Meglio giusti che buoni

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7 Gennaio 2013 - 16.18


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di Sebastiano MaffettoneIl Sole 24 Ore

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Nel 1971 usciva A Theory of Justice, un libro destinato a cambiare la storia della filosofia politica e la cultura contemporanea. Il successo del libro superò ogni ottimistica aspettativa. La lettura secondaria su di esso è praticamente infinita.

Lo scorso anno a Dehli c”erano otto corsi universitari su Rawls, e più o meno lo stesso accade tutti gli anni a Berlino, Mosca, Roma, Parigi, Rio per non parlare dei Paesi in lingua inglese. La cosa singolare è che questo libro – che ho tradotto in italiano – è lungo (circa 600 pagine) e difficile.

Per capirlo bisogna avere la pazienza di leggere e rileggere pagine fitte di complesse argomentazioni. L”autore era un uomo gentile e semplice nei modi, ma non dotato di capacità comunicativa, un po” per la balbuzie e molto per la natura introversa e riflessiva. Rawls amava lo sport, a cominciare dal baseball – che proclamava sport più bello del mondo – ma praticava anche tennis, jogging e vela. Sposato con Mardy aveva quattro figli. Da giovane era stato militare con le forze di fanteria americane in Giappone e aveva potuto vedere da vicino i suoi devastanti effetti.

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Alla religione pensava spesso, e aveva deciso di dedicare la sua vita al sacerdozio. Aveva poi abbandonato l”idea perché la bomba atomica, la guerra e l”Olocausto gli avevano procurato dubbi profondi. I suoi eroi erano Kant, ma anche Abramo Lincoln e Martin Luther King, due americani dotati di uno speciale «senso di giustizia». Nutriva un”avversione per la schiavitù, forse anche perché veniva da una famiglia originaria del Sud degli Stati Uniti. Era nato a Baltimora, da un padre di fede democratica e una madre con simpatie femministe. La sua vita accademica era cominciata con un dottorato a Princeton, e proseguita con una carriera quasi tutta a Harvard, nella stanza 205 di Emerson Hall (abitata allora anche da Quine, Putnam, Goodman, Nozick, Scanlon).

Rawls era senza dubbio dotato di una grande capacità analitica. Ma lo straordinario successo di cui si diceva è dovuto alla sintesi tra la forza propulsiva dei movimenti degli anni Sessanta e la necessità di ridare vigore alle istituzioni, tra una struttura argomentativa innovativa al massimo grado e un rispetto assoluto per la storia costituzionale del suo Paese, tra economia e diritto come basi del ragionamento politico. A tutto ciò si aggiunge anche una certa fantasia semantica. Termini come «posizione orginaria», «velo di ignoranza», «equilibrio riflessivo», «senso di giustizia» sono diventati comuni nel dizionario colto dei nostri anni.

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Politicamente, Rawls è un tipico liberal americano, anche se il suo modo di considerare libertà, eguaglianza e diritti è originale. Quello che è più difficile comprendere è l”argomento a favore dei due celebrati «principi di giustizia» e la struttura generale di pensiero costruita per giustificarli. La giustificazione è cosa diversa dalla dimostrazione, perché per giustificare una tesi politica bisogna partire dalla condivisione innanzitutto della liberaldemocrazia. Gli argomenti rawlsiani non sono mai rivolti a chi è esterno a questo tipo di orizzonte istituzionale. Il primo dei due principi di giustizia è un principio di libertà; il secondo di eguaglianza. Innanzitutto, l”eguaglianza rawlsiana è equa eguaglianza di opportunità, sarebbe a dire una radicale messa in discussione della lotteria sociale e genetica. In secondo luogo, l”eguaglianza rawlsiana è pretesa che le ineguaglianze che favoriscono alcuni siano sempre a vantaggio di chi sta peggio nella società.

Rawls nel 1993 ha pubblicato il suo secondo fondamentale libro, Political Liberalism, in cui le risposte ai critici della Teoria sono formulate all”interno di un originale quadro teorico. Si è molto discusso sul rapporto tra il Rawls della Teoria e quello di Liberalismo. Nel mio libro su Rawls, mi sono espresso a favore di un”ipotesi di continuità. Non ci sono due Rawls ma lo stesso Rawls con due problemi parzialmente differenti. Se il problema della Teoria è quello della giustizia come equità, il problema di Liberalismo è quello della legittimità politica liberale e della stabilità (su cui Rawls rivede la posizione della Teoria).

In sostanza, Liberalismo intende includere a pieno titolo nello stato quelle persone che – pur non condividendo i principi liberal della Teoria – possono essere utili alla vita della democrazia. Secondo Rawls, i liberali e i religiosi o sostenitori di visioni comprensive possono condividere una concezione politica che consiste nell”adesione alla liberaldemocrazia. Rawls non è un pensatore secolarista: religioni e dottrine comprensive coesistono bene coi liberali purché badino tutti a rispettare gli altri rivolgendosi loro nei modi e nelle forme dalla public reason quando gravi questioni costituzionali sono in gioco. Liberalismo è con ogni probabilità un libro più difficile della Teoria, perché mentre nel primo lo scopo teorico era chiaro (criticare l”utilitarismo, proponendo un”alternativa migliore), nel secondo è più opaco. Nonostante ciò, ho sempre insistito con gli studenti sull”opportunità di leggere prima Liberalismo e poi la Teoria – rovesciando l”ordine storico – perché entrare dalla porta più larga aiuta a comprendere meglio anche quella più stretta.

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La terza opera fondamentale di Rawls è senza dubbio The Law of Peoples (1999) uscito quando già Rawls era stato colpito dal primo ictus cerebrale (il secondo gli sarebbe stato fatale). Il Diritto è un libro importante, ma non è analiticamente all”altezza degli altri due, e non solo perché la stesura finale non è stata rivista da Rawls ma dalla moglie e dall”amico-collega Burton Dreben. Il target più evidente di questo libro è l”impossibilità di estendere direttamente il paradigma di giustizia della Teoria alla sfera delle relazioni internazionali. Non esiste, per Rawls, una giustizia globale analoga alla giustizia distributiva all”interno dello Stato. Nell”ambito internazionale manca infatti quella basic structure – cioè l”insieme delle istituzioni liberaldemocratiche – su cui poggia la possibilità stessa di giustificare i due principi di giustizia.

Rawls ha scritto tre altri libri e numerosi articoli di notevole rilievo scientifico. Il primo consiste in una sorta di rilettura rawlsiana di Rawls, ed è intitolato Justice as Fairness: a Restatement (2001). Gli ultimi due sono raccolte di lezioni sulla storia del pensiero politico e morale, pubblicati postumi, a cura di alcuni dei numerosi allievi. Non si può pretendere la stessa originalità teorica degli altri, ma Rawls mostra in essi una competenza storico-critica di alto livello. Rawls scrive che con i classici bisogna sempre adottare un atteggiamento di umiltà interpretativa: se non fossero bravi più di me perché dovrei passare tanto tempo a studiarli? Credo che questo sia stato anche il mio atteggiamento intellettuale nei confronti dell”opera di Rawls.

Ho letto la Teoria per la prima volta intorno alla metà degli anni Settanta in Inghilterra. Da allora non ho mai smesso di frequentare le pagine di Rawls. Ma non è solo una mania. La mia gioventù è stata caratterizzata dal cleavage tra comunismo e capitalismo, che vede al suo centro una questione di giustizia in termini di libertà ed eguaglianza. Rawls ha scritto quello che è forse il più importante libro della storia su questo tema.

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Dopo il 1989, il cleavage centrale è cambiato. Sono tornati sulla cresta dell”onda problemi che riguardano la cultura, la tradizione, la religione e il pluralismo. Liberalismo tratta a livello filosofico assai sofisticato proprio di ciò. Dopo il Millenium Round abbiamo cominciato a occuparci sempre di più della globalizzazione e della ingiustizia che vi è connessa. E potevamo leggere il Diritto. Insomma, l”opera di Rawls ha accompagnato tutte le stagioni intellettuali e politiche della mia generazione. Stiamo sperimentando ora anni di lunga e grave crisi finanziaria, economica, di modello di sviluppo, ma anche di valori. È lecito sperare che anche in questo caso la pagina di Rawls possa essere di aiuto. Dopotutto è lui che ci ha insegnato che la politica e l”economia scorrono nel letto dell”etica.

(6 gennaio 2013)

Fonte: Il Sole 24 Ore

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