Social ergo sum

Come le reti rivoluzionano il pensiero scientifico (e forse quello umano). [John Edward Terrell, Termeh Shafie e Mark Golitko]

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3 Gennaio 2015 - 10.29


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di John Edward Terrell, Termeh Shafie e Mark Golitko *

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Scienza e senso comune hanno origine entrambi dall”esperienza umana. Eppure questi modi di pensare le cose entrano spesso in conflitto. A volte, la semplicità della maggior parte delle spiegazioni di senso comune può rendere difficile convincere la gente con la complessità e le incertezze della maggior parte delle argomentazioni scientifiche.

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Prendiamo il caso da manuale del matematico e astronomo Niccolò Copernico (1473-1543). Per secoli, prevedere con precisione dove si sarebbero trovati i pianeti in una data notte è stato tutt”altro che semplice. L”ironia è che i calcoli necessari erano così impegnativi perché tutti accettavano come vangelo l”idea sbagliata, ma di senso comune, che la Terra fosse immobile al centro dell”universo e che il Sole, la Luna e i pianeti si muovessero intorno a noi.

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Allo stesso modo, la rivoluzione darwiniana del XIX secolo mise in discussione non solo la convinzione che viviamo al centro delle cose, ma anche che siamo i protagonisti della storia della vita sulla Terra. Ancora oggi molti non accettano l”intuizione di Darwin che tutta la vita sul nostro pianeta si è evoluta attraverso la selezione naturale.

A confronto con le rivoluzioni cognitive innescate da Copernico e Darwin, le odierne preoccupazioni su questioni come la neutralità della rete o la privacy su Facebook possono sembrare irrilevantii. Eppure entrambe sono il segno che è in corso un”altra rivoluzione cognitiva.

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In contrasto con quanto sostenuto dall”Illuminismo in poi, cioè che saremmo creature intrinsecamente egocentriche, la ricerca contemporanea in sociologia, psicologia, neuroscienze e antropologia sta dimostrando che il nostro mondo non gira intorno a noi in quanto individui. Piuttosto, ciò che noi siamo come individui dipende in modo cruciale da come siamo legati agli altri, socialmente ed emotivamente, in reti di relazioni che si estendono in lungo e in largo.

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Perché? Come specie ci siamo evoluti per essere creature tipicamente sociali. Sono state proposte molte spiegazioni plausibili del perché siamo così, ma la linea di fondo è chiara. Come hanno osservato gli psicologi Lane Beckes e Jim Coan, essere un animale sociale ci dà vantaggi reali nella lotta per l”esistenza: ci offre una base di riferimento sociale che dà sostegno emotivo e sicurezza. Al punto tale che le nostre connessioni umane con gli altri sono in effetti un”estensione del modo in cui il nostro cervello interagisce con il mondo, e molto più di quanto realizzi la maggior parte di noi.

Scienza e filosofia oggi stanno cogliendo alcune delle implicazioni più ampie di questa visione della vita. Per esempio, l”antropologo Fredrik Barth ha osservato che praticamente tutti i ragionamenti delle scienze sociali si basano sull”idea che sulla Terra ci siano gruppi distinti di persone che possono essere variamente etichettati come popoli, etnie, società, culture, o razze.

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Questa concezione delle diversità umane propria del senso comune – spesso chiamata pensiero tipologico o categoriale – considera ovvio che le cose siano naturalmente suddivise in vari tipi, che possono essere etichettati come tali. Da questo punto di vista, le parole che usiamo per descrivere le cose sono come contenitori vuoti in cui possiamo mettere le cose una volta che abbiamo colto il “significato” essenziale di questi contenitori verbali.

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L”adozione di una prospettiva reticolare, però, cambia il modo in cui vediamo il mondo e il nostro posto in esso. Prendete la controversa questione della razza. Dal punto di vista del senso comune, sembra ovvio che i diversi tipi di persone vivano in diverse parti del globo. Chi potrebbe confondere persone che provengono dall”Africa, dall”Asia o dall”Irlanda? Dalla prospettiva delle reti, tuttavia, è facile vedere sulla Terra ognuno è collegato con tutti gli altri, tanto che fra due persone qualsiasi ci sono solo “sei gradi di separazione”.

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Oppure, prendiamo il fatto che alcuni di noi sono più grassi di altri. La spiegazione di senso comune è che alcuni mangiano troppo. Ma perché? Nel quadro del Framingham Heart Study, Nicholas Christakis e James Fowler hanno capito, usando l”approccio delle reti, che in un social network di oltre 12.000 persone l”aumento di peso individuale era associato a un aumento di peso di coniugi, amici, fratelli e vicini anche oltre il livello di contatto sociale diretto: insomma, persone mai incontrate direttamente possono influenzare la capacità di mantenere il peso desiderato.

Consideriamo infine la diffusione delle idee attraverso le reti sociali. Il buon senso ci dice che le persone con forti legami con gli altri dovrebbero essere le più influenti quando, per esempio, si sta lanciando un nuovo prodotto o si sta cercando di convincere gli altri ad accettare una nuova idea. La ricerca sulle reti, tuttavia, ha dimostrato che in realtà a essere nella posizione migliore per diffondere il messaggio sono coloro che hanno legami più deboli con quanti sono al di fuori della loro cerchia sociale più stretta.

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L”impatto delle reti sociali sulla nostra vita può essere notevole. Per esempio, i gruppi compatti con pochi legami al di là della cerchia di amici, parenti o colleghi possono diventare terreno di coltura di di idee e pratiche insolite, e talvolta pericolose, come i suicidi contagiosi segnalati tra gli adolescenti in luoghi culturalmente e geograficamente disparati come le aree urbane del Nord America e la Micronesia.

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Questo cambiamento nel modo di pensare non si sta verificando solo nelle scienze sociali. Le reti possono avere un impatto importante anche nelle scienze biologiche e fisiche. Prendiamo l”unità fondamentale del nostro essere biologico, il gene. Fa ormai parte del senso comune pensare che i geni codifichino tutto, dal colore di capelli alla propensione a portare piccoli elastici ai polsi. Tuttavia, i biologi evoluzionisti stanno ora creando modelli di serie di reti con complesse relazioni a più livelli, che vanno da singole “lettere” del genoma a reti di rapporti fra proteine e geni, fino a reti di interazione tra organismi, dimostrando in tal modo che i geni rappresentano i nostri destini solo nella misura in cui si collegano tra loro e al mondo circostante, sia sociale che naturale.

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Il pensiero a reti ci permette di comprendere scientificamente il mondo che ci circonda e di inquadrarlo come una delle connessioni che plasma i fenomeni osservati, e non come il luogo in cui le proprietà intrinseche di persone, geni, o particelle determinano i risultati.

Al pari di precedenti rivoluzioni scientifiche, la rivoluzione della rete promette anche di rimodellare le aspettative fondamentali del senso comune sul mondo che ci circonda, permettendoci di riconoscere che non siamo la creatura fondamentalmente individualista, asociale e litigiosa vincolata a tipologie linguistiche, etniche, razziali o religiose, ma una specie sociale in cui uno è connesso all”altro da profondi legami di rete.

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(3 gennaio 2015)

* John Edward Terrell è curatore della sezione di antropologia del Pacifico al Field Museum di Chicago. Termeh Shafie è ricercatore al Dipartimento di informatica e scienze dell”informazione all”Università di Costanza, in Germania. Mark Golitko lavora al Field Museum di Chicago.

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La versione originale di questo articolo è stata pubblicata il 12 dicembre 2014 su [url”scientificamerican.com”]scientificamerican.com[/url]. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.

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