Su Israele, l'Ucraina e la Verità

Da CounterPunch un’analisi spietata ed inquietante sull’eclissi delle capacità critiche della nostra civiltà.
[John Pilger]

Su Israele, l'Ucraina e la Verità
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31 Luglio 2014 - 11.35


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Un’analisi spietata ed inquietante sull’eclissi delle capacità critiche della nostra civiltà.

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di John Pilger.

Dalle questioni geopolitiche (tra cui, spesso, massacri e guerre
promosse dall’Occidente) ai fatti della nostra vita, si è realizzato nel
modo più soffice il totalitarismo orwelliano
:  dietro l’illusione
dell’“era dell’informazione” e del multiculturalismo s’impone in realtà
un’unica possibile visione del mondo, un unico schema di interpretazione
della realtà. Se pure non c’è nulla di nuovo sotto il sole, oggi
sembrano però mancare figure capaci di esprimere efficacemente
un’alternativa radicale (o sono sommerse dal frastuono).

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L’altra sera ho visto “1984” di George Orwell in un teatro di Londra.
Sebbene venisse sbandierata l’interpretazione contemporanea, il monito
di Orwell riguardo al futuro veniva presentato come un pezzo storico:
remoto, innocuo, quasi rassicurante. Era come se Snowden non avesse
rivelato niente, se il Grande Fratello non fosse ora una spia digitale,
se lo stesso Orwell non avesse mai detto: “Per essere corrotti dal
totalitarismo non occorre vivere in un paese totalitario.”

Acclamata dai critici, l’abile regia rispecchiava la cultura e la
politica del nostro tempo. Quando si accesero le luci, il pubblico stava
già uscendo. Sembravano indifferenti, o forse attratti da altre
distrazioni. “Che pippa mentale.” ha commentato una ragazza accendendo
il suo cellulare.

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Mentre le società avanzate vengono de-politicizzate, i cambiamenti
sono sia sottili che spettacolari. Nei discorsi di tutti i giorni il
linguaggio politico viene capovolto, come profetizzato in 1984
.
“Democrazia” è ora una figura retorica.

La pace è “guerra perpetua”.

“Globale” è imperiale.

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Il concetto di “riforma”, un tempo foriero di
speranze, ora significa aggressione, perfino distruzione.

“Austerità” è
l’imposizione del capitalismo estremo ai poveri e il dono del socialismo
ai ricchi: un sistema ingegnoso in cui la maggioranza paga il debito
dei pochi.

Nelle arti, l’ostilità verso la verità politica è un articolo di fede
borghese
. “Il periodo rosso di Picasso,” recita un titolo
dell’Observer, “e perché la politica non fa buona arte”. Questo in un
giornale che ha promosso il bagno di sangue in Iraq presentandolo come
una crociata liberale. L’opposizione di Picasso al fascismo durante
tutta la sua vita è una nota a margine, così come il radicalismo di
Orwell è sfumato nel premio che si è appropriato del suo nome.

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Alcuni anni fa Terry Eagleton, allora professore di letteratura
inglese all’università di Manchester, considerava che “per la prima
volta negli ultimi 200 anni non c’è un eminente poeta, drammaturgo o
romanziere britannico pronto a mettere in questione le fondamenta del
modo di vita occidentale”. Nessuna Shelley parla dei poveri, nessun
Blake di sogni utopici, nessun Byron condanna la corruzione della classe
dominante, né Thomas Carlyle o John Ruskin rivelano il disastro morale
del capitalismo. William Morris, Oscar Wilde, H.G. Wells, George Bernard
Shaw non hanno equivalenti al giorno d’oggi. Harold Pinter fu l’ultimo a
far sentire la sua voce. Tra le voci insistenti del femminismo da
consumo, nessuna fa eco a Virginia Woolf, che descrisse “l’arte di
dominare altre persone… di governare, uccidere, acquisire terre e
capitali”.

Al National Theatre, un nuovo spettacolo, “Gran Bretagna”, fa satira
sullo scandalo delle intercettazioni telefoniche che ha visto alcuni
giornalisti processati e condannati, compreso un ex redattore di News of
the World di Rupert Murdoch. Descritto come “una farsa mordente che
inchioda l’intera cultura dei media incestuosi e la ridicolizza senza
pietà”, ha come bersagli i “beatamente divertenti” personaggi della
stampa scandalistica britannica. Va benissimo. E che ne diciamo dei
media non scandalistici, che si considerano rispettabili e credibili e
invece svolgono il ruolo parallelo di braccio dello stato e del potere
aziendale
, come nella promozione di guerre illegali?

L’inchiesta Leveson sulle intercettazioni telefoniche ha fornito uno
scorcio su questo argomento tabù. Tony Blair stava fornendo prove,
lamentando a Sua Signoria le molestie dei tabloid su sua moglie, quando
venne interrotto da una voce proveniente dalla galleria pubblica. David
Lawley-Wakelin
, un regista, chiedeva che Blair fosse arrestato e
perseguito per crimini di guerra. Ci fu una lunga pausa: lo shock della
verità. Lord Leveson balzò in piedi, ordinò che colui che diceva la
verità fosse cacciato fuori e si scusò con il criminale di guerra.
Lawley-Wakelin fu perseguito; Blair rimase libero.

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I complici di lunga data di Blair sono più rispettabili di chi
intercetta le telefonate. Quando la presentatrice artistica della BBC,
Kirsty Wark, lo intervistò riguardo al decennale della sua invasione
dell’Iraq, gli regalò un momento che poteva solo sognare: gli permise di
angosciarsi della sua “difficile” decisione presa sull’Iraq, anziché
chiamarlo a rispondere del suo crimine epico.

Ciò ispirò la processione
di giornalisti della BBC, che nel 2003 dichiarò che Blair poteva
sentirsi “discolpato”, e la successiva “influente” serie della BBC, “Gli
anni di Blair”, per la quale David Aaronovitch fu scelto come
scrittore, presentatore e intervistatore. Quale valletto di Murdoch che
aveva promosso gli attacchi militari in Iraq, Libia e Siria, Aaronovitch
adulò da esperto.

Dall’invasione dell’Iraq -un esempio di atto di aggressione non
provocato, che l’accusatore di Norimberga Robert Jackson definì “il
crimine internazionale supremo, diverso da altri crimini di guerra solo
perché contiene in se stesso l’intero male dell’insieme”
– a Blair e al
suo portavoce e complice principale, Alastair Campbell, è stato concesso
ampio spazio nel Guardian per riabilitare la loro reputazione.
Descritto come una “stella” del partito laburista, Campbell ha cercato
la comprensione dei lettori per la sua depressione e mostrato i suoi
interessi, ma non il suo attuale incarico di consigliere, sotto Blair,
della tirannia militare egiziana.

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Mentre l’Iraq viene smembrato in conseguenza dell’invasione
Blair/Bush, il Guardian titola: “Rovesciare Saddam era giusto, ma ce ne
siamo andati troppo presto”. Questo era un articolo del 13 giugno
scritto da un ex funzionario di Blair, John McTernan, che aveva lavorato
anche per il dittatore Iyad Allawi, installato dalla CIA. Invocando una
seconda invasione del paese che il suo ex padrone aveva contribuito a
distruggere, non menzionava la morte di almeno 700.000 persone, la fuga
di 4 milioni di rifugiati
e i conflitti settari in una nazione un tempo
fiera della sua tolleranza comunitaria.

“Blair rappresenta la corruzione e la guerra”, ha scritto
l’articolista radicale del Guardian, Seumas Milne, in un vivace pezzo
del 3 luglio. Questo viene chiamato dagli specialisti “bilanciamento”.
Il giorno successivo, il giornale ha pubblicato un annuncio
pubblicitario a tutta pagina per un bombardiere stealth americano. Su di
un immagine minacciosa del bombardiere c’erano le parole: “L’F-35.
GRANDE per la Bretagna”. Quest’altra rappresentazione di “corruzione e
guerra” costerà ai contribuenti britannici 1,3 miliardi di sterline,
mentre i modelli suoi predecessori hanno assassinato la gente nei paesi
in via di sviluppo.

In un villaggio dell’Afghanistan, abitato dai più poveri dei poveri,
filmai Orifa, inginocchiata sulla tomba di suo marito, Gul Ahmed,
tessitore di tappeti, altri 7 membri della sua famiglia, compresi 6
bambini, e due bambini che erano stati uccisi nella casa adiacente. Una
bomba “di precisione” da 250kg era caduta direttamente sulla loro
piccola casa di fango, pietra e paglia, lasciando un cratere largo 15
metri. Lockheed Martin, ditta costruttrice dell’aereo, ha avuto l’onore
di figurare nell’annuncio del Guardian.

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L’ex segretaria di stato e aspirante presidente degli Stati Uniti,
Hillary Clinton, è comparsa di recente su “Women’s Hour” della BBC, la
quintessenza della rispettabilità dei media. La conduttrice, Jenni
Murray, ha presentato la Clinton come un’icona di successo femminile.
Non ha ricordato agli ascoltatori la bestemmia della Clinton secondo cui
l’Afghanistan era stato invaso per “liberare” le donne come Orifa. Non
ha chiesto nulla alla Clinton riguardo alla campagna di terrore della
sua amministrazione che usava droni per uccidere donne, uomini e
bambini
. Nessuna menzione della minaccia della Clinton, mentre si
proponeva come prima presidentessa donna, di “eliminare” l’Iran, e
niente riguardo al suo supporto per la sorveglianza di massa illegale e
la caccia agli informatori.

La Murray in effetti ha posto una domanda scottante: la Clinton aveva
perdonato Monica Lewinsky per aver avuto una storia con suo marito? “Il
perdono è una scelta,” ha risposto la Clinton, “per me era
assolutamente la scelta giusta.” Ciò richiamava alla mente gli anni ’90,
quelli dello “scandalo” Lewinsky. Il presidente Bill Clinton allora
stava invedendo Haiti e bombardando i Balcani, l’Africa e l’Iraq. Stava
anche distruggendo le vite di bambini iracheni: l’Unicef riportò la
morte di mezzo milione di bimbi iracheni al di sotto dei 5 anni, in
conseguenza di un embargo guidato da USA e Gran Bretagna.

I bambini per i media non erano persone, così come le vittime di
Hillary Clinton nelle invasioni che ha supportato e promosso:
Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia, per i media non sono persone. La
Murray non ha fatto nessuna menzione a loro. Sul sito della BBC compare
una foto sua e della sua distinta ospite, raggiante.

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In politica così come nel giornalismo e nelle arti, sembra che il
dissenso
un tempo tollerato nei media “mainstream” sia regredito a
dissidenza
: un metaforico sottoterra. Quando cominciai la mia carriera a
Fleet Street, negli anni ’60, era accettabile criticare il potere
occidentale come forza rapace
. Leggete i celebri resoconti di James
Cameron sull’esplosione della bomba H nell’atollo di Bikini, la guerra
barbarica in Corea e il bombardamento americano del Vietnam del Nord.

La
grandiosa illusione di oggi è di essere in un’era dell’informazione

mentre, in verità, viviamo in un’era dei media in cui l’incessante
propaganda delle multinazionali mediatiche è insidiosa, contagiosa, efficace e liberal.

Nel suo saggio del 1859, “Sulla libertà”, a cui i moderni liberali
porgono omaggio, John Stuart Mill scrisse: “Il dispotismo è una forma di
governo legittima nel trattare con i barbari, purché il fine sia il
loro miglioramento e i mezzi siano giustificati dall’effettivo ottenere
quel fine.” I “barbari” erano vaste porzioni di umanità da cui era
richiesta “obbedienza implicita”. “E’ un mito simpatico e conveniente
che i liberali siano pacifisti e i conservatori guerrafondai”, scrisse
lo storico Hywel Williams nel 2001, “ma l’imperialismo del modo di vita
liberale potrebbe essere più pericoloso per via della sua natura aperta:
la sua convinzione di rappresentare una forma di vita superiore.” Aveva
in mente un discorso di Blair in cui l’allora primo ministro prometteva
di “riordinare il mondo intorno a noi” secondo i suoi “valori morali”.

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Richard Falk, rispettata autorità in campo di diritto
internazionale e inviato speciale ONU in Palestina, una volta ha
parlato di “uno scudo legale/morale autoreferenziale e
unilaterale
, con immagini positive di valori occidentali e di
innocenza presentata in pericolo, che giustifica una campagna di
sfrenata violenza politica
.” E’ “così largamente accettata
da essere praticamente incontrastabile”.

Il mandato e l’appoggio gratificano i guardiani. Su BBC Radio 4,
Razia Iqbal ha intervistato Toni Morrison, la premio Nobel
afro-americana. La Morrison si chiedeva come mai la gente fosse “così
arrabbiata” con Barack Obama, che era “figo” e desiderava costruire “una
forte economia e sanità”. La Morrison era fiera di aver parlato al
telefono con il suo eroe, che aveva letto uno dei suoi libri e l’aveva
invitata alla sua inaugurazione.

Né lei né la sua intervistatrice hanno menzionato le 7 guerre di Obama,
compresa la sua campagna del terrore con i droni, nella quale sono state
assassinate intere famiglie, i loro soccorritori e chi li piangeva.
Quello che sembrava importare era che una uomo di colore “che parlava in
modo raffinato” fosse salito ai livelli massimi di potere. In “The
Wretched of the Earth” (Gli abietti della Terra) Frantz Fanon scrisse
che la “missione storica” dei colonizzati era di fungere da “cinghia di
trasmissione” per coloro che governavano e opprimevano. Ai nostri
giorni, l’impiego delle differenze etniche nei sistemi di potere e
propaganda occidentali è visto come essenziale. Obama ne è l’epitomo,
sebbene il gabinetto di George W. Bush -la sua banda di guerrafondai-
fosse il più multirazziale nella storia presidenziale.

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Mentre la città irachena di Mosul veniva presa dai jihadisti
dell’ISIS, Obama ha affermato “Il popolo americano ha fatto investimenti
e sacrifici enormi per dare agli iracheni l’opportunità di forgiare un
destino migliore.”  Quanto è “figa” questa bugia?  Com’era “raffinato” il
discorso di Obama all’accademia militare di West Point il 28 maggio.
Indirizzando il suo discorso sullo “stato del mondo” a quanti
“assumeranno la leadership americana” in tutto il mondo, Obama ha detto
“Gli Stati Uniti useranno la forza militare, unilateralmente se
necessario, quando lo richiedono i nostri interessi cruciali. L’opinione
internazionale ha importanza, ma l’America non chiederà mai il
permesso…”

Ripudiando il diritto internazionale e i diritti delle nazioni
indipendenti
, il presidente americano si arroga una divinità basata
sulla potenza della sua “nazione indispensabile”. E’ un messaggio
famigliare di impunità imperiale, sebbene sempre corroborante da
sentire. Evocando l’ascesa del fascismo negli anni ’30, Obama ha
affermato “Credo nell’eccezionalismo americano con ogni fibra del mio
essere”. Lo storico Norman Pollack ha scritto:

“A chi faceva il passo
dell’oca sostituiamo l’apparentemente più innocua militarizzazione della
cultura totale. E al posto del leader magniloquente abbiamo il
riformatore mancato, allegramente al lavoro, che pianifica ed esegue
assassinii mentre sorride tutto il tempo.”

A febbraio gli USA hanno montato uno dei loro colpi di stato
“colorati” contro il governo eletto dell’Ucraina
, sfruttando le genuine
proteste contro la corruzione a Kiev. La consigliera alla sicurezza
nazionale di Obama, Victoria Nuland, ha selezionato personalmente il
leader del “governo provvisorio”. Lo ha soprannominato “Yats”. Il vice
presidente Joe Biden è arrivato a Kiev, così come il direttore della CIA
John Brennan
. Le truppe d’assalto per il loro putsch erano fascisti
ucraini
.

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Per la prima volta dal 1945, un partito neonazista apertamente
antisemita controlla aree chiave del potere statale in una capitale
europea. Nessun leader occidentale ha condannato questo revival del
fascismo. […] Dal collasso dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti
hanno circondato la Russia con basi militari, bombardieri nucleari e
missili come parte del loro progetto di allargamento della NATO.
Rinnegando una promessa fatta dal presidente sovietico Mikhail Gorbaciov
nel 1990, secondo cui la NATO non si sarebbe espansa “un centimetro ad
est”, la NATO di fatto ha occupato militarmente l’Europa orientale.
Nell’ex Caucaso sovietico, l’espansione della NATO è il più grande
accumulo militare dalla seconda guerra mondiale.

Un piano di azione per l’adesione alla NATO è il dono di Washington
al regime di Kiev
. Ad agosto l’operazione “Tridente rapido” metterà
truppe americane e britanniche sul confine russo dell’Ucraina, e “Brezza
di mare” invierà navi da guerra statunitensi a distanza di avvistamento
dai porti russi. Immaginate la reazione se questi atti di provocazione,
o intimidazione, venissero compiuti ai confini americani
.

Nel reclamare la Crimea -che Nikita Krusciov staccò illegalmente dalla
Russia nel 1954- i russi si sono difesi come hanno fatto per quasi un
secolo. Più del 90% della popolazione di Crimea ha votato per restituire
il territorio alla Russia. La Crimea è sede della flotta del Mar Nero, e
la sua perdita sarebbe una questione di vita o di morte per la marina
russa, e un bottino per la NATO. Confondendo i partiti guerrafondai a
Washington e Kiev, Vladimir Putin ha ritirato le truppe dal confine
ucraino ed esortato i russi etnici in Ucraina orientale ad abbandonare
il separatismo. In modo orwelliano, in Occidente ciò è stato invertito nella “minaccia
russa”
. Hillary Clinton ha paragonato Putin a Hitler. Senza ironia,
commentatori della destra tedesca hanno fatto altrettanto. Nei media, i
neonazisti ucraini vengono definiti eufemisticamente “nazionalisti” o
“ultra-nazionalisti”
. Quello che temono è che Putin stia abilmente
cercando una soluzione diplomatica, e potrebbe avere successo. Il 27 di
giugno, per reagire all’ultimo atto accomodante di Putin – la sua
richiesta al parlamento russo di abrogare la legislazione che gli dava
il potere di intervenire a nome dei russi residenti in Ucraina – il
Segretario di Stato John Kerry ha mandato un altro dei suoi ultimatum.
La Russia doveva “agire entro le prossime ore, letteralmente” per far
terminare la rivolta nell’est dell’Ucraina. Nonostante Kerry sia
ampiamente riconosciuto come un pagliaccio, il vero scopo di questi
“avvertimenti” è di attribuire alla Russia lo stato di paria e di
sopprimere le notizie sulla guerra del regime di Kiev al proprio popolo
.

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Un terzo della popolazione dell’Ucraina è russofona e bilingue. Da
tempo desiderano una federazione democratica che rifletta la diversità
etnica ucraina e sia autonoma e indipendente da Mosca. La maggior parte
non è né “separatista” né “ribelle”, ma composta da cittadini che
vogliono vivere in sicurezza nella loro patria. Il separatismo è una
reazione agli attacchi della giunta di Kiev contro di loro, che hanno
causato la fuga di 110.000 (stima ONU) rifugiati verso la Russia.
Generalmente, donne e bambini traumatizzati.

Come i bambini iracheni vittime dell’embargo, e le donne e ragazze
“liberate” dell’Afghanistan, terrorizzate dai signori della guerra della
CIA, queste popolazioni dell’Ucraina per i media occidentali non sono
persone
; la loro sofferenza e le atrocità commesse contro di loro
vengono minimizzate o taciute
.

I media mainstream occidentali non fanno
percepire la dimensione dell’assalto del regime. Ciò non è senza
precedenti. Leggendo di nuovo il capolavoro di Phillip Knightley, “La
prima vittima: il corrispondente di guerra come eroe, propagandista e
creatore di miti”, ho rinnovato la mia ammirazione per Morgan Philips
Price del Manchester Guardian, l’unico reporter occidentale a restare in
Russia durante la rivoluzione del 1917 e a riportare la verità di una
disastrosa invasione degli alleati occidentali. Imparziale e coraggioso,
Philips Price da solo disturbò quello che Knightley chiama un “oscuro
silenzio” anti-russo in Occidente
.

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Il 2 maggio, a Odessa, 41 russi etnici furono bruciati vivi nella sede dei sindacati, mentre la polizia stava a guardare. Ci sono prove
video orripilanti. Il leader di Settore Destro Dmytro Yarosh salutò il
massacro come “un altro giorno luminoso nella nostra storia nazionale”
.
Nei media americani e britannici, ciò venne riportato come una “tragedia
opaca”, conseguenza di “scontri” tra “nazionalisti” (neonazisti) e
“separatisti” (le persone che raccoglievano le firme per il referendum
sull’Ucraina federale). Il New York Times lo seppellì, avendo liquidato
come propaganda russa gli avvertimenti sulle politiche fasciste e
antisemite dei nuovi agenti di Washington. Il Wall Street Journal
condannò le vittime -”Mortale incendio ucraino probabilmente innescato
dai ribelli, dice il governo”. Obama si congratulò con la giunta per la
sua “moderazione”.

Il 28 giugno, il Guardian dedicò quasi una pagina alle dichiarazioni del
“presidente” del regime di Kiev, l’oligarca Petro Poroshenko. Di nuovo
venne applicata la regola dell’inversione orwelliana. Non c’era alcun
colpo di stato; nessuna guerra contro la minoranza ucraina; la colpa di
tutto era dei russi. “Vogliamo modernizzare il mio paese” disse
Poroshenko. “Vogliamo introdurre libertà, democrazia e valori europei. A
qualcuno questo non piace. A qualcuno non piaciamo per questo.”

Secondo questo resoconto, il reporter del Guardian, Luke Harding, non
mise in questione tali affermazioni né menzionò l’atrocità di Odessa,
gli attacchi aerei e di artiglieria del regime sulle aree residenziali,
l’uccisione e il rapimento di giornalisti, l’incendio di un giornale di
opposizione e la sua minaccia di “liberare l’Ucraina dalla feccia e dai
parassiti”.

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Il nemico sono i “ribelli”, i “militanti”, gli “insorti”, i
“terroristi” e gli agenti del Cremlino.

Ripensate ai fantasmi del
Vietnam, del Cile, di Timor Est, dell’Africa meridionale, dell’Iraq;
notate le stesse etichette. La Palestina è la calamita di questo
immutevole inganno. L’11 luglio, in seguito all’ultimo massacro
israeliano a Gaza -80 persone, compresi 6 bambini in una famiglia-,
equipaggiato dagli americani, un generale israeliano scrive sul
Guardian
, titolando: “Una necessaria dimostrazione di forza”.

Negli anni ’70 incontrai Leni Riefenstahl, e le chiesi dei film che glorificavano il nazismo.

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Usando in modo rivoluzionario la telecamera e le tecniche di
illuminazione, Leni aveva prodotto una forma di documentario che aveva
ipnotizzato i tedeschi. È stato il suo “Trionfo della Volontà” che ha
presumibilmente dato il lancio al maleficio di Hitler. Le ho domandato
della propaganda nelle società che si ritengono superiori. Lei replicò
che i “messaggi” nei suoi film non dipendevano da “ordini dall’alto”, ma
dal “vuoto sottomesso” della popolazione tedesca. “Ciò includeva anche
la borghesia liberale ed istruita?” le chiesi. “Chiunque,” rispose, “e,
naturalmente, anche gli intellettuali.”

John Pilger è autore di Freedom Next Time. Tutti i suoi documentari possono essere visti

gratuitamente sul suo sito web johnpilger.com

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Fonte originale: http://www.counterpunch.org/2014/07/11/on-israel-ukraine-and-truth/.

Tratto da: http://www.controinformazione.info/su-israele-lucraina-e-la-verita-di-john-pilger/

Traduzione: Anacronista, con piccole correzioni della redazione di Megachip.

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