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Come ti condiziono la stampa: la denuncia che scuote l'America

Ci sono metodi usati per vincere le guerre invisibili. E che pochi giornalisti capiscono e ancor meno denunciano. [Marcello Foa]

Come ti condiziono la stampa: la denuncia che scuote l'America
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16 Novembre 2014 - 21.43


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di Marcello Foa.

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C’era una volta la stampa americana. E in parte esiste ancora, ma
soprattutto nei film di Hollywood che continuano ad esaltare il coraggio
delle grandi testate o di singoli giornalisti con toni romantici e a
volte epici. Che fanno cassetta, ma non rispecchiano la realtà. Dai
tempi del Watergate i media americani hanno visto erodere buona parte
della propria credibilità, sotto i colpi di una serie di inefficienze e
talvolta di scandali. Dai giornalisti pluripremiati che inventavano
storie di sana pianta, all’incapacità cronica e talvolta compiacente di
contrastare le tecniche degli spin doctor per orientare i media,
l’elenco è lungo e tutt’altro che lusinghiero.

Ora Sheryl Attkisson, grande della star Cbs, lancia un j’accuse pesante nel suo ultimo libro “Stonewall“.
In parte non sorprendente: che la maggior parte dei giornalisti
americani siano liberal ovvero di sinistra e che riservino a Obama un
atteggiamento privilegiato, fazioso quasi fino al servilismo, era già
stato denunciato da alcuni studiosi.

Dove invece la Attkisson squarcia davvero un velo è sulla parte
invisibile della gestione dei grandi media americani, sulle connessioni
invisibili con l’establishment. Secondo la Attkisson, la decisioni su
cosa pubblicare e cosa no, vengono prese da una ristretta cerchia di
dirigenti di New York, legati all’establishment che ragiona e decide
secondo criteri imperscrutabili e prevaricatori. «Ci chiedono di creare una realtà che coincida con quello che fa comodo credere a loro», denuncia la star della Cbs. E chi non si adegua, chi si ostina a
fare il proprio lavoro di inchiesta liberamente, intepretando il ruolo
di cane da guardia, viene emarginato, intimidito, escluso.

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E’ quel che è successo alla Attkisson non appena ha toccato temi
sgraditi alla Casa Bianca. Messa subito all’indice, con corollari
inaccettabili in democrazia , come il sistematico e impunito hackeraggio
del suo computer da parte dei servizi segreti. Roba da Unione
Sovietica, non da libera America.

Il quadro che emerge è quella di un mondo mediatico che tende ad
assecondare le volontà dell’establishment anziché monitorarlo e
sfidarlo. Il potere delle lobby è quasi assoluto eppure quasi mai
descritto e men che meno denunciato dalla stampa. Le reti che contano a
Washington non sono mai rivelate, certi temi scomodi e davvero
importanti per la società Usa al più sfiorati, la ricostruzione dei
grandi fatti della politica internazionale sempre monocromatica e
conformista. Le penne che non si adeguano vivono sul web ma non trovano
spazio in tv o sulle grandi testate. La Attkisson non è sola. Il più
grande giornalista d’inchiesta, Seymour Hersh, da tempo, non a caso, è
fuori dal giro dei giornaloni. Opinionisti di calibro ma fuori dagli
schemi come Paul Craig Roberts, ex assistente di Reagan, vengono
marginalizzati.

L’impressione è che i mali della stampa si inseriscano in un contesto
più ampio, nel quale la comunicazione è usata sempre più a fini
strategici, con modalità opache. Oggi sappiamo che le rivoluzioni
democratiche in Egitto, Tunisia e Libia sono state in realtà
generosamente ispirate da Washington, così come la rivolta di Piazza
Maidan a Kiev, dove, pur di sottrarre l’Ucraina all’influenza russa,
l’Occidente ha sdoganato gruppi paramilitari neonazisti. Cinismo della
politica internazionale, certo; ma oggi le guerre si combattono non
solo con le armi, anche, talvolta soprattutto, usando tecniche
asimmetriche come l’influenza mediatica.

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Singolari, ad esempio, sono gli scoop del Consorzio internazionale del giornalismo,
che l’anno scorso ha attaccato le piazze offshore e la scorsa settimana
ha svelato le pratiche fiscali in Lussemburgo, in entrambi i casi
avendo accesso a una mole impressionante di documenti riservatissimi, di
cui il Consorzio, ovviamente, non rivela la fonte. Chi può aver violato
così massicciamente la riservatezza di grandi gruppi o di archivi di
Stato? Non certo un manipolo di volenterosi cronisti… Qualcuno
ovviamente li ha imbeccati fornendo file solitamente inaccessibili.
Sottratti da chi? A quali fini? E perché ora?

Queste sono le domande
che la stampa libera dovrebbe porsi, ma che in realtà non formula mai.

Semmai fa da cassa di risonanza, con effetti pervasivi, sovente
devastanti e la Svizzera lo sa bene. La pressione mediatica è stata
decisiva per indurre Berna alla resa sul segreto bancario, benché le
premesse giuridiche fossero infondate, come è stato dimostrato dall’assoluzione del banchiere Weil.

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Ma questi sono i metodi che vengono usati per vincere le guerre
invisibili. E che pochi giornalisti capiscono e ancor meno denunciano.

Fonte: http://blog.ilgiornale.it/foa/2014/11/16/come-ti-condiziono-la-stampa-la-denuncia-che-scuote-lamerica.



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