India Italia: ritorno dal futuro

Di ritorno da un lungo soggiorno in India, ripenso ancora alla geniale intuizione di Marx: “L’India è un’Italia di dimensioni asiatiche” [Piero Pagliani]

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15 Dicembre 2013 - 22.04


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di Piero Pagliani.

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In India ci si può
andare per cercare atmosfere esotiche, oppure una spiritualità che
da noi sembrerebbe mancare. In entrambi i casi il presupposto è che
ci si vada con una bella corazza eurocentrica che tenga fuori l’India
in carne ed ossa con le sue dinamiche storiche, sociali, politiche,
ecologiche e antropologiche.

Se invece si cerca di non
rimanere a contemplare il subcontinente dalla finestra anche quando,
paradossalmente, si è entrati fisicamente dalla sua porta, e se ci
si sforza di “vivere” un po’ l’India, per quanto la sua
complessità geografica, storica e culturale lo permetta a una mente
occidentale, allora non è impossibile capire, anche se solo
approssimativamente, che quello che sembra un tuffo nel passato è
invece un bagno nel futuro, “arretratezze” e stridenti
contraddizioni economico-sociali comprese.

Sono appena tornato dal
mio decimo soggiorno in quello straordinario patchwork di
lingue, alfabeti, etnie, filosofie, religioni, economie e condizioni
sociali e ancora una volta non posso riflettere se non partendo dalla
geniale intuizione di Marx: “L’India è un’Italia di
dimensioni asiatiche
”, dove la dimensione dilatata diventa una
contrazione del tempo così che i fenomeni che là si riscontrano
appaiono come possibili esasperazioni di quelli che nel nostro Paese
sono ancora in cova.

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Una convinzione
confermata anche da questo viaggio un po’ stravagante, dalle dimore
reali del Rajasthan all’utopia sincretistica della Ramakrishna
Mission
di Calcutta, dall’Università Visva-Bharati di
Santiniketan fondata da Tagore, dove si sono formate menti come il
Nobel per l’Economia, Amartya Sen, alla Jawaharlal Nerhu
University
di Delhi dove ci si iscrive solo per specializzarsi in
un campus che è un microcosmo dell’India, come lì amano
presentarsi.

In mezzo, l’incontro
con una cara amica, tanto energica quanto affascinante, che la verità
sulla Siria e sull’Afghanistan ha voluto andarsela a vedere con
autobus di linea, in due viaggi infiniti dall’Europa all’India.
Una verità vista con gli occhi di una giovane donna indù in mezzo
ai fermenti e alle tragedie di Paesi musulmani. Chapeau!

Di questo non parlerò
qui, ma a suo tempo. Dirò invece, ma alla fine, del mio “incontro”
fortuito e tangenziale con l’altra parte della barricata
mediorientale, a Kuwait City, nel mio poco avventuroso viaggio
inverso dall’India all’Europa.

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L’India è un’Italia
di dimensioni asiatiche. Frammento 1

Se dall’oasi di pace di
Santiniketan si ritorna alla congestione di Calcutta passando per
Panagarh (a causa di un ponte interrotto sulla strada più diretta),
si incrocia la Durgapur-Kolkata Expressway, parte della micidiale
National Highway 2 che collega la capitale del Bengala Occidentale
alla capitale dell’India, e la si incrocia proprio a pochi
chilometri da Singur. Lì appare spettrale la famigerata
cattedrale nel deserto
: la non-fabbrica della Tata Motors
abbandonata al suo destino dopo le drammatiche proteste dei contadini
che non accettavano l’esproprio dei loro terreni decisa dall’allora
governo del Fronte delle Sinistre. A nulla valse il
compromesso raggiunto col patrocinio del Governatore allora in
carica, Gopalkrishna Gandhi, nipote del Mahatma.[1]
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La Tata Motors non accettò nemmeno un metro quadrato in meno di
quanto pretendeva. Così lasciò quel simulacro di fabbrica a severo
monito della devastazione gratuita di cui era capace il “capitalismo
dal volto umano” esaltato da qualche giornalista e ricostruì la
sua fabbrica nel Gujarat governato dal BJP, il partito
nazionalista indù
. Perché tra gli Stati indiani vale una sorta
di spread politico-sociale: chi offre condizioni più
vantaggiose (ovvero carta bianca) agli imprenditori più potenti?

Il Fronte delle Sinistre,
capeggiato dal Partito Comunista Indiano (Marxista), o CPM, aveva
cercato di mettersi al passo col neoliberismo imperante ma era
stato fermato dalla lotta corale dei contadini e degli intellettuali
che fino al giorno prima erano stati i suoi sostenitori, lasciandoci
le penne e sparendo dallo scenario politico bengalese dopo 34
anni consecutivi di governo.

L’India è un’Italia
di dimensioni asiatiche?

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L’India è un’Italia
di dimensioni asiatiche. Frammento 2

Il BJP è anche
l’assoluto vincitore delle elezioni statali che si sono
tenute ai primi di dicembre nel Chhattisgarh, nel Mizoram, nel
Rajasthan, nel Madhya Pradesh e a Delhi. Se il risultato nel
Rajasthan si sentiva nell’aria, nelle manifestazioni di strada,
nelle onnipresenti bandiere dei Saffrons [2] e nei discorsi della gente, i 121 deputati del BJP contro i 21
del Congress Party hanno sbalordito. Ma molto di più ha
sbalordito il 165 a 58 del Madhya Pradesh e soprattutto il 32 a 8 di
Delhi, fino a ieri roccaforte del Congress. Il partito di
Sonia Gandhi si è dovuto accontentare della vittoria del piccolo
Mizoram, una delle isolate e irrequiete Sette Sorelle del Nordest,
abbarbicato tra Myanmar e Bangladesh.

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Ma a Delhi, udite udite!,
un altro fenomeno ha sorpreso: l’esplosiva entrata in scena
dell’Aam Aadmi Party che con 28 deputati su 70 è diventato
il secondo partito del National Capital Territory of Delhi [3].

Questo partito è stato fondato da Arvind Kejriwal, un ingegnere
quarantacinquenne che con l’appoggio di personalità di
sinistra
, come le grandi attiviste Aruna Roy e Medha Patkar, si è
staccato dal movimento “anticasta” (nel senso usato da
noi, non nel senso delle caste indiane) del controverso Anna Hazare. Ma cosa significa “Aam Aadmi”?
Significa, udite udite un’altra volta!, “Uomo Qualunque”.
Proprio così, l’AAP è il Partito dell’Uomo Qualunque.

Così dichiara Arvind
Kejriwal: “Noi siamo aam aadmis. Se troviamo una soluzione nella
sinistra, siamo felici di prenderla in prestito da lì. Se la
troviamo nella destra, siamo felici di prenderla in prestito da là
”.

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Qui vengono in mente
molte cose, dal Movimento 5 Stelle ai Forconi, le nuove espressioni
che assume l’opposizione di una società “liquida”, cioè
sempre meno strutturata in classi, agli esiti disastrosi di
un modo di produzione sempre più di classe. Sono
appena tornato in Italia e ciò che è successo attorno al 9 dicembre
mi è giunto da lontano. Devo riprendere il filo dell’analisi, ma a
prima vista mi sembra che posizioni come quelle di Infoaut
siano tra le più condivisibili. Ne riparleremo, ma di sicuro siamo
in mezzo a fenomeni che solo apparentemente possono essere
catalogati con le vecchie categorie
. Certo anche la destra cerca
di sfruttarli usando le proprie categorie, che però non sono di
certo più nuove e quindi non daranno alla destra maggiori
soddisfazioni (a meno di clamorose stupidaggini della sinistra
anticapitalista).

Ad ogni modo, il Congress
Party
di Sonia Gandhi, attualmente al potere, dovrà prendere
serie contromisure in vista delle elezioni generali del prossimo anno
e già le sue correnti e i leader contrapposti stanno affilando i
coltelli.

Ricorda qualcosa? L’India
è un’Italia di dimensioni asiatiche?

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L’India è un’Italia
di dimensioni asiatiche. Frammento 3

La recente consultazione
elettorale ha decretato la sparizione dei due partiti comunisti,
il Communist Party of India e il summenzionato CPM [4].
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Al di là dei loro errori sembra il segnale che anche in India
l’accelerazione neoliberista ha in qualche misura liquefatto la
società, o quanto meno una sua parte
. Qui è evidentissimo che
ciò non vuol dire che le disuguaglianze e le differenze sociali
siano svanite nel nulla. Anzi, si tocca con mano proprio il
contrario. Una bella contraddizione, non c’è che dire. Come si è
detto, nello stesso Bengala Occidentale, uno degli Stati più
comunisti del mondo, la base di massa e intellettuale che aveva
sostenuto la sinistra al potere per decenni, l’ha abbandonata con
disgusto dopo i fatti di Singur e i massacri di contadini a
Nandigram, e in gran parte ha rivolto il suo favore elettorale al
Trinamul Congress Party, un partito locale demo-populista. La
leader di questo partito, Mamata Banerjee, da Chief Minister
dopo iniziali aperture alla sinistra radicale e persino ai naxaliti
(i guerriglieri o ex guerriglieri maoisti) attualmente governa il
Bengala Occidentale con pugno e cipiglio autocratico e autoritario [5].

Eppure all’epoca delle elezioni bengalesi la scelta era quasi
obbligata: non votare o votare Trinamul. Mamata venne
sostenuta persino dalla grande scrittrice Mahasweta Devi,
comunista da sempre
, la quale però la aspettò al varco della
prima grave mossa sbagliata, il divieto di manifestazione imposto a
un’importante organizzazione per i diritti democratici accusata di
sostenere i guerriglieri maoisti. Mahasweta definì senza mezzi
termini “fascista” il divieto di Mamata e ne nacque una durissima
polemica.

Tuttavia nessuno degli
intellettuali e militanti con cui ho parlato si pente della sua
scelta elettorale anche quando prende decise distanze o avanza dure
critiche al governo in carica. La sensazione è che all’epoca
occorresse sbarazzarsi di un “sistema di sinistra” ormai
diventato antidemocratico e autoreferenziale
e che, in generale,
in qualche modo occorre nuotare anche nella confusione e scontare la
perdita delle coordinate precedenti, fenomeni inevitabili in un mondo
stressato da dinamiche che non permettono modelli interpretativi e
d’azione completi e nemmeno modelli anche solo coerenti.

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L’India è un’Italia
di dimensioni asiatiche?

L’India è un’Italia
di dimensioni asiatiche. Frammento 4

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Mentre sono bloccato in
coda a Calcutta, le enormi dimensioni di questa metropoli che io amo,
caotica ma accogliente, i cartelloni pubblicitari di grandi fiere
asiatiche del commercio e dell’industria e i camion che trasportano
merci per migliaia di chilometri con insegne colorate sui cassoni,
immagini di divinità ai cruscotti e la scritta “India Is Great”
e infine l’anarchia funzionante di una nazione immensa, ricchissima
e poverissima, che ha appena inviato una sonda spaziale verso Marte,
mi aprono uno squarcio sgomento sulla nostra piccola Italia e il
nostro piccolo Occidente.

E’ chiaro che ogni
problema è importante. Anche se noi siamo piccoli abbiamo problemi
gravi
, molto gravi, da affrontare. Ma perché diventino problemi
percepiti anche come seri e quindi seriamente affrontati
occorre non perdere di vista la dimensione mondiale in cui sono
inseriti
. Da qui, veramente, le vicissitudini di Berlusconi e
anche le primarie del PD, solo per dirne due, appaiono come cose
piccine e meschine, quanto il parlarne. Per l’ennesima volta un
viaggio in questa straordinaria Italia di dimensioni asiatiche me lo
conferma palmarmente.

Il capitalismo è un sistema che ha bisogno di tutto il resto del mondo.
Purtroppo ogni singola formazione particolare capitalistica ha
bisogno di tutto il resto del mondo e in modo crescente. Qui sta il
guaio, perché la disponibilità del resto del mondo diminuisce,
socialmente, geopoliticamente ed ecologicamente al crescere della
richiesta e dei richiedenti
.

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Quando potenze, come
prima la Gran Bretagna e in seguito gli Stati Uniti, sono riuscite a
imporre ai partner un sistema gerarchico di “distribuzione del
resto del mondo”, le cose per qualche tempo hanno funzionato, anche
se la gerarchia è stata messa in discussione da due carneficine
mondiali. Ma da quando il resto del mondo si è ridestato e non ne ha
voluto più sapere di essere “il resto”, tutte le contraddizioni
dell’accumulazione capitalistica
nascoste sotto il tappeto sono
riemerse gigantesche, una dopo l’altra.

In quel momento non
poteva più esserci nessun modello teorico che reggesse bene, perché
la Storia si è rimessa in moto e i modelli logici possono solo
cercare di inseguirla
.

E’ la confusione che
segue la distruzione di Kali, la forma irata e distruttiva della dea
Durga. Se ci sarà una rigenerazione non lo sappiamo ancora e, almeno
per ora, non ce lo dirà la teoria. Bisogna tenere la barra a dritta
ricalcolando la rotta ad ogni miglio, avendo solo poche stelle come
guida sopra un cielo poco limpido, oppure si andrà a sbattere contro
gli scogli (o non si salperà nemmeno, come in molti per paura
scelgono).

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Post Scriptum

Per ritornare in Europa
dovevamo passare una giornata a Kuwait City. Volevamo visitare la
città ma il visto ci è stato negato perché tutte le strade erano
bloccate per la conferenza del Consiglio di Cooperazione del Golfo.
Non potevamo fare altro che essere confinati nell’albergo
dell’aeroporto e guardare la televisione. Ma lo spettacolo in
qualche modo è stato istruttivo: rinchiusi nel Bayan Palace gli
elegantissimi protettori dei ribelli siriani se ne uscivano con una
straordinaria dichiarazione: “Il Consiglio richiede il ritiro di
tutte le milizie straniere dalla Siria. Sostiene che Assad non debba
avere nessun ruolo nel prossimo governo (in base alla vecchia bugia
delle armi chimiche). Saluta il cambiamento iraniano”.

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Ovviamente i giornali
locali si sono affrettati a commentare che per “milizie straniere”
si intendevano “Hezbollah e i combattenti sciiti provenienti
dall’Iraq”. Eppure quella dichiarazione diplomaticamente ambigua
sembrava l’obbligato controcanto alla concomitante dichiarazione di
USA e UK che i loro aiuti “lethal” ai ribelli che operano
nel Nord della Siria sarebbero stati sospesi. I supporter del fronte
Sud non gradivano, non concordavano, ma si adeguavano. Il Consiglio
degli opportunisti che banchettano con le rimanenze imperiali doveva
prendere atto delle decisioni dell’impero. Perché è l’impero
che comanda, con la sua complessità, coi suoi interessi
contraddittori e con le sue lobby contrapposte. Non ristretti,
potentissimi, omogenei e occulti centri di potere
.

Per ammorbidire il
licenziamento, gli Usa hanno concesso ai Sauditi due mesi per cercare
di occupare posizioni a Sud, ma come è noto l’ultima offensiva di
migliaia di jihadisti
provenienti dalla Giordania si è risolta in un disastro e i Sauditi
hanno dimostrato il loro profondo disappunto nei confronti
dell’alleato occidentale non accettando il posto nel Consiglio di
Sicurezza dell’Onu.

Poco importa che in
the process
un altro pezzo della civilissima nazione siriana sia
stato devastato. La Storia è piena di imperi che devastano civiltà
“aliene” e “barbare”. Giulio Cesare sterminò un terzo dei
Galli prima di associarli alla civiltà imperiale. L’idea di
“civiltà” la dettano i vincitor
i. E i dominanti sono
dominanti perché costringono e poi convincono i dominati a credere
che there is no alternative: il progresso coincide con
l’adattamento al dominio.

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E anche a noi il
progresso imperiale statunitense alla fine, anche se non vogliamo
confessarcelo, ci piace. Siamo cresciuti con esso, la sua cultura ci
è entrata nelle ossa, la sua idea di “civiltà”, di
“democrazia”, di “giustizia”, di “diritto” ci ha plasmati
e alla fine, nel fondo dei nostri pensieri, c’è la convinzione che
in un modo o nell’altro l’uomo bianco porta sulle sue spalle
il fardello della civilizzazione
.

Forza, dai, ammettetelo
con me.

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Tu
le connais, lecteur, ce monstre délicat,

Hypocrite
lecteur
,

mon
semblable,

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mon
frère
!

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NOTE:

[1]
Il Governatore di uno Stato indiano federato è un supervisore
costituzionale dell’operato del governo locale e risponde al
Presidente della Federazione Indiana. Quindi è indipendente dal
governo statale in carica.
[2]
Saffron, arancione, è il colore del BJP.

[3]
Come dire il distretto federale “Washington D. C.”

[4]
Il discorso non si applica ai partiti marxisti-leninisti legali, che
solitamente non si presentano alle elezioni, né men che meno al
partito maoista clandestino.

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[5]
Il Chief Minister è il primo ministro di uno stato della
Federazione Indiana.
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