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Intervista a Luigi Zoja: «l”inconscio collettivo è infettato dal consumismo e dall”attenzione esclusiva ai tempi brevi»
(a cura di) Paolo Bartolini – Megachip
1) Dott. Zoja, i tempi che viviamo inquietano lo spirito, il cuore e la mente. I limiti ambientali, ma anche quelli sociali, si impongono in modo traumatico e sembrano annunciare un prossimo collasso della civiltà del denaro e del consumo. Quali pensa che siano gli effetti di questa difficile fase storica sulla psiche individuale e collettiva? C”è un rapporto, secondo lei, tra la sofferenza dell”anima e l”accelerazione di questa crisi epocale?
Sarebbe ingenuo iniziare l”intervista con la speranza di definire le sofferenze profonde in modo standardizzato e scientifico una volta per tutte. Quello che sappiamo oggi è che i disturbi dell”anima sono relativi alla cultura in cui si vive. Il disturbo prevalente, un secolo fa, quando nasceva la psicoanalisi, era l”isteria, adesso l”isteria non esiste praticamente più, perché era legata alla repressione sessuale che oggi si è molto allentata. Adesso ci sono numerosi disturbi, tra i più evidenti troviamo i disturbi alimentari, che sono intuitivamente molto legati a quello che nell”ultima generazione si è imposto prepotentemente, il consumismo, cioè il rapporto immediato con una soddisfazione, in questo caso la soddisfazione più primaria e necessaria: il nutrirsi. Quindi c”è sempre stata una relazione tra le problematiche dell”epoca e le patologie psichiche.
Questo è l”aspetto più evidente, poi se stiamo parlando della crisi ambientale e sociale do una risposta da privato cittadino e non da psicoanalista. Quello che colpisce, essendo una persona che si interessa anche di sociologia ed economia, è che effettivamente siamo entrati in una crisi senza precedenti, dalla quale però mi sembra molto difficile uscire se non con un”altra civiltà di tipo finanziario, una civiltà del denaro e del consumo. Spererei molto ma penso sia improponibile un”uscita vera e propria da questa macchina infernale in cui siamo immersi, anche perché questo provocherebbe una quantità spaventosa di disoccupati ed affamati. Penso dunque che vedremo qualcosa di un po” assurdo. La crisi si fa globale – io me ne ero occupato con uno scritto degli anni 80 sul problema dei limiti, che riprendeva gli studi degli anni 60 e 70 sui limiti dello sviluppo sul pianeta (MIT, Club di Roma), studi che però erano studi essenzialmente tecnico-economici. Tuttora mi domando perché non siano stati fatti anche dei veri studi psicologici, perché in fondo è una cosa relativamente recente e occidentale questo “volere all”infinito”.
Oggi ci siamo semplicemente avvicinati molto di più ai punti di rottura delle diverse crisi in corso. A qualcosa si è in parte rimediato, per esempio si sono trovate fonti energetiche alternative al petrolio in misura significativa, anzi se ci fosse buona volontà e comunanza di scelte con un coordinamento mondiale si potrebbe risolvere questa situazione; il problema demografico in parte si è fatto meno pressante, anche se, come sappiamo, per uscire da un”ondata demografica grave bisogna aspettare almeno una generazione. Quindi c”è sempre un grosso ritardo nelle risposte. Comunque il paradosso è che, pur senza affrontare l”aspetto psicologico (perché l”uomo desidera sempre di più? Questo determina anche tutte le altre crisi: eccesso di produzione, eccesso di consumi ed eccesso di inquinamento), si rifletteva quasi più allora su questi argomenti che non adesso. Soprattutto ora il tipo di cultura in cui viviamo, ha fatto sì che, come indirettamente dicevo a proposito dei disturbi alimentari, i tempi si facciano sempre più brevi, la capacità di aspettare del cittadino medio si fa sempre più breve, siamo educati alla soddisfazione sempre più immediata. A proposito, torno proprio adesso da un dibattito televisivo sui problemi relativi agli abusi sessuali.
Pur non concordando con tante cose della visione tradizionale della Chiesa, sotto questo aspetto bisogna concordare con la critica che fanno molti teologi al consumismo, per cui anche la sessualità è diventata sempre più merce di consumo e questo conduce ad un moltiplicarsi dei casi di perdita di controllo. La soddisfazione immediata, insomma, è ricercata in ogni senso, ma per risolvere i problemi di cui stiamo parlando ci vorrebbe invece un enorme coordinamento globale e un”enorme attenzione verso i decenni e le generazioni future. Al contrario, come vediamo, stiamo tutti regredendo. Con la crisi dell”euro, che è dovuta a un”insufficiente pianificazione, a un”insufficiente coordinamento (abbiamo una valuta centrale europea ma non dei ministri delle finanze centralizzati, quindi assistiamo a continui litigi), sarebbe quantomeno necessario un coordinamento europeo e invece assistiamo ad un ritorno alla chiusura negli interessi nazionali.
La realtà è che c”è un”attenzione diretta solo ai problemi immediati. Così si cerca di rilanciare la produzione, ma questo è un obiettivo di brevissimo termine, solo per assicurarsi un vantaggio nelle prossime elezioni, nei prossimi mesi o nell”arco di due anni. Dunque vedo un aggravarsi di queste problematiche per motivi di psicologia collettiva: l”inconscio collettivo è infettato dal consumismo e dall”attenzione esclusiva ai tempi brevi. In generale poi direi che c”è una mancanza di considerazione per la dimensione morale dei problemi che stiamo discutendo. Per esempio, una generazione fa si faceva molta attenzione alle differenze di reddito interne ai vari Paesi, ora praticamente in tutto il mondo, tranne ammirevolmente in America Latina, in Brasile, le differenze sociali continuano ad aumentare, ma se ne parla sempre meno. Perciò c”è latitanza rispetto al vero e proprio problema morale. Gli svantaggiati, gli sfruttati, tendiamo ad allontanarli. Abbiamo spostato i costi economici e ambientali in parte nel terzo mondo e in parte li stiamo spostando nel futuro, per esempio rinviando la chiusura delle centrali nucleari o l”uso di materiali inquinanti per procurarci energia. Tutto questo pone problemi sociali e morali che non hanno, direi, quasi corrispondenza con le generazioni precedenti.
2) Cosa pensa della decrescita e dei suoi possibili esiti politici? È la direzione giusta verso cui guardare per superare le ingiustizie e le contraddizioni del sistema in cui viviamo?
Pur avendo qualche competenza economica, non ne ho abbastanza per rispondere a questo. In fondo conosco ancora in modo insufficiente l”idea di decrescita. Quel che posso dire è che trovo assolutamente preoccupante il fatto che per rilanciare l”andamento delle economie dei vari paesi europei si parli sempre di tornare alla crescita. Noi abbiamo accumulato dei debiti spaventosi e continuiamo a dire che il debito si può affrontare soltanto in un”economia che continua a crescere. Ma un”economia siffatta è parte stessa del problema, perché si dà come obiettivo solo la crescita, senza correggerne gli squilibri in termini di vantaggi dati a determinate classi sociali (ci sono dati che dicono che la quasi totalità dei nuovi guadagni non sono andati all”1% della popolazione americana, come dicono ingiustamente quelli del movimento Occupy Wall Street, bensì allo 0,01%!).               Â
La crescita è andata avanti in modo particolarmente squilibrato, eppure ci si dice adesso che abbiamo accumulato un debito che si può affrontare solo tornando a crescere, quindi rimettendoci nello stesso circolo vizioso di prima. Certamente non è la direzione giusta questa, e no so se sia sufficiente la decrescita come alternativa, anche perché si tratta di un messaggio che arriva a una parte purtroppo piuttosto ridotta della popolazione.
3) In un suo recente lavoro ha sostenuto che la paranoia è la malattia mentale che più facilmente si propaga all”interno dei gruppi umani, causando guerre, persecuzioni e violenze che annullano la dignità degli esseri umani finiti nel bersaglio della sua follia. Quali forme sociali, oggi, le pare stia assumendo la paranoia?
Da questo punto di vista il succo della ricostruzione che ho cercare di fare, è che non possiamo vivere di rimpianti guardando soltanto verso il passato. La tecnologia e in linea di massima, nel nostro occidente, la libertà di informazione, ci permettono di essere a conoscenza almeno in teorica dei problemi sociali, economici e politici che ci affliggono, e questo molto di più di quanto avvenisse un tempo. Al tempo stesso, proprio perché i mezzi di comunicazione sono diventati ormai prevalentemente dei mezzi di comunicazione di massa (mass media), per arrivare a raggiungere la massa i mezzi di comunicazione hanno semplificato molto i messaggi e far questo vuole dire cercare il più possibile un responsabile dei problemi ben identificabile ed esterno, cioè che non appartenga al gruppo sociale a cui il mass medium stesso si rivolge. Così tutti hanno la soddisfazione di sentirsi apposto e di avere capito perché si sta male. Per esempio una parte del cosiddetto populismo, in Europa e in nord America, se la prende con gli immigrati come causa delle difficoltà economiche, mettendoci un minimo di verità e un 90% e passa di esagerazione. Questa è quella che chiamerei una paranoia soft, certo da contrapporre alla paranoia hard di Hitler che identificava negli ebrei il male del mondo e si proponeva di sterminarli per risolvere i problemi, ma che comunque va in una direzione non troppo dissimile. Oggi infatti, in occidente, la libertà di informazione e la libertà dai bisogni primari non hanno portato ad una sostanziale prevenzione delle follie e delle semplificazioni dei messaggi, per cui qualcuno viene additato come responsabile e quindi si entra in un circolo vizioso che può giungere persino alla distruzione delle minoranze ritenute causa primaria di alcuni problemi. Insomma non siamo ancora usciti da questa dinamica proiettiva, che rimarrà sempre una tentazione molto forte per i politici che non riescono ad ottenere successo.
4) Carl Gustav Jung ha spinto la psicologia oltre se stessa, verso il vasto orizzonte della filosofia e della religione. Al crocevia tra questi mondi si può forse intravedere la rinascita del “mito” per l”uomo contemporaneo. Lo stesso Jung ben sapeva che il mito cristiano, in Occidente, ha perso la capacità di orientare in maniera sensata e profonda la vita dei popoli e degli individui. Qual è dunque, secondo lei, il mito in cui vive l”uomo contemporaneo ai tempi della globalizzazione economica?
Qui tornerei a quello che ho già detto nella prima risposta. C”è, per quanto riguarda la società , un inconscio mito di crescita infinita come soluzione a tutti i problemi, per quello che riguarda l”individuo una specie di corrispondente mito della giovinezza infinita, si pensi al fitness, alla chirurgia estetica, alla medicina sia estetica che preventiva e riparativa di tutti i mali. Direi che dal punto di vista junghiano il posto occupato dalla religione, ovvero nell”individuo dalla ricerca del Sé – per rimanere alla terminologia di Jung – viene oggi sostituito da questi inconsci miti moderni estremamente semplici e rozzi. In fondo si tratta di una laicizzazione della onnipotenza divina. Abbiamo in qualche modo introiettato Dio, la società ha introiettato Dio e quindi può crescere all”infinito e fornirci sempre più beni, e anche noi crediamo di poter vivere “sempre più all”infinito”. Quindi siamo dinnanzi ad una trasposizione di questa onnipotenza in forme tecnologiche.
5) Infine, cosa pensa di Internet e delle nuove tecnologie che generano continuamente la mediasfera in cui “navighiamo” e grazie alla quale comunichiamo? Quali sono gli effetti di questa rivoluzione antropologica sulle strutture profonde della psiche?
Qui mi permetto di rinviare ad un mio libro particolarmente accessibile, “La morte del prossimo”, dove sintetizzo questi temi. In quel testo ho trattato dell”aspetto ambivalente che caratterizza l”anaffettività della società moderna (in quanto appunto società di massa, urbanizzata, dove ci incontriamo all”infinito senza conoscerci, senza affettività ) insieme alle nuove tecnologie che ci danno l”illusione che la distanza non sia un ostacolo agli affetti. Tutto questo distorce profondamente anche il nostro funzionamento psico-fisico. Ci sono infatti degli studi neurologici che mostrano come i nostri neuroni in presenza di una persona cara ma raggiunta per realtà virtuale, non reagiscono allo stesso modo; quindi assistiamo ad una vera e propria privazione sensoriale. Aggiungo un”ultima annotazione che viene dalla mia professione. Noi con l”analisi abbiamo superato le barriere dello spazio, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino. Nell”Europa orientale, dove già era forte l”interesse culturale, c”è oggi una vasta diffusione dell”analisi. Anche in India e in Cina c”è una crescente richiesta di analisi, e questo ha implicato la possibilità di effettuare sedute individuali a distanza, mediante skype o per telefono. Secondo me è molto discutibile questo modo di procedere. Io sono stato invitato più volte ad avvalermi di questa metodologia, ma mi sono sempre rifiutato. L”analisi non si fa solo a livello verbale, c”è l”importanza della prossimità e dell”influenza emotiva. Sono aspetti determinanti, che non possono essere sacrificati, pena il rischio di cadere nella frettolosità e nella superficialità dell”intervento. E” troppo artificiale, insomma, questo tipo di contatto umano. Mi pare, dunque, che via sia qualcosa di profondamente innaturale in questa virtualità delle relazioni. Ce lo confermano numerose ricerche e studi di laboratorio: tutto questo si paga con un”insoddisfazione di vita, con nevrosi, con insonnia e con uno scoordinamento della nostra unità psicofisica.
Registrazione eseguita da Gisella Orsini.
Trascrizione di Paolo Bartolini.
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