa, comunicare a gesti nelle assemblee per partecipare senza interrompere chi parla. Il linguaggio che cambia non sempre è elegante o ironico, ma più diventa autonomo e imprevedibile, più acquista forza. Questo si può impararlo dal professor Monti, anche se lo si apprezzasse per poco altro.

PS. Mario Monti crede in quel che dice (e, di conseguenza, in ciò che fa). Il capitalismo, ooops, il mercato è cosa buona e giusta, basta non esagerare come, a suo tempo, Margaret e Ronnie. Basta risanare i conti pubblici, ossia: dimostrarsi virtuosi a cospetto dei partner europei (ecco: se c”è un aspetto linguistico-ideologico del suo discorso che davvero mi infastidisce, è il ricorso a categorie morali per parlare di spese dello Stato), e si allontana il gran burrone nel quale l”Italia stava precipitando. E” per questo che riesce a essere rassicurante.

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Io invece temo che Monti possa sbagliarsi. Leggo i suoi colleghi economisti che spiegano, per esempio, diversi fatterelli inquietanti che continuano a accadere: il crollo di Unicredit, o – ancor di più – lo spread che risale perché il titoli tedeschi vanno a ruba, pur con un tasso d”interesse addirittura negativo. Potrebbe darsi che i mercati tradiscano la famosa fiducia che in essi continua a riporre il professor Monti, e la sua indubbia credibilità maggiore presso gli altri capi di governo europei – in primis, Angela Merkel – non si riveli sufficiente per ottenere in cambio qualcosa che aiuti l”Italia a controbilanciare le conseguenze della recessione, aggravate dalla sua manovra. Forse per questo mi sembra che le cose più interessanti che sta facendo, si collocano paradossalmente a lato della sua missione principale.

Fonte: http://www.nazioneindiana.com/2012/01/11/the-monti-lessons/

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