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Nena News – L”ondata moderata che ha 
investito l”Iran post-Ahmadinejad è arrivata fino al cinema. Ha riaperto
 i battenti ieri la Casa del Cinema, House of Cinema, la principale 
corporazione cinematografica iraniana. Una decisione presa un mese dopo 
l”elezione del nuovo presidente, Hassan Rouhani, che ha vinto le 
elezioni anche dietro la promessa di una maggiore apertura verso temi 
sociali e culturali.
A riordinare l”apertura di un”organizzazione indipendente che conta 
circa 5mila membri è stato il Ministero della Cultura, dopo uno stop 
delle attività lungo quasi due anni. All”epoca, nel gennaio 2012, la 
House of Cinema era stata accusata dalle autorità politiche di essersi 
allontanata dai principi fondanti la costituzione della Repubblica 
Islamica, attraverso la modifica del suo statuto interno.
Ieri, alla cerimonia di riapertura il vice ministro della Cultura, 
Hojatollah Ayoubi, puntando il dito contro la precedente amministrazione
 (“Quando una questione culturale – come quella sulla Casa del Cinema – 
diventa politica, è perché la situazione non è stata gestita 
correttamente”), ha chiaramente affermato che dietro la decisione di 
Teheran c”era la mano del nuovo presidente e la sua volontà di sostenere
 il cinema nazionale. Un”industria, ma più che altro un”arte 
ricchissima: tanti i film iraniani che hanno raggiunto i vertici del 
cinema internazionale, assicurandosi premi in tutto il mondo.
Tanto da guadagnarsi un sostegno internazionale al momento della 
chiusura della Casa del Cinema, due anni fa. A guidare la protesta era 
stato il regista iraniano Asghar Farhadi, vincitore dell”Oscar e 
dell”Orso d”Oro a Berlino nel 2012 con il film “Una separazione”. Una 
protesta vasta contro la pervasiva politica di censura imposta dal 
governo di Teheran, che ha sempre considerato la House of Cinema uno 
strumento in mano occidentale per diffondere nel Paese contenuti non 
appropriati alla cultura islamica.
A febbraio il noto regista Jafar Panahi non aveva potuto partecipare al 
Festival del Cinema di Berlino, dove avrebbe dovuto presentare il suo 
ultimo film “Closed curtain”, perché agli arresti domiciliari (con 
divieto di rilasciare interviste e di girare un nuovo film per 20 anni) 
con l”accusa di propaganda anti-governativa. Un”accusa che seguiva al 
suo arresto durante le manifestazioni popolari del 2010 contro la 
rielezione di Ahmadinjead. 
Ma il caso Panahi non è certo l”unico: negli ultimi anni il governo è
 intervenuto sempre più frequentemente per bandire la 
commercializzazione di film non conformi politicamente o a livello 
religioso, per impedire la partecipazione di attori e registi a festival
 internazionali, non solo arrestandoli ma anche infliggendo loro 
punizioni corporali. Come accaduto nel 2011 all”attrice Marzieh 
Vafamehr, condannata ad un anno di prigione e a 90 frustrate per 
l”apparizione in un film proibito dalle autorità, “My Teheran for Sale”.
 La condanna, dietro pressione internazionale e dopo l”intervento di 
Amnesty International, cadde in appello e la Vafamehr fu rilasciata.
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