Ribellioni qui e là, e ovunque

«...siamo nel bel mezzo di una transizione strutturale da una economia-mondo capitalista che svanisce a un nuovo tipo di sistema.» [Immanuel Wallerstein]

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6 Luglio 2013 - 17.00


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di Immanuel Wallerstein*

Alla persistente nuova rivolta in Turchia è seguita una ancora più grande in Brasile, che a sua volta è stata seguita da un’altra meno pubblicizzata, ma non meno reale, in Bulgaria. Certo, non sono state le prime, ma solo le più recenti di una serie in verità mondiale di ribellioni di questo tipo negli ultimi anni. Ci sono molti modi per analizzare questo fenomeno. Io le vedo, le rivolte, come un processo continuato di quel che era iniziato come la rivoluzione-mondo del 1968.

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Con ogni sicurezza, ogni insurrezione è unica nei suoi dettagli e nella compenetrazione interna delle forze all’interno di ogni paese. Ma ci sono certe somiglianze che si devono notare, se vogliamo dare un senso a ciò che sta accadendo e decidere ciò che dovremmo fare tutti noi, come individui e come gruppi.

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La prima caratteristica comune è che tutte le ribellioni tendono a iniziare con molto poco – una manciata di persone coraggiose che si manifesta intorno a qualcosa. E poi, se prendono, ciò che è in gran parte imprevedibile, diventano di massa.

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Improvvisamente non è solo il governo a essere sotto assedio, ma, in una certa misura, lo Stato come Stato. Queste insurrezioni sono una combinazione di quelli che chiedono di sostituire il governo con uno migliore e coloro che mettono in dubbio la legittimità stessa dello Stato. Entrambi i gruppi invocano la democrazia e i diritti umani, anche se le definizioni che forniscono di questi due termini sono abbastanza varie. Il generale, il tono di queste rivolte inizia sul lato sinistro della scena politica.

Naturalmente, i governi al potere reagiscono. Ciascuno cerca di reprimere la rivolta o di provare placarla con qualche concessione, o tenta entrambe le risposte. La repressione spesso funziona, ma a volte è controproducente per il governo al potere, e attira più persone in piazza. Le concessioni funzionano spesso, ma a volte sono controproducenti per il governo, e spingono la gente in strada ad aumentare le sue richieste. Parlando in generale, i governi provano con la repressione piuttosto che con le concessioni. E, in generale, la repressione tende a funzionare in un tempo relativamente breve.

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La seconda caratteristica comune di queste rivolte è che nessuna continua ad alta velocità per troppo tempo. Coloro che protestano si arrendono davanti alle misure repressive. Oppure vengono cooptati, fino ad un certo punto, da parte del governo. O si stancano dell’enorme sforzo richiesto dalle manifestazioni continue. Questa dissolvenza delle proteste aperte è assolutamente normale. Ciò non indica il fallimento delle rivolte.

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Questa è la terza caratteristica comune delle rivolte. In qualunque modo arrivi al termine, ci lasciano una eredità. Qualcosa è cambiato nella politica del paese, e quasi sempre per il meglio. Hanno collocato nell’agenda pubblica un tema importante, come ad esempio le disuguaglianze. O hanno aumentato il senso di dignità degli strati più bassi della popolazione. O hanno incrementato lo scetticismo circa la verbosità con cui i governi tendono a mascherare le loro politiche.

La quarta caratteristica comune è che, in tutte le ribellioni, molti di coloro che si uniscono, soprattutto se si sono aggiunti in ritardo, non farlo per approfondire gli obiettivi iniziali, ma per pervertirli o per spingere gruppi di destra verso il potere politico, diversi da quelli che sono al potere ma non in nessun modo gente più democratica o che tuteli i diritti umani.

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La quinta caratteristica comune è che tutti vengono impantanati nel groviglio geopolitico. I governi potenti al di fuori del paese in cui si verifica il disordine lavorano duro, anche se non sempre con successo, per aiutare i gruppi favorevoli ai loro interessi a diventare il potere. Questo accade così spesso che, per ora, una delle domande immediate su una particolare ribellione è sempre, o dovrebbe essere sempre, quali ne saranno le conseguenze per il sistema-mondo nel suo complesso. Questo è molto difficile, dato che le conseguenze geopolitiche potenziali possono spingere qualcuno ad andare nella direzione opposta alla direzione antiautoritaria iniziale.

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Infine, ricordiamo che in questo, come in tutto ciò che accade ora, siamo nel bel mezzo di una transizione strutturale da una economia-mondo capitalista che svanisce a un nuovo tipo di sistema. Ma questo nuovo tipo di sistema può risultare migliore o peggiore. Questa è la battaglia reale dei prossimi 20-40 anni, e il come ci comportiamo qui, lì o da da tutte le parti dovrà essere decisa in funzione di questa importante battaglia politica fondamentael a livello mondiale.

* da La Jornada di Città del Messico, traduzione dallo spagnolo a cura di DKm0.

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Fonte: http://www.democraziakmzero.org/2013/07/06/ribellioni-qui-e-la-e-ovunque/

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Fonte originale: http://www.jornada.unam.mx/2013/07/06/opinion/021a1mun

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