Il Casaleggium non funziona

Una lezione di fondo: il voto elettronico, ovunque sia stato applicato in sede di decisione politica di massa, è stato sin qui una storia di insuccessi.

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13 Aprile 2013 - 07.09


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di Pino Cabras – Megachip.
CON AGGIORNAMENTO.

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Non enfatizziamo più di tanto i difetti della seconda prova elettorale nazionale del Casaleggium, il dispositivo di voto online con il quale alcune migliaia di militanti registrati del MoVimento 5 Stelle distribuiscono i loro voti sulle candidature. Prima furono le “Parlamentarie”, oggi le “Quirinarie”. Stavolta le votazioni sono state annullate e ripetute dopo la denuncia di intrusioni in grado di alterare il voto.

In sé, lo ripetiamo, l’episodio non va enfatizzato, perché – nonostante la retorica martellante del marketing di Grillo e nonostante le raffiche esacerbate degli avversari – rimane un avvenimento politico di modesta importanza, legato a un campione limitato di attivisti che sperimenta i primi rudimenti di un sistema carente. Più importante è invece trarre una lezione di fondo: il voto elettronico, ovunque sia stato applicato in sede di decisione politica di massa, è stato sin qui una storia di insuccessi, tanto più evidenti quanto più alte erano le speranze democratiche attribuite ai voti espressi con un clic.

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Negli USA, alla già complicata varietà di sistemi elettorali farraginosi, da un quindicennio in qua si sono aggiunti nelle cabine elettorali vari sistemi di voto elettronico che seminano ogni volta dubbi e polemiche sia nelle primarie sia nelle votazioni generali, al punto da inquinare profondamente la fiducia nel sistema. Il Casaleggium – essendo praticato in un contesto ancora meno controllabile e più vulnerabile come la Rete – per ora riesce a dimostrare poche cose: dà prova di riuscire a coinvolgere ancora poca gente e di essere troppo esposto ad attacchi per poter assicurare fiducia nel sistema e nei risultati.

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Le forme di scrutinio tradizionale non sono esenti da brogli, si obietterà. Vero. Ma non c’è ancora un paradigma basato sul voto elettronico in grado di sostituirsi ai vecchi sistemi con più vantaggi. Senza considerare che metà della popolazione italiana non sa nemmeno come si accende un computer, con tanti saluti all’«ognuno vale uno».

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Anche in rete non sappiamo che farcene di ideologismi e falsa coscienza. Perciò leggiamo sul Fatto Quotidiano del 13 aprile un’intervista a un vero pragmatico della rete, Umberto Rapetto, da sempre in trincea nella lotta alle frodi telematiche. Rapetto ammonisce: «L’immaterialità del web si presta agli interventi più disparati. Internet è l’anarchia assoluta. Tutti quelli che hanno cercato di imbrigliarlo con delle regole hanno sbagliato: dai governi agli ideologi della rete. Volerla usare come strumento di governo e controllo è una follia». E se non fosse ancora abbastanza chiaro, aggiunge: «Non si può credere all’infallibilità del web. È un sistema che fa errori, tant’è che, come nella vecchia politica, bisogna rifare tutto.»

Anche Marco Schiaffino, un avvocato che nuota come un pesce nella corrente del diritto in rete, porta un argomento convincente contro il Casaleggium: «I furti di dati sono all’ordine del giorno e l’idea di creare un sistema di protezione a prova di bomba è pura utopia. La cronaca è piena di esempi: furti di dati di carte di credito, account Twitter, Facebook e PayPal eseguiti violando direttamente i database centrali in cui erano conservati. E si parla di aziende che spendono una fortuna per proteggere i loro dati. Figuriamoci che livello di sicurezza può garantire il sistema informatico di un movimento semi-spontaneo basato sul volontariato degli attivisti.»

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E poi non è solo questione di sicurezza, ma di forma della partecipazione. Col passare degli anni diventa sempre più prezioso scoprire il pensiero di chi aveva visto lontano. C’è una famosissima intervista di trent’anni fa a Enrico Berlinguer (“Orwell, il computer, il futuro della democrazia”, l’Unità, 1° dicembre 1983), nella quale Berlinguer dice:

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«La democrazia elettronica limitata ad alcuni aspetti della vita associata dell”uomo può anche essere presa in considerazione. Ma non si può accettare che sostituisca tutte le forme della vita democratica. Anzi credo che bisogna preoccuparsi di essere pronti ad affrontare questo pericolo anche sul terreno legislativo. Ci vogliono limiti precisi all”uso dei computer come alternativa alle assemblee elettive. Tra l”altro non credo che si potrà mai capire cosa pensa davvero la gente se l”unica forma di espressione democratica diventa quella di spingere un bottone. Ad ogni modo lo ripeto: io credo che nessuno mai riuscirà a reprimere la naturale tendenza dell”uomo a discutere, a riunirsi, ad associarsi. Ogni epoca, certo, ha e avrà i suoi movimenti e le sue associazioni. Vedi per esempio, nella nostra i movimenti pacifisti, i movimenti ecologici, quelli che, in un modo o nell”altro, contrastano l’omologazione dei gusti e il conformismo: chi avrebbe saputo immaginarli quaranta o anche venti anni fa? Naturalmente compito dei partiti dovrà essere quello di adeguarsi ai tempi e alle epoche. È qui che si misura la loro tenuta: sulla loro capacità di rinnovarsi.»

E in effetti l’incapacità di rinnovarsi dei partiti spiega molto di quanto accade oggi, trent”anni dopo.  Berlinguer naturalmente parlava a partire da quel che vedeva, i vecchi partiti. L’intervistatore gli chiese: «Quindi tu non credi che anche i partiti storici come quelli della vecchia Europa possano diventare solo dei partiti-immagine?». La risposta è attualissima:

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«Possono, certo che possono. Ma intanto bisogna attrezzarsi per saper essere anche partiti-immagine e partiti d”opinione. Il rischio è quello di diventare solo questo. Perché sarebbe un impoverimento non solo della vita politica, ma della vita dell”uomo in generale».

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Può sembrare paradossale, ma ora il monito berlingueriano vale anche per il M5S: «È qui che si misura la loro tenuta: sulla loro capacità di rinnovarsi.» Nel cambiare profondamente una cosa già sciupata. Il Casaleggium è già obsoleto.


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AGGIORNAMENTO delle ore 21,45, 13 aprile 2013:

Al di là delle critiche all”affidabilità del sistema di votazione online adottato dal M5S, la rosa dei dieci nomi che emerge da questo meccanismo taglia in radice uno degli argomenti più sbagliati usati contro i Cinquestelle: quello di essere un movimento fascistoide. Lo ha usato molto spesso, prima e dopo il 28 febbraio, una parte della sinistra spiazzata da questo movimento. L”assurdità di vedere il fascismo nella forza politica dei Cinquestelle è peraltro confermata dalla mozione per il ritiro dei soldati dall”Afghanistan presentata dai parlamentari grillini: una delle tante cose che la sinistra italiana non ha fatto.

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Risalta semmai una contraddizione con due dei dieci nomi emersi, quelli di Emma Bonino e Romano Prodi, due calibri da club Bilderberg che hanno pienamente appoggiato l”intervento militare in Afghanistan. Rimangono otto nomi notevoli, otto nomi che aprono un piccolo spiraglio per il futuro e lasciano un rimpianto per il passato: se fossero stati proposti con forza molto prima, avrebbero messo all”angolo per tempo tutti gli architetti di altri accordi sottobanco.

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p.c.


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