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Non c”è nulla di male a voler lavorare anche quando si è già andati in pensione. E” però disonesto farlo a scapito dei più giovani, fingendo peraltro di non rendersene conto. Succede anche nel mondo del giornalismo – urca, se succede! – ma è uno scandalo su cui in troppi chiudono gli occhi, per spirito corporativo. E allora, visto che da qualche giorno a questa parte c”è una sentenza della Corte di Cassazione che legittima questa pratica a mio parere malsana, è forse il caso di cominciare a discuterne senza troppi giri di parole, per fare chiarezza e provare a mettere qualche paletto, etico prima ancora che normativo.Â
Partiamo dai fatti concreti. In Libia, a seguire la guerra del 2011- e in qualità di cronisti, non di commentatori ”- c”erano diversi illustri colleghi pensionati, che ancora una volta non hanno voluto rinunciare all”emozione di trovarsi in prima linea, senza farsi troppi problemi per il fatto che in tal modo finivano per rubare il pane quotidiano ai tanti freelance e precari che, quasi sempre a spese loro – e spesso senza assicurazione sulla vita – erano convinti di trovare nell”inferno di Misurata o di Sirte qualche opportunità di lavoro, visto il magro panorama che caratterizza da tempo i servizi dall”estero sulla stampa italiana. Non faccio nomi per carità di patria, ma c”è chi – fra questi pensionati di lusso – aveva fatto accordi con diversi giornali, oltre a radio e tv, con una bulimia da far sensazione; al punto da essere costretto a starsene spesso in albergo, per poter star dietro a tutti i suoi committenti, anche se questo voleva dire elemosinare le notizie del giorno dai colleghi freelance. Succede agli esteri, ma non solo. Ed è una pratica sempre più diffusa. Â
Niente di illegale, per carità . Tanto più che la pratica selvaggia dei pre-pensionamenti forzati ha espulso dalle redazioni un gran numero di colleghi nel pieno del loro vigore fisico ed intellettuale, in grado ancora di poter dare un validissimo contributo alle testate per cui lavoravano. Trovo perciò legittimo che questi colleghi vogliano continuare a lavorare. E mi fa piacere, sinceramente, se ci riescono. Non trovo però giusto che vengano impiegati con le stesse mansioni di prima: che continuino cioè a fare i cronisti, gli inviati, o addirittura – e succede, succede – che lavorino al desk. E” ovvio infatti che un tale utilizzo fa comodo all”editore – che così risparmia, e non poco – ma è altrettanto ovvio che così facendo si blocca il turn over nelle redazioni e si riducono sempre di più le possibilità di assunzione di giovani giornalisti, che sono (anche per questo) costretti a far la fame. Che i giornalisti-pensionati facciano perciò i commentatori, oppure gli editorialisti, se ne hanno la possibilità . e le capacità .  Ma smettiamola, per favore, con questa pratica malsana, che ingenera un”assurda guerra tra giovani e vecchi, di cui non si sente affatto il bisogno, soprattutto in questo momento.
E” vero, con una sentenza recente la Corte di Cassazione ha stabilito che non c”è nulla di male nel “cumulo”, sconfessando così una norma che pure era stata introdotta dall”INPGI e che riduceva l”importo della pensione per i soggetti che percepiscono un reddito da lavoro superiore ai 20mila euro l”anno. Ma francamente non andrei così fiero di questa sentenza, nè la definirei “storica”, come fa invece l”Unione Giornalisti Pensionati. Secondo me questa non è una sentenza difendibile. E non posso che dar ragione a quanti se la prendono con le “vecchie volpi” di redazione, che invece di fare i “padri nobili” di questa professione si trasformano in “patrigni” il cui comportamento, se non altro sul piano etico, è decisamente riprovevole. Ne vogliamo parlare oppure continuiamo a fare come gli struzzi?
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http://www.amedeoricucci.it/il-vecchio-che-avanza.
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