La comunicazione di Grillo, cosa va e cosa no

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18 Febbraio 2013 - 12.18


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di Marco Niro Megachip.

Grillo alla fine non si è fatto intervistare in televisione. Il problema, a mio avviso, non è che non si sia fatto intervistare in televisione. Il problema è che non si sia fatto intervistare, punto. Né stavolta né altre. L”episodio racchiude e simboleggia la doppia valenza della strategia comunicativa di Grillo, che ha alcuni aspetti molto positivi, altri molto negativi.  Quando Grillo comunica, lo fa da attore comico, e a questo deve gran parte del suo successo. Che piaccia o no, oggi l”efficacia di un discorso politico costruito sulla battuta, sul linguaggio colorito, sull”iperbole, è superiore a quella di qualunque discorso politico tradizionale. Prima di Grillo, ci aveva provato solo Berlusconi, che però non è un attore comico, ma “soltanto” un comunicatore, e si è fermato molto prima di Grillo. Il cui discorso politico è esso stesso, ogni volta, uno “spettacolo” (gratuito: particolare che può sembrare da poco, ma non lo è).

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Il rischio, quando la spettacolarità della forma è molto spiccata, è che essa si mangi la sostanza, o che sia usata precisamente per mascherare l”assenza di sostanza. Accadeva proprio con Berlusconi, che viveva la contraddizione di rivolgersi al “popolo” sapendo però di fare solo i suoi interessi personali e di dover quindi mascherare in qualche modo la circostanza. Non accade invece con Grillo, che da anni costruisce i suoi spettacoli su una raccolta molto nutrita d”informazioni sul reale, e che intende innovare radicalmente nell”effettivo interesse di coloro ai quali domanda il voto. Ascoltando uno spettacolo di Grillo, da anni, si esce più informati e consapevoli. Applicando il programma di Grillo, davvero l”Italia svolterebbe in modo radicale in molti ambiti, nell”interesse generale e a danno di pochi (e potenti) interessi privati.

Grillo ha dato vita quindi, in termini comunicativi, ad un formidabile mix di forma efficace e di sostanza effettiva, raro da riscontrare, e in effetti probabilmente mai riscontrato, nella storia politica italiana.

Nella scelta di come veicolare questo mix comunicativo, Grillo, da buon attore, ha deciso di puntare innanzitutto sulla comunicazione “immediata”, quella dei teatri e delle piazze. Aggiungendo, e qui la scelta è frutto non suo ma del suo socio Casaleggio, il web, ovvero ancora un tipo di comunicazione “mediata”, ma indubbiamente dal mezzo più bidirezionale e più aperto oggi a disposizione.

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Grillo (e Casaleggio) hanno invece lasciato fuori i cosiddetti media “tradizionali”, giornali, radio e tivù, ossia quelli che in pratica hanno influenzato e modellato in modo pressoché totalizzante l”opinione pubblica politica italiana sin da quando esiste la nostra Repubblica. Scelta coraggiosa, radicale, anche comprensibile, quella di Grillo, considerato il tasso di forte unidirezionalità e di scarsa apertura che contraddistingue quei mezzi di comunicazione.

Il primo problema, però, è dato dall”inclinazione di Grillo (e Casaleggio) a fare del “determinismo tecnologico”: rifiuto tutto quanto è televisivo solo perché è televisivo. Invece andrebbero fatti dei distinguo. Un conto sono i pollai che vanno in scena durante i talk show televisivi, da cui Grillo fa bene a tenersi lontano e a volere che i suoi si tengano lontani; un conto è invece un”intervista televisiva civilmente condotta, che lasci spazio alle argomentazioni. Non sappiamo come Sky volesse impostare quella a Grillo, e ipotizziamo pure che egli abbia avuto i suoi buoni motivi per vederci un tranello. Resta comunque un secondo problema, il vero problema della strategia comunicativa di Grillo.

Si ha la netta sensazione che ad essere rifiutati dal comico genovese non siano tanto la televisione e gli altri media tradizionali, ma piuttosto il confronto in quanto tale. Si faccia la prova del nove, e si chieda a Grillo se è disposto a farsi intervistare in piazza o in teatro, o sul web. Abbiamo come l”impressione che risponderebbe picche. Ecco tornare quindi il lato oscuramente contraddittorio di Grillo e del suo movimento: invocare la democrazia diretta e avere paura del confronto, delle domande, delle critiche. Come mai accade questo?

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Le possibili motivazioni sono quattro. Grillo e i suoi hanno il semplice timore di non essere capaci di rispondere adeguatamente, e questo sarebbe deludente. Grillo e i suoi hanno troppo disprezzo e senso di superiorità verso l”avversario, o anche solo chi non è con loro, per rispondere alle sue domande, e questo sarebbe pericoloso. Grillo e i suoi hanno qualcosa da nascondere, e questo sarebbe inquietante. Ma pensiamo soprattutto alla quarta: Grillo e i suoi ritengono che sia più strategico l”urlo in piazza che la risposta a una domanda, e questo sarebbe machiavellico. Se approfondissero, però, Grillo e i suoi scoprirebbero che Machiavelli, con la democrazia, c”entrava ben poco.  



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