I saputelli della “decrescita”

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7 Aprile 2012 - 20.39


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di Pier Francesco De IulioMegachip

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È ormai consuetudine, in rete o sulle pagine dei giornali, incappare periodicamente in un articolo di aperta condanna del pensiero della decrescita. Uno dei più recenti è di Giovanni Mazzetti, “Decrescita, fuga verso il passato”, pubblicato su il manifesto il primo aprile scorso.

Megachip ha già ospitato recentemente alcuni interventi che hanno tracciato efficacemente il quadro d”insieme della polemica degli “anti-decrescisti”, cercherò dunque di non ripetere cose già ben dette da chi mi ha preceduto ma di rispondere piuttosto su alcuni punti della questione riproposti dall”articolo e che mi appaiono più urgenti.

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Comincerei dal titolo dell”articolo di Mazzetti che associa la “decrescita” ad una “fuga verso il passato”. Ora io non ho trovato in quale libro di Latouche – il “guru” sul quale si abbattono gli strali più acuminati – si parli esplicitamente, o anche non esplicitamente, di una tale “proiezione”, per dirla ancora con parole che ci sono suggerite dall”autore dell”articolo.

Temo quindi che in realtà il nostro censore del pensiero della decrescita (che in questo è in buona compagnia di tanti altri) non abbia poi speso molto del suo prezioso tempo per informarsi e conoscere prima di scrivere. Aggiungo: una fuga verso il passato semmai la vogliono praticare coloro che ancora cercano di ammannire per il futuro una visione della società e del benessere basata sull”inveterato totem della crescita economica.

Il problema nodale del quale nessuno sembra voglia affrontare con serietà l”analisi – e meno che mai il Mazzetti  è che il mondo che abitiamo – così come disegnato da un potere sovranazionale, globalizzato, finanziario, capitalista e produttivista  è il risultato di un modello socio-economico profondamente sbagliato e ingiusto. E non lo è da un giorno ma da un secolo, almeno come fenomeno di larga scala. Forse oggi ne abbiamo una percezione più viva perché la crisi che stiamo vivendo sulla nostra pelle di occidentali “ex padroni del mondo”, lei sì non ci consentirà più una via di fuga nel recente passato fatto di miracoli economici sulla pelle “degli altri”. O molto semplicemente il fatto è che ci stiamo svegliando dal sonno profondo in cui eravamo caduti e nel quale si vorrebbe che tornassimo tutti a sprofondare, possibilmente più poveri e più schiavi. Sentir quindi parlare ancora di “sviluppo” e “ripresa” all”interno di un tale perimetro di senso – economicistico e reazionario  non solo è falso e deprecabile ma è criminale.

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Andiamo avanti. Il Mazzetti ci fa sapere che le società primitive non erano poi così idilliache e ireniche come vorrebbero far credere gli ingenui saputelli della decrescita: reperti fossili testimoniano di morti “traumatiche” dovute a battaglie tra cacciatori di tribù antagoniste. Accidenti! Ora, a parte il ripetere che non mi sembra che il pensiero della decrescita invochi il ritorno degli uomini alla caccia a piedi nudi con archi e frecce e vestiti di pelli, ma il Mazzetti in che mondo vive? Negli ultimi sessant”anni – per non parlare delle due guerre mondiali della prima metà del XX secolo e gli stermini e le sofferenze che ne anticiparono e seguirono le sorti – il mondo è stato ed è in uno stato di guerra permanente che ha coinvolto e ancora coinvolge intere aree di diversi continenti con un tributo di vite umane e distruzioni incalcolabili. Possiamo ancora sostenere che questo è il migliore dei mondi, il “mondo perfetto” che la maggioranza dei popoli realmente vuole? E qualcuno glielo ha chiesto ai popoli cosa ne pensano? Gli ha spiegato che ci sono delle alternative? Gli ha spiegato come stanno veramente le cose, che ci stiamo infilando rapidamente in un tunnel che ci porterà ad una guerra totale per l”accaparramento delle risorse del pianeta? E in che modo può ancora proporsi questo modello della società dei consumi e del conflitto che ha la sua radice prima nella lotta esclusiva del potere (dei poteri) per il profitto e l”accumulazione del capitale, incapace per sua stessa natura di rapportarsi con le esigenze imprescindibili cui è chiamata invece con urgenza a rispondere l”umanità su scala mondiale (giustizia sociale, crisi climatica, alimentare ed energetica, sovrappopolazione, governo dei beni comuni, ecc.)?

La decrescita è uno slogan, ci dice provocatoriamente Latouche. Ma sappiamo che è molto di più. È il tentativo di mettere insieme idee e pratiche, storia e antropologia, filosofia e scienza, passato e futuro per creare una cultura del “buon vivere” e una politica del presente che siano in grado di interpretare la realtà – tutta e non solo una parte di comodo  e dare risposte concrete per il governo della transizione. Un”epoca sta declinando rapidamente e definitivamente e forse è già morta. Il potere farà di tutto – e ha la forza reale, repressiva e militare, per farlo  per tenere in vita il malato terminale che è il capitalismo e dimostrarci fino alla fine del contrario. Lo chiameremo post-capitalismo, neo-capitalismo, altro-capitalismo . come tutti i pesci che si rispettino dopo tre giorni inizierà a puzzare, e si sa il pesce puzza sempre dalla testa.

Una sottolineatura. Noto che molto spesso gli attacchi più veementi al pensiero della decrescita muovono da aree “intellettuali” di orientamento prevalentemente “di sinistra” (e a sinistra della sinistra) che dovrebbero almeno in ipotesi essere al contrario le più ricettive delle istanze decresciste. Mi chiedo se coloro che si annoverano tra le fila di questa schiera (omnicomprensiva per comodità di esposizione), sia che guardino al terzo o quarto polo o che si dichiarino per il conflitto sociale ad oltranza, abbiano un”alternativa reale, politica e sociale, da proporre. Ad esempio, sanno dirci in che modo pensano di ridisegnare i rapporti di potere tra pubblico e privato e come intendono la scuola, la comunicazione e la democrazia? cosa pensano del lusso e della proprietà privata (non soltanto dei mezzi di produzione)? in che modo intendono agire per ridistribuire la ricchezza accumulata nelle mani di pochi (ed è giusto che si accumuli nelle mani di pochi?) e come bisognerebbe destinarla alla collettività (sempreché siano concordi che ad essa bisogna destinarla)? qual è la loro opinione sul lavoro e sulla divisione del lavoro e sulla libera impresa? intendono porre come prioritaria per gli uomini e le donne del pianeta la garanzia di condizioni materiali di vita dignitose e uguali per tutti? Ovviamente tutto questo dopo avere a lungo lottato ma tanto per capire per cosa (e per chi) lo stiamo facendo (o lo dovremmo fare).

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