Il rischio del totalitarismo via internet

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7 Dicembre 2012 - 21.34


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di Umberto Rapetto Il Fatto Quotidiano.

Dopo aver rappresentato il sogno della libertà, la Rete delle Reti è destinata ad incarnare il peggior incubo per chi la utilizza fino a prospettare l”ombra di un nuovo totalitarismo?  E” Julian Assange, portavoce e non capo di Wikileaks, a parlare. Lo ha fatto, intervistato da Laura Smith, dinanzi alle telecamere dell”emittente anglofona russa RT.  Le infrastrutture fisiche necessarie per implementare la tirannide telematiche sarebbero pronte. Deve compiersi solo l”operazione finale, quella con cui -ruotando la chiave nell”immaginario cruscotto della sala di controllo planetario- si avvia una macchina infernale in grado di intercettare e sorvegliare intere nazioni e non singoli soggetti.

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Lo scenario, davvero poco rassicurante, è delineato nel libro “Cypherpunks. Freedom and the Future of Internet” in cui Assange disquisisce della libertà e del futuro di Internet.

Una precisazione. Perdonatemi, ma è d”obbligo. Il vocabolo con cui inizia il titolo identifica la sottospecie dei Cyberpunks a loro volta “figli” della cultura punk. Non eccessivamente nota a chi abita la Rete da poco o la vive -come la maggior parte degli internauti- in maniera troppo superficiale per sapere o capire che nei sotterranei digitali pulsa il cuore del dissenso.

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Nel volume sono dipinti come gli angeli custodi del cittadino, pronti a far uso della crittografia per tutelare la riservatezza costantemente insidiata dalle manovre oppressive dei diversi Governi. La comunità Cypherpunks non fa capo a qualche giovanotto trafitto dai piercing come un moderno San Sebastiano: il leader è un quasi ottantenne architetto di nome John Young, una sorta di jedy che costituisce il padre spirituale del “piccolo” Julian, ma questa è un”altra storia e non mancherà certo occasione per occuparcene.

Torniamo al volume e alle dichiarazioni del suo coautore. Sostanzialmente Assange ritiene che internet può ridurci in schiavitù e ribadisce che a poterlo fare sono i gestori delle intercettazioni, i controllori degli enormi data warehouse, i proprietari delle reti costituenti il tessuto connettivo internazionale, tutti in grado di eseguire il monitoraggio di idee, pensieri ed ogni altro genere di informazione.

Il testo -scritto con l”americano Jacob Applebaum, il francese Jeremie Zimmermann e il tedesco Andy Müller-Maguhn- propone l”alternativa utopistica della ricerca, della conquista e della dichiarazione formale dell”indipendenza di Internet. L”opera rimarca l”importanza della condivisione delle conoscenze, spiega la natura e la dinamica dei rapporti interpersonali, punta il dito contro le istituzioni facendo una dicotomia di buoni e cattivi come i maestri sulle vecchie lavagne delle aule più turbolente.

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Assange non lesina esempi e fa riferimento alla NSA statunitense, asserendo che quel tipo di spionaggio strutturato è il suo mestiere da venti/trent”anni.

Ma spiega che non è una moda a stelle e strisce perché persino la Libia del colonnello Gheddafi ha impiegato il sistema Eagle, realizzato dalla francese Amesys e reclamizzato come efficace soluzione di intercettazione ad ampio spettro geografico.

A spingere il cosmo online in questa pericolosa deriva ha certo contribuito il costante calare dei costi per effettuare “ascolti” e “monitoraggi” delle comunicazioni.

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Molte riflessioni di Assange riguardano l”approccio naif di parecchi utenti, assolutamente leggeri ed incuranti nell”affrontare ogni piccola azione sul web. Non riesce a darsi ragione della facilità a raccontare e render pubblica qualsiasi cosa e si chiede perché mai si debba dire a Facebook o a chicchessia quel che si sta pensando o facendo in un determinato momento.

La frenetica corsa ad aggiornare il proprio “stato” su Facebook indica una pericolosa tendenza alla diffusione spontanea e incontrollata di qualunque informazione sul proprio conto.

Una volta – rammenta Assange – la Stasi poteva contare su una permeazione del 10% della popolazione dell”allora Repubblica Democratica tedesca: in pratica un cittadino su dieci era un informatore dei temutissimi servizi segreti. Ora è tutto incredibilmente più facile.

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Nei Paesi a maggior penetrazione tecnologica, come l”Islanda, ben l”80% degli abitanti è presente su Facebook e tiene aggiornati i propri amici su cosa ha fatto, fa o sta per fare. Facile, così, sapere tutto di tutti e – magari – acquisire informazioni che un domani possono persino essere utilizzate in danno del soggetto cui si riferiscono.

Assange insiste nel ribadire che dovremmo aver imparato che la conoscenza è il vero potere e al contempo dovremmo aver compreso che nelle viscere del globo virtuale scorrono fiumi di informazioni la cui aggregazione e rielaborazione può trasformare dati innocui in notizie compromettenti. E vortici e mulinelli di certi torrenti digitali possono mettere in difficoltà anche abili web-nuotatori.

La dissertazione è lunga e gli argomenti sono tanti, forse troppi per una pagina di blog. Vale la pena premere il tasto “pausa” sull”immaginario telecomando della nostra vita e scrutare in dettaglio il fermo immagine. Probabilmente si può constatare che certe riflessioni di Assange e dei suoi tre amici non sono poi così remote.

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Internet ha cambiato il mondo e dopo la deflagrazione nucleare di Hiroshima è il più forte impatto cui la recente civiltà è stata sottoposta. Vale la pena non farsi trovare impreparati dinanzi agli ulteriori prossimi mutamenti. Il ruolo della Rete è stato oggetto anche di disamine nostrane. “Libertà vigilata – Privacy, sicurezza e mercato nella rete”, edito da Laterza, non arriva da lontano ma guarda lontano. L”opera di Franco Bernabè, di cui ho avuto il privilegio di veder la genesi e la versione “ecografica” antecedente la venuta alla luce, è piena di spunti molto interessanti. E non manca di similitudini con il Cypherpunk-pensiero. Strano abbinamento? Forse. Ma in realtà entrambi gli “schieramenti” conoscono davvero la Rete e le potenzialità delle tecnologie. E hanno contezza di quel rovescio della medaglia che pur nominato spesso è surclassato con altrettanta frequenza.

A voler reiterare le citazioni di Renzo Arbore (la seconda in quattro post e stavolta rivedendolo dinanzi ad una birra), “meditate gente, meditate!”

 

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Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/07/rischio-del-totalitarismo-via-internet/439254/.

 

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