Dannoso è tenere unito ciò che è diviso

«La transizioni chiedono in primis di adattarsi ai tempi, chi rifiuta di cambiare (adattarsi è cambiare) è destinato all’estinzione.» [Pier Luigi Fagan]

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13 Luglio 2013 - 08.46


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di Pier Luigi Fagan

Le transizioni sono forti dinamiche che sottopongono ciò che le attraversa a potenti torsioni strutturali. Se ciò che le attraversa non ha una articolazione ben coordinata, prima o poi si spezzerà. Il caso del Partito Democratico italiano e quello dell’euro sono gemelli. Qui come lì, si pensa di poter tenere unite delle eterogeneità fondamentali.

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Nel caso del Partito Democratico abbiamo progressisti e conservatori, sinistra (quasi) e centro, laici e cattolici, nuove e vecchie generazioni. Questo eccesso di eterogeneità venne disgraziatamente messo insieme da chi pensava possibile fare in Italia un partito copia dei partiti progressisti anglosassoni (laburisti, democratici americani). Si trattò in sostanza di una forma di pensiero magico: “lì funziona tutto ed hanno due partiti, facciamo anche noi due partiti e così funzionerà tutto”. Ma la desinenza “anglosassoni” non è lì per caso. Essa dice che la tradizione politica di quei paesi ha un minimo comun divisore forte, l’interesse della nazione a governare un impero. Intorno a questo minimo comun divisore forte si formarono già nel XVII° secolo (cioè la seconda metà del seicento…), due diverse interpretazioni, una più “lib”, l’altra più “con”. Il modello non è prelevabile dal contesto storico imperiale e replicabile a piacere, la forma è strutturalmente connessa ad una sostanza che è ciò che gli da l’ordine e ragion d’essere.

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La fusione fredda che diede vita al progetto PD, portò con sé la seconda disgrazia, il sistema maggioritario, formatore di bipolarità. Oggi che l’Italia è in strutturale transizione occorrerebbe sciogliere questi treni non articolati che tendono a spezzarsi ad ogni curva e che si paralizzano ad ogni scelta. La transizione è una dinamica, rimanere rigidi in una dinamica porta al cedimento strutturale. In una transizione occorrerebbe rimanere agili, cambiare, formare-sciogliere e riformare, allearsi in un modo e poi in un altro, assecondando il potente flusso dinamico di cui si è oggetto.

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Nel caso dell’euro abbiamo 17 paesi, alcuni piccolissimi altri di decine di milioni di individui, alcuni con tradizioni cattoliche, altri protestanti, meridionali e settentrionali. Alcuni di origine latina, altri di tradizioni sassoni-scandinave. Alcuni hanno prospezione internazionale, altri solo mediterranea. Alcuni hanno una struttura sociale ed economica ben definita da una storia fatta in un modo, altri in un altro. Alcuni dovrebbero poter svalutare per reggere la competizione internazionale, altri vedono l’inflazione come possibile scaturigine di quel disordine che in altri tempi portò dritti in un buco nero. Alcuni hanno una struttura bell’è pronta per andare a finanziare il proprio debito pubblico sul mercato, alcuni altri non hanno alcuna necessità di finanziare il proprio debito pubblico, altri lo hanno ingente ancorché ereditato dal passato e semmai dovrebbero scalarlo, altri ancora lo avevano ma lo stanno ri-generando proprio in questa difficile transizione. Anche qui si vorrebbe fare di questo universo delle eterogeneità un monolite, si vorrebbe uniformare ad un modello preso da uno specifico contesto, ciò che si trova in diverso contesto. E’ l’antica idea di riportare a forza il particolare all’universale, il molteplice all’unità forzosa, la metafora che in mitologia è conosciuta come “Letto di Damaste o Procuste”. Lo si vorrebbe fare -subito- laddove la diversa storia che ha depositato queste diverse strutture ha lavorato per decenni ed a volte per interi secoli (se non di più come nel caso latini-barbari). Lo si vorrebbe fare senza aver la minima possibilità di poter lubrificare l’attrito che s’ingenera nelle trasformazioni poiché privi del controllo della moneta. Lo si vorrebbe fare usando un vincolo esterno (appunto, un sistema monetario) laddove cotanta complessità storica-sociale-umana non può certo rispondere ad alcun vincolo singolare, tanto meno “esterno”, ancor meno “tecnico”. Non è un caso che la figura monetaria precedente all’euro, fosse il serpente, animale sinuoso, snodato e quindi flessibile.

Inutile resistere a dispetto della realtà. Il PD si sciolga felice, almeno in due. Da una parte l’area socialista-socialdemocratica, dall’altra quella cristiano-popolare. Che ognuno torni a pensare ed agire secondo un principio di condivisione di fondamentali che tenga uniti ma politicamente efficaci nei passaggi più difficili, quelli delle sempre più necessarie ed importanti scelte. L’euro si sciolga almeno in due. Da una parte chi ha necessità urgente ed assoluta di una banca centrale che stampi denaro e finanzi debito pubblico a tassi ragionevoli, chi necessiti di un valore di cambio internazionale inferiore all’attuale; dall’altra chi ha necessità assolute di stabilità monetaria per dedicarsi alle esportazioni ed è in grado di pagare un tasso di cambio anche più alto, senza farne pagare il prezzo di contenimento ai primi.

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Qui come lì, estremamente dannoso è continuare a tenere unito ciò che ha natura fondamentalmente difforme. La transizioni chiedono in primis di adattarsi ai tempi, chi rifiuta di cambiare (adattarsi è cambiare) è destinato all’estinzione.

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