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(microappunti politici di viaggio e pensieri alternativi)
Mi trovo, ospite di amici di gioventù a Valencia (800mila abitanti, terza città della Spagna); in silenzio su un taxi ascolto alla radio il discorso prenatalizio del Re: parole insincere di preoccupazione per la crisi e i suoi danni sociali, condite di retorica e di vaghe speranze di una ripresa della crescita che comunque deve prima o poi tornare a governare l”economia spagnola.
Osservo il volto impenetrabile del taxista, poi sbotto: «le stesse parole, le stesse bugie dei nostri governanti.»; sembra che attendesse il mio input per scatenare un malcontento, represso dal ruolo del servizio e dal rispetto verso il cliente; sollecitato dalle mie parole, che sente solidali e curiose della sua opinione sulla realtà della crisi, lascia cadere un giudizio icastico, su cui pare aver riflettuto a lungo: «i taxi sono il termometro dell”economia».
ÂAl mio sguardo interrogativo, con una sicurezza che non ammette repliche, mi dice «prima, nelle mie dodici ore di lavoro, facevo non meno di 32 servizi, adesso a malapena ne faccio 12-13» e aggiunge che la cosa non deve stupire, perché il taxi è la prima spesa “superflua” che il cittadino taglia quando i suoi introiti diminuiscono o cessano, fruendo di alternative meno comode, ma meno costose: la metropolitana, il bus («finché non chiuderanno anche quelli», aggiunge con una smorfia amara e sarcastica). Guida a memoria in un traffico ordinato, palesemente ridotto, e intanto mi parla del figlio neolaureato in chimica biologica, senza alcuna reale prospettiva; mi indica numerosi manifesti di protesta appesi sulle facciate di edifici pubblici, corredati di un logo onnipresente: un paio di forbici (los cortes, i tagli) sormontate da una X di ripulsa; accenna all”evidente assenza di turisti, un tempo scaricati dalle numerose crociere che facevano tappa a Valencia e di cui non si ha più sentore.
La sua analisi del contesto è elementare ma non del tutto peregrina: «la speculazione banco-finanziaria» – che lui vede rappresentata nell”Unione Europea dalla Germania – «ci vuole strangolare lentamente, noi spagnoli e voi italiani dobbiamo allearci in una strategia comune che vada a fare la voce grossa a Bruxelles, minacciando altrimenti di andarcene dal mercato comune. Anche la Germania» conclude «deve stare attenta, perché quando noi latini non avremo più un euro in tasca, voglio vedere a chi venderanno le loro merci». Nelle sue parole non c”è traccia di una solidarietà di classe, di una “maniglia” politico/sindacale cui aggrapparsi, per il semplice fatto che costoro sono altrove e lui non li riconosce come sua rappresentanza. (1)
Il mitico prima, è un riferimento ricorrente nella rabbia di Valencia:una comunità che in pochi anni è passata da un ruolo di leader a livello nazionale, con alti indici di crescita legati ad un”economia dei “grandi eventi “(la città delle Scienze ed Arti, la Coppa America, il Palazzo dei Congressi) collocabile negli ultimi 15 anni, ad una progressiva marginalizzazione, causata dall”esplodere della bolla immobiliare, cui è stata sacrificata la fiorente agricoltura degli agrumi, crollata perché buona parte della terra dedicata a questa produzione di qualità , è divenuto terreno abbandonato, da destinare a grandi urbanizzazioni che sono rimaste e rimarranno progetti nel cassetto.
Valencia è nella sua fisionomia urbana, ”moderna”, un monumento al gigantismo, spesso orribile, dove pare non ci sia posto per l”Uomo, soffocato nel suo bisogno di socialità , che riappare, distorto nell”anomia dei numerosi, onnipresenti centri commerciali (2); lo stridente contrasto è accentuato dagli effetti della visibile crisi del debito e da un imponente disoccupazione (circa il 22%, superiore alla media nazionale, rispetto all”8,4% del 2006):dagli imponenti, mostruosi grattacieli dell”anello urbano, occhieggiano moltitudini di cartelli che supplicano “si vende, si affitta”.
Il taxista-economista mi lascia proprio davanti all”opera dell”architetto gigantista di origine valenciana Santiago Calatrava: l”imponenza del complesso da lui pensato in onore della sua città («solo il migliore può essere ancora più grande» recita senza pudore la targa inaugurativa del Palazzo dei Congressi, 2010 ; mi viene in mente a contrario l”esortazione del teologo-ecologo Leonardo Boff «essere di più con meno»).
Sicuramente chi ha voluto ed attuato questo imponente complesso – nato a parole per attrarre il turismo culturale (ma solo il 4% dei turisti interpellati ha addotto motivazioni culturali per la visita della città !), in realtà agganciato al turismo degli affari e dei congressi – era del tutto indifferente al principio di sostenibilità e al contributo omicida che le gigantesche cubature di cemento impiegate, e le conseguenti emissioni di CO2, hanno dato all”aggravarsi dell”effetto serra, al riscaldamento globale e al benessere complessivo dei viventi di Valencia.
Adesso, mentre qualche ignaro turista giapponese si aggira nei meandri di un mega-labirinto che avrebbe dovuto accogliere folle festose in una grande kermesse della crescita e del consumo che non vedrà mai la luce, ricordo le numerose inchieste della magistratura spagnola su tangenti, corruzione, palate di soldi spariti in meandri grandi e piccoli, nella totale impunità della classe politica locale, rivotata a grande maggioranza in quell”inganno-spettacolo che è la cifra di una democrazia svuotata di ogni valore e missione, che cerca disperatamente di darsi un senso che non sia solo l”autoriprodursi di un ceto parassitario del tutto autoreferenziale.
In questo quadro mortifero emerge in realtà un ”colpevole”, regolarmente processato e condannato:il giudice Baltasar Garzón, che si era permesso di indagare il verminaio locale (che pur dedicandosi a speculare e arricchirsi con le mazzette delle grandi opere, non disdegnava comunque di arraffare persino gli spiccioli della comunità per disporre di vestiti e cravatte firmate), oltreché di rompere il grande silenzio di oltre mezzo secolo relativo al golpe di Franco contro la legalità repubblicana, le fosse comuni rimaste ancora clandestine a 60 anni dalla fine della guerra civile, le decine di migliaia di desaparecidos e di teorizzare ed applicare il principio della giurisdizione universale e della imprescrittibilità per i crimini contro l”umanità e i diritti umani.
Sembra surreale, ma il giudice Garzón è stato ”inabilitato” a svolgere le funzioni giudiziarie per 11 anni; in pratica, considerato che ha 57 anni, è stato cacciato dalla magistratura; il che è da intendersi come un non velato messaggio della casta politica al potere giudiziario: non sarà tollerato alcun controllo di legalità sull”operato della politica, che si autoconcede un titolo di impunità preventiva sul proprio operato: a noi casta compete fare e disfare il quadro delle regole, la divisione dei poteri (retaggio dello Stato democratico), è un vecchio orpello di cui ci facciamo beffe.
Decido che con queste premesse non ha senso dedicare altro tempo a visionare le opere di Calatrava, diventate per motivi oggettivi il locum sceleris, un monumento al delirio megalomane di un artista che volle sfregiare la Natura e il suo prezioso ecosistema, che si sentì autorizzato a irridere la saggia massima di “camminare col passo dell”Uomo” e, condotto da una incontenibile indignazione, oltrepasso il Palazzo dei congressi (inaugurato nel 2010, quindi bel oltre l”inizio della fine !), che la guida mi segnala quale “esempio di ecosostenibilità “, ma che mi porge un biglietto da visita inquietante e anche impudente: «Mejor Palacio.del mundo. Solo el mejor puede ser aùn mà s grande..la Valencia del 3.er milenio». Evidentemente gli autori della guida non lo hanno mai visto o gli è bastato osservare qualche pannello fotovoltaico, per dargli la patente di realizzata ecosostenibilità .
La gente passa frettolosamente e disinteressata davanti a questo ecomostro. Non sa che la casta politica lo ha dichiarato, nel cuore della crisi sistemica che attanaglia impietosamente la Spagna, monumento alla Valencia del 3° millennio; non sa, narcotizzata dalla indecente televisione locale e dalla retorica compulsiva delle “fiestas navideñas” che il nuovo millennio vedrà la ribellione del ”pianeta terra”, il collasso di crisi terminali – climatica, ambientale, finanziaria, politica ecc- e che forse, per il bene suo e dei suoi figli sarebbe opportuno ribellarsi, organizzarsi per la difesa del proprio territorio, occupare le sedi degli indecorosi media locali, pretendere che siano trasmessi programmi di verità e di crescita culturale e umana degli utenti, in una parola: prepararsi alla transizione imminente da subito, con un programma di resistenza umana, opponendosi alla non-memoria dell”epoca presente, incapace di guardare a domani mattina, quando nascerà un nuovo giorno in cui una nuova quantità di degrado (anche spirituale) si sarà accumulata, senza possibilità di ”smaltimento”, seguendo l”unidirezionalità della freccia del tempo (3)
Mi rifugio nel vecchio, umano centro storico ove perdura, in un reticolo di piccoli negozi, caffè, librerie il segno di un”ancora viva solidarietà , di un possibile, umano dialogo tra persone non del tutto trasformate nell”impersonale, alienato consumatore e dove dignitosi ristoranti, travolti dalla crisi e dai suoi effetti, ti offrono per 10 euro un abbondante menù che prima (come direbbe il taxista-economista) ne valeva almeno 35.
Sfoglio distrattamente El Paìs, l”ex glorioso quotidiano della transizione democratica post-franchista e adesso del tutto allineato al mainstream neoliberista, ove in prima pagina si riportano le dichiarazioni del primo ministro Rajoy (nipotino dell”epoca franchista), che ”spera” nel 2013 di ”contenere” in 6 milioni il numero dei disoccupati (in un paese che ha 47 milioni di abitanti) e conta sulla prevista instabilità del governo italiano che uscirà dalle elezioni del 24-25 febbraio (lui gode della maggioranza assoluta nelle Cortes), per presentarsi al moloch tedesco (leggi Merkel) come il più affidabile dei Pigs ed ottenere ”flessibilità ” nelle modalità di rientro dal deficit.
Il cinico e furbo gallego (Rajoy per l”appunto, originario della stessa regione di Franco) conta sul fatto – conclude El Paìs – che la recessione si sta avvicinando al cuore stesso dell”U.E. e questo non potrà che ammorbidire l”inflessibile Germania e gli altri nordici satelliti”virtuosi”.
Miserabile politica di piccolo cabotaggio senza obiettivi, valori. Neanche di difesa della dignità nazionale. Costoro non sono al servizio dei loro Paesi, ma in libro paga del sistema bancario-finanziario che, salvato una prima volta dagli stati nazionali con denaro pubblico, vuole ancora di più, nel prosieguo della lotta di classe contro lavoratori e classi subalterne rimaste senza rappresentanza politica (messa sotto tutela e stipendiata dai padroni assoluti), fino a mettere le mani sui beni pubblici e trasformare in merce redditizia anche i ditti primari quali salute, istruzione ambiente. (4)
Sullo sfondo, sempre più vicina, la catastrofe incombente. Ma forse – mi avvio verso l”albergo, domani tornerò in Italia – possiamo salvare i nostri figli, le generazioni future e con loro la Terra, Pachamama (come la chiamano le comunità indigene dell”America latina), un organismo vivente che bisogna rispettare e di cui prendersi cura, e non solo sfruttare.
Mi chiedo quanto tempo abbiamo.
Andrea Pinna – Alternativa Ferrara
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NOTE:
- G. Chiesa, Invece della catastrofe, cap.3 p.4 ss e cap.5 p.9 e ss .Il saggio è in corso di pubblicazione. Ringrazio l”Autore per avermi consentito di leggerne in anteprima alcuni capitoli.
- G.Chiesa, ibidem, cap.5 p.10
- G. Chiesa, ibidem, cap.5 p.26 ss e P. Bartolini, Stand by , Megachip.info, 19.01.2011
- L. Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza, 2012
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