‘di Pier Francesco De Iulio
L”editoriale di Stefano Feltri “[url”Il conto salato degli studi umanistici”]http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/13/il-conto-salato-degli-studi-umanistici/1954676/[/url]“, uscito l”altro ieri [ndr, 12 agosto 2015] su Il Fatto Quotidiano (e modificato in parte ieri) è a dir poco delirante.
Feltri si rammarica che “purtroppo” migliaia di studenti anche quest”anno in autunno si iscriveranno alle Facoltà di Lettere, Scienze politiche, Filosofia, Storia dell’arte. Ma non lo sapete – ci ricorda il vicedirettore – che danno meno prospettive di lavoro? Che cazzo vi iscrivete a fare allora a quelle Facoltà ?
E aggiunge la postilla: “Cioè fare studi umanistici non conviene, è un lusso che dovrebbe concedersi soltanto chi se lo può permettere”. Alla faccia della lotta di classe!
Quindi, un paese come l”Italia che – ci dicono i dati tanto cari a Stefano Feltri – si presume possegga il 70% del patrimonio storico-artistico del pianeta, non ha bisogno di laureati in lettere e filosofia e di storici dell”arte ma di altri fisici, statistici, medici, ingegneri, economisti. Magari da esportare all”estero il più presto possibile, infatti dalle nostre parti sembra che la “ripresa” tardi ad arrivare.
D”altronde se in Italia si pensa di restaurare il Colosseo con l”idea di farci uno “spazio eventi” (per spettacoli da trasmettere rigorosamente in tv via satellite) con tanto di bookshop (Ah!, i libri i libri…), caffetteria e magari in futuro anche un bel ristorante Eataly, di cosa meravigliarsi (o indignarsi) ancora?
E buoni diritti televisivi a tutti!
(14 agosto 2015) Aggiornamento del 14.08.2015 | Ore: 21.30Stefano Feltri è [url”tornato sulla questione”]http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/14/universita-studiate-quello-che-vi-pare-ma-poi-sono-fatti-vostri/1959668/[/url] degli studi umanistici universitari, da lui sollevata qualche giorno fa. L”occasione mi permette di fare alcune precisazioni e sottolineature a quanto da me precedentemente scritto.
Un lettore mi ha fatto notare che l”Italia non possiede il 70% del patrimonio storico-artistico mondiale e che il dato è fasullo. Sono andato a verificare. È un dato Eurispes (Istituto di ricerca e studi sociali nazionale) da più parti contestato, che a sua volta prende a riferimento valutazioni, anche queste ritenute da alcuni osservatori opinabili, fornite niente meno dall”Unesco (quindi non proprio dal bar dello sport sotto casa). Una stima a quanto pare più attendibile, partendo dagli stessi dati di riferimento, sembrerebbe attestare la percentuale del patrimonio sul suolo nazionale a un più contenuto 5-10% (per quanto sia il risultato di un conteggio meramente aritmetico dei siti d”interesse artistico e culturale riconosciuti nel mondo diviso per la sua totalità , senza tener in gran conto la “qualità ” e l”effettivo “peso specifico” storico di ognuno). Sia pure. Sicuramente la percentuale va ridimensionata. Non penso comunque cambi di molto, a dir la verità assai poco, la sostanza del mio discorso.
A riprova di ciò, nella sua replica di poche ore fa, Stefano Feltri esce ulteriormente allo scoperto e ci informa finalmente, con grande chiarezza, sul vero obiettivo della sua reprimenda:
“Dal lato delle scelte collettive, cioè le politiche pubbliche, dovremmo tutti chiederci se ha senso sussidiare pesantemente università che producono disoccupati e formano persone che nessuno sente il bisogno di assumere o retribuire adeguatamente. Tradotto: meglio avere molte facoltà di filosofia e scienze della comunicazione o chiuderne qualcuna e magari dare più incentivi alla ricerca in campo chimico o elettronico?”
e aggiunge:
“Ma quello che forma l’individuo non necessariamente è utile anche a formare un lavoratore. E’ un diritto – costoso, per la collettività – poter studiare quello che ci piace. Ma nessuno ha il dovere di pagarci per il resto della vita uno stipendio se quello che piace a noi a lui non interessa.”
Dunque il nocciolo della questione è un altro. È la demarcazione tra individuo e lavoratore. È l”antica disputa tra capitale e lavoro. È la prevalenza del privato (quel “nessuno” che dovrebbe pagarci a vita uno stipendio) sul pubblico (le “costose” e “inutili” Facoltà di studi umanistici delle Università , coi suoi indesiderati “intellettuali bohemien”). Dunque, meglio chiudere le Facoltà di Lettere e Filosofia per dare incentivi (denaro pubblico) alla ricerca in campo chimico o elettronico (forse quella stessa “ricerca” che fa comodo alle lobby delle case farmaceutiche e delle grandi multinazionali?).
Queste considerazioni mi permettono anche di rispondere ulteriormente al medesimo lettore che mi contestava la percentuale di patrimonio storico-artistico presente nei nostri confini nazionali e che mi poneva l”ulteriore quesito: “E, soprattutto, servono laureati in lettere e filosofia per farlo fruttare economicamente?”
Ecco, io non penso si debba partire dal far “fruttare economicamente” il patrimonio artistico e culturale del nostro paese. È importante, importantissimo che ci si attivi anche per questo scopo (e che si attivi soprattutto il “pubblico” invece che il “privato”) ma sempre in modo sussidiario alla sua tutela e alla sua valorizzazione, a beneficio di tutti i cittadini. In questo senso, penso che personale qualificato, con un curriculum di studi umanistico, possa avere maggiori strumenti e competenze per agire nell”interesse comune.
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