Le "Nominarie" del Pd

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9 Gennaio 2013 - 20.40


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Dopo le “parlamentarie” del Movimento Cinque Stelle, il Pd ha cercato di tener botta, come ha fatto con la candidatura di Grasso per contrastare il movimento arancione di Antonio Ingroia. Peccato che, più che “parlamentarie” (in quelle vere il Movimento Cinque Stelle ha lasciato agli iscritti la possibilità di scegliere il 100% dei suoi candidati), quelle del Pd siano state “nominarie”. Il solito, caro, vecchio Parlamento di nominati di sempre. Il perché ce lo spiega Valerio Valentini.

di Valerio Valentini – ByoBlu.

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“Neanche il 3%”. Così esclamava giulivo Bersani, il 18 dicembre scorso, facendo riferimento alla quantità di derogati tra le file dei candidati al Parlamento del Pd. E così la maggior parte dei media aveva fatto sedimentare, nell”animo degli elettori democratici, la convinzione che il loro voto delle primarie di fine anno avrebbe contribuito alla nomina del 97% dei parlamentari del Pd. Ieri, però, al termine della compilazione delle liste, i dirigenti del Pd hanno di nuovo mostrato il loro entusiasmo, ribadendo l”assoluta democraticità con la quale si è giunti alle nomine, “per tre quarti frutto delle primarie“.

E qui è arrivata la prima doccia fredda per gli elettori che sono andati a votare il 29 e il 30 dicembre: al massimo, infatti, il loro voto ha influito per il 75% sulla nomina di senatori e deputati, e non per il 97%.

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Facciamo umilmente notare, tuttavia, che questo dato non sta ad indicare che il 75% dei parlamentari democratici della prossima legislatura sarà espressione della libera scelta degli elettori del Pd. Il 75% di quelli che sono stati eletti nelle primarie, infatti, è andato a comporre le liste dei candidati per Camera e Senato. Ma ovviamente non tutti quei candidati saranno eletti: per la Camera, ad esempio, il Pd ha presentato 572 nominativi, per il Senato 283. Per eleggerli tutti, il Pd dovrebbe accaparrarsi il 90% dei seggi sia a Monte Citorio sia a Palazzo Madama (cosa che il Pd non riuscirebbe a fare, c”è da scommetterci, neppure se gareggiasse da solo!). Ma ovviamente, nel momento in cui si formeranno gli schieramenti alla Camera e al Senato, il numero degli eletti del Pd sarà di molto inferiore (meno della metà) rispetto al numero dei candidati inseriti nelle liste. E dunque la percentuale dei parlamentari del Pd eletti direttamente da Bersani lieviterà enormemente rispetto al 25% dei “blindati” che oggi sono presenti nelle liste. E questo perché, sempre ovviamente, i vari “blindati” (in gran parte riciclati tra la nomenclatura vecchia di decenni, oppure tra i cosiddetti “fedelissimi” del segretario) sono stati tutti paracadutati in cima alle liste, quindi sono sicuri della loro elezione. Mentre molti dei candidati votati dai cittadini, essendosi visti scavalcati dai colleghi nominati nelle stanze di Via del Nazareno, si sono ritrovati in posizioni svantaggiate, e quindi non verranno certamente eletti.

I capolista, ad esempio, sono 42 (e non 38, come ha spiegato ieri Enrico Letta: urge un abaco). Ebbene, di questi, sono 27 quelli scelti direttamente dalla segreteria del partito: cioè il 66%. Questo è il dato! Tra l”altro, non si può certo dire che tutti i restanti 15 nominativi siano stati indicati rispettando in pieno la volontà degli elettori. In quella quindicina, ad esempio, ci sono Rosi Bindi e Anna Finocchiaro, entrambe inspiegabilmente spedite a raccoglier voti in città alle quali non erano legate da alcuna appartenenza, e dunque entrambe imposte a priori.

Non solo: mettendo a confronto gli esiti delle primarie nelle varie regioni e i nomi dei capolista indicati dal Pd nelle circoscrizioni corrispondenti, ci si accorge che i dirigenti democratici hanno in molti casi stravolto l”esito delle votazioni.

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In Piemonte, oltre al “blindato” Ignazio Marino, sono stati eletti capilista Cesare Damiano (meritatamente, avendo raccolto 5998 voti alle primarie a Torino) e Mimmo Taricco, che però ha ottenuto questo privilegio un po” meno meritatamente. Lui di voti ne ha presi soltanto 2080, nella provincia di Cuneo. Ma nella sola Torino, Cesare Damiano a parte, ci sono ben 8 candidati che alle primarie del 29 e 30 dicembre hanno ottenuto più preferenze di lui! Si dirà che magari questi otto sono stati declassati perché erano tutti stati votati nella stessa circoscrizione, o che magari il Pd ha voluto tener conto anche delle province periferiche. Ma allora perché non nominare capolista, al posto di Taricco, uno tra Cristina Bargerio e Daniele Borioli, che ad Alessandria sono stati votati, rispettivamente, da 2878 e 2361 elettori, ottenendo cioè molti voti in più rispetto a quelli raccolti da Taricco? Misteri assolutamente democratici.

Situazione analoga in Friuli, dove i capilista sono Russo e Malisani. Il primo imposto dalla segreteria, la seconda votata, nella circoscrizione di Udine, da 2149 persone. Ma perché preferire la Malisani a Isabella De Monte, che ha ottenuto oltre cento preferenze in più?

E se ci si sposta in Liguria, si riscontrano le stesse stranezze. Donatella Albano si ritrova capolista al Senato nonostante ben 17 candidati, in giro per la Liguria, abbiano ottenute più voti di lei. Oppure nelle Marche: oltre al blindato Letta alla Camera, il capolista per il Senato è Fabbri, che però ha preso, nelle primarie, quasi 860 voti in meno di Marchetti, e per giunta nella stessa circoscrizione (Pesaro e Urbino).

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E ora torniamo alle due donne eccellenti del Pd. Rosi Bindi si ritrova capolista per la Camera in Calabria, ma non si comprende (non si comprende?) per quale motivo sia stata preferita a Vincenza Bruno Bossia, Nicodemo Nazzareno Oliverio e Demetrio Battaglia, i quali hanno raccolto, rispettivamente, 3152, 730 e 835 voti in più della presidente del Pd. Anna Finocchiaro (5151 voti) risulta altrettanto inspiegabilmente capolista per il Senato in Puglia, essendo stata superata, nelle primarie per i parlamentari, da Colomba Mangiello (5579), Elena Gentile (9064), Teresa Bellanova (5218), Loredana Capone (5163) e Michele Bordo (12893).

Altro motivo di giubilo, per la dirigenza del Pd, è stato l”alto numero di donne presenti nelle liste. Letta ieri esultava perché circa il 40% dei capilista sono donne. Peccato che Letta non dica, con altrettanta enfasi, che dei 27 capilista “blindati” imposti dalla segreteria del partito, 18 sono uomini: si tratta del 66%. Se, dunque, la presenza di donne in una rosa di candidati è ipso facto un merito da rivendicare per il partito che presenta quella rosa – io dubito che lo sia, ma Letta ne è certo – allora la dirigenza del Pd è stata molto poco meritevole nell”individuare i capolista.

Sono tutte banalità, come ho detto. E sono anche banalità un po” noiose, fatte di conti e percentuali. Ma sono banalità che è meglio chiarire, dal momento che Bersani e il Pd continuano a fornire cifre inesatte e fuorvianti, nel tentativo disperato di ricostituirsi una verginità democratica, inseguendo l”esempio del M5S, dopo anni di Porcellum accettato in silenzio e mai cambiato tra il 2006 ed il 2008, quando al governo guardacaso c”era proprio il centrosinistra.

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Fonte: http://www.byoblu.com/post/2013/01/09/Le-nominarie-del-PD.aspx#continue.

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