L'autunno del patriarca

Un reportage di Raúl Zibechi racconta l’attesa dello spoglio del referendum boliviano sulla modifica costituzionale che potrebbe garantire al presidente e al vicepresidente l’ennesima candidatura. [Comune-info]

L'autunno del patriarca
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23 Febbraio 2016 - 19.05


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di Raùl Zibechi

“Qui la gente non ha paura”, il tassista mentre si fa largo, con una lentezza davvero troppo esasperante, per le vie impossibili di El Alto, in direzione del centro di La Paz. “Non hanno paura”, ripete stringendosi le spalle. È quasi un mantra con il quale sembra voglia spiegare tutto, dal caos del traffico all’incredibile forza interiore delle donne – onnipresenti nella città aymara – che lavorano come formiche, caricando sacchi come portando il fardello della vita.

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La città appare cambiata, soprattutto per l’asfalto impeccabile delle sue strade e per gli edifici di quattro e cinque piani, i cholet, uno stile architettonico meticcio nato a El Alto per mano di un’agiata borghesia commerciale aymara. Nessuno sembra allarmarsi troppo per l’episodio poco chiaro dell’occupazione e dell’incendio del municipio alteño di cui sono stati protagonisti alcuni padri di famiglia. La vicenda si è poi conclusa con sei morti, nello stesso momento in cui il tassista ripeteva il suo mantra.

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Soledad Chapetón, la donna che ha vinto le elezioni municipali diventando sindaco con il 55 per cento dei voti in un bastione governativo, accusa degli ex consiglieri comunali del Mas per l’assalto e l’incendio del municipio. Il governo nazionale (guidato dal Mas, ndt), da parte sua, assicura che si è trattato di un “auto-attentato” del governo municipale allineato con l’opposizione. I fatti di El Alto assumono una speciale rilevanza nella retta finale della campagna elettorale per il referendum di domenica 21 febbraio, nel quale i boliviani decidono se si riforma la Costituzione on modo da permettere una seconda rielezione di Evo Morales.

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Il viale principale di La Paz, al centro della parte bassa, mezzo chilometro in basso rispetto a El Alto, è da diversi giorni interrotto a causa delle manifestazioni. Donne meticce allineate, con le sottane e i cappelli, rimangono serenamente sedute a bloccare le strade, mentre i maschi sparano mortaretti. La maggior parte di loro appartengono ad associazioni di pensionati, ma dietro spuntano i minatori, i lavoratori petroliferi e di diversi settori che approfittano della congiuntura elettorale per strappare una rivendicazione in più al governo.

“Protestiamo per la seconda gratifica”, spiega una donna quando le si domanda il motivo della protesta. La settimana prima del referendum si è avuta una moltiplicazione delle manifestazioni popolari, con una confluenza spontanea dei più diversi settori che credono che questo sia il momento opportuno per esigere qualcosa.

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Risultati incerti

“Lei è d’accordo con la riforma dell’articolo 168 della Costituzione Politica dello Stato perché la presidente o il presidente e la vicepresidente o il vicepresidente dello Stato possano essere rielette o rieletti per due volte di seguito?”. Questa è la domanda a cui dovranno rispondere sei milioni di boliviani.

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L’iniziativa è partita dalla presidenza e molti credono di poterla ascrivere alla mano del vicepresidente Álvaro García Linera, eminenza grigia del primo mandatario. Morales è arrivato alla presidenza nel 2006 con il 54 per cento dei voti. È stato poi rieletto nel 2010 con uno schiacciante 64 per cento e nel 2015 con il 61 per cento ha ottenuto un terzo mandato che si concluderà nel 2020. Ora combatte per potersi presentare nuovamente, un fatto che porterebbe a esercitare il potere fino al 2025, cioè per 20 anni consecutivi.

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La domanda che si fanno molti boliviani è: perché si promuove un referendum con tanto anticipo giacché le elezioni nazionali ci saranno tra quattro anni? Quel che è certo è che il referendum ha spaccato il paese in due. Con il Sì si sono allineati il MAS e i movimenti sociali che appoggiano il governo, tra i quali la Confederazione Sindacale Unica dei Lavoratori Contadini della Bolivia (CSUTCB), la più importante organizzazione sociale del paese. Ma ci sono anche alcune figure locali di rilievo, come gli ex calciatori Marco Etcheverry ed Erwin Sánchez.

Il No alla rielezione è molto più eterogeneo. Tra le sue file spiccano l’ex presidente Carlos Mesa, il governatore di Santa Cruz, Rubén Costas, ambedue della destra, ma ci sono anche il governatore di La Paz, Félix Patzi, e l’ex ministra della difesa Cecilia Chacón, che possono essere considerati di sinistra.

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I sondaggi sono una lotteria. Quelli diffusi a febbraio, scommettono sul pareggio, intorno al 40 per cento per ciascuna opzione, assegnando agli indecisi il ruolo di decidere la competizione. Alla chiusura della campagna governativa, mercoledì 17, migliaia di persone hanno acclamato Morales nel viale Costanera nella zona Sud della capitale.

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“Ci siamo liberati e abbiamo sostenuto dalla parte dei movimenti sociali uno strumento politico di liberazione. In dieci anni abbiamo cambiato l’immagine della Bolivia”, ha detto Morales, che ha evidenziato come la sua candidatura per una nuova elezione sia dovuta alla “richiesta dei movimenti sociali e del popolo che si organizza”.

Nello stesso momento, alcuni studenti dell’Università Pubblica di El Alto (UPEA) protestavano vicino alla piazza Murillo, alludendo all’ultimo scandalo che unisce Morales all’imprenditrice Gabriela Zapata Montaño, la quale avrebbe beneficiato della sua relazione privilegiata con il presidente. “Evo e Zapata restituiscano il denaro”, gridavano in coro gli studenti che insieme alle organizzazioni dei pensionati avevano paralizzato il centro della città.

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Secondo la stampa dell’opposizione, le persone che partecipavano alle manifestazioni governative sono funzionari che devono esser lì per forza. Appena concluso il discorso del presidente, “funzionari pubblici e membri delle organizzazioni sociali si affannano ad apporre il proprio nome e la firma nelle liste di presenza alla cerimonia di chiusura della campagna elettorale del Sì che il MAS ha organizzato nella città di La Paz” (Página Siete, 18 febbraio 2016).

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Una delle mobilitazioni più frequentate è stata quella realizzata nella notte di mercoledì 17 nella centrale piazza San Francisco da parte dei sostenitori del No. Hanno partecipato importanti organizzazioni sociali (come la CONAMAQ) che prima erano a favore del governo e che poi, nel 2011, gli hanno voltato le spalle, quando il corteo per la difesa di un territorio indigeno e di un parco naturale che doveva essere attraversato da una strada di grande scorrimento, è stato represso dalle autorità. “È stata la manifestazione più numerosa e combattiva realizzata in dieci anni a La Paz dall’opposizione boliviana” (Agencia Fides, 18 febbraio 2016).

Un colpo devastante

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Una settimana prima del referendum sono esplose due bombe mediatiche che hanno danneggiato la credibilità del governo. Quella di minor potenza riguarda il vicepresidente, sul cui libretto militare è scritto “laureato in Matematica”, mentre García Linera non ha mai terminato gli studi. Anche nei suoi numerosi libri il vicepresidente risulta laureato. Nel risvolto di copertina di “Sociologia dei movimenti sociali in Bolivia”, si dice che è matematico e sociologo, la stessa affermazione viene usata in altre pubblicazioni.

Sabato 13 il vicepresidente si è presentato ai media e, con la superbia che gli ha procurato tante antipatie, ha detto: “Álvaro García Linera ha studiato matematica in Messico, non ha potuto conludere il corso di laurea perché è venuto in Bolivia a organizzare una guerriglia per lottare contro i neoliberisti. L’ho già detto due anni fa, e molto tempo prima”.

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L’agenzia Fides ha informato che una biografia pubblicata nella pagina web della Vicepresidenza era stata ritirata. Vi si segnalava che García Linera “ha ottenuto la laurea e il master” nella UNAM del Messico. Adesso c’è un altro testo, che segnala solo che “ha studiato matematica” (Pagina Siete, 15 febbraio 2015).

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Il petardo più grosso è scoppiato però sul naso di Morales. Il giornalista Carlos Valverde ha denunciato che Morales ha usato la sua influenza per favorire l’imprenditrice Gabriela Zapata Montaño, che rappresentava un’impresa cinese in Bolivia. Il presidente, sebbene non abbia fornito dettagli, ha riconosciuto di aver avuto una relazione con la giovane imprenditrice e che nel 2007 i due hanno avuto un figlio che è morto, ma ha negato che l’impresa fosse stata favorita dalla relazione sentimentale.

Secondo la denuncia, Morales aveva conosciuto la Zapata nel 2005, quando lei aveva 19 anni e il presidente 45. La giovane compariva con frequenza assidua nelle pagine sociali della città di Santa Cruz, lavorava per l’impresa China CAMC Engineering, che ha tutt’ora contratti milionari con lo Stato. L’accusa sostiene che il governo l’ha favorita per la sottocrizione di contratti che superano i 500 milioni di dollari. È stato il primo colpo diretto al mento di Evo, che potrebbe aver danneggiato tanto la sua credibilità come i risultati del referendum di domenica.

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Il governo ha reagito con forza, segnalando che il giornalista autore della denuncia è stato a capo dello spionaggio boliviano tra il 1989 e il 1993, in pieno periodo neoliberista, e che attualmente conserva strette relazioni con l’ambasciata degli Stati Uniti. Secondo l’argomentazione del governo, Washington sta cercando di frenare l’avanzata cinese nella regione sudamericana, cosa che spiegherebbe il fatto che i contratti con l’impresa che la Zapata rappresenta siano finiti al centro dello scandalo.

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Entrambe le cose potrebbero essere accertate. Che il giornalista lavori in funzione degli interessi statunitensi e che l’impresa cinese sia stata favorita dalla speciale relazione tra il presidente e l’imprenditrice.

Al centro l’estrattivismo

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Lontano dal rumore mediatico, la discussione più di fondo colloca al centro la critica al modello produttivo spinto dal Mas, un modello centrato sullo sfruttamento e l’esportazione di idrocarburi, su imprese minerarie e monocolture di soia. Insomma, lo stesso modello che ha caratterizzato il paese lungo tutta la sua storia, dalla colonizzazione spagnola in poi.

Le critiche si devono alla continuità del modello sotto i governi del Mas, che avevano promesso di superarlo promuovendo un “salto industriale”, che non solo non si è prodotto ma ha ceduto il posto a un approfondimento dell’estrattivismo. Il vicepresidente parla ora di un “estrattivismo temporaneo”, che permetterebbe l’accumulazione di risorse per poi investire nell’industrializzazione. Al di là di una ripresa dell’industria tessile in mano a piccoli e medi produttori, però, i cambiamenti non arrivano.

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Il ricercatore Pablo Villegas del Centro di Documentazione e Informazione Bolivia (CEDIB), sostiene che la caduta dei prezzi delle commodities nel mondo sta provocando nel paese un’acuta crisi. “Questa crisi ha due aspetti”, ha detto a Brecha. “Da un lato abbiamo un crescente indebitamento estero e un importante aumento delle tasse, dall’altro un’incapacità istituzionale di affrontare la crisi. In questo modo, avremo un governo con risorse in un paese senza risorse e con una popolazione strangolata dalle tasse elevate”.

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Alcuni mesi fa il CEDIB, la cui sede è a Cochabamba, è stata una delle ONG minacciate di espulsione dal governo a causa delle continue critiche alle autorità politiche. I governi del Venezuela, dell’Ecuador e della Bolivia si sono caratterizzati per la non accettazione delle critiche da sinistra. Villegas non è ottimista sull’immediato futuro. Sospetta che, aggravandosi la crisi, il governo possa optare per una soluzione repressiva contro i movimenti sociali e le inevitabili mobilitazioni di strada che fanno parte della cultura politica del popolo boliviano.

“Il solo progetto è mantenersi al potere”, sostiene Villegas riguardo al MAS e a Evo Morales. “L’alternativa è recuperare la democrazia”, giacché pensa che una caratteristica comune dei progressismi sia “la corruzione, come dimostrano i governi di Brasile, Cile e Bolivia”.

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Il sociologo Luis Tapia, da parte sua, assicura che “l’eccedenza derivante dalle esportazioni di commodities non è stata utilizzata nella trasformazione produttiva ma per lubrificare le reti clientelari e per aumentare il controllo politico sulla società e facilitare l’ascesa di una nuova borghesia”.

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Tapia ha fatto parte del gruppo di intellettuali che si diceva “Comuna”, e ha dunque lavorato per anni insieme all’attuale vicepresidente García Linera, dal quale mantiene una distanza tanto personale che intellettuale. Riflette su ciò che chiama “presidenzialismo coloniale”, e che consiste in “permanenti processi elettorali al fine di legittimare decisioni prese al di fuori dagli ambiti istituzionali e perfino dal paese, usando processi plebiscitari come facciata per evitare cambiamenti di governo”.

La critica più corrosiva arriva però dalla sociologa aymara Silvia Rivera Cusicanqui, un mito boliviano, tanto per gli intellettuali come per i movimenti. Ha scritto il più importante libro sulla storia sociale boliviana, “Oppressi ma non vinti”, che racconta e analizza la storia contadina aymara e quechua a partire dal 1900. Rivera è una intellettuale attivista, ed è la pensatrice boliviana considerata più autorevole dentro e fuori dal paese.

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In una lettera diffusa martedì 16, nella quale difende il voto contro la rielezione, Rivera accusa García Linera di aver ideato un’alleanza con i proprietari terrieri di Santa Cruz, ai quali avrebbe offerto di “cambiare ogni legge o decreto pur di favorirli”. Poi la lettera va ancor più lontano quando aggiunge che “riconosco in lui uno dei più arrivisti che hanno riempito il nostro cammino di infamie, indegnità e sconfitte”. Per questo la Rivera convoca le “energie della nostra coscienza ribelle e la luce degli insegnamenti indigeni e plebei della nostra storia”, per evitare che consegua la rielezione.

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Non può non colpire la reciproca mancanza di fiducia, e perfino l’odio, che esprimono tra loro i membri del governo e coloro che hanno fatto parte dello stesso progetto fino a quando non hanno cominciato a percorrere sentieri opposti. In effetti, fino al 2005 gli uni e gli altri si sono battuti insieme nelle guerre dell’acqua (2000) e del gas (2003 e 2005), in decine di cortei e azioni collettive in lungo e largo nel paese. Ora per chi sta al governo, i critici “fanno il gioco dell’imperialismo”. Per gli oppositori di sinistra, i nuovi governanti “hanno tradito l’agenda di ottobre”, una lista di propositi scritta con il sangue nelle giornate dell’ottobre del 2003, dove morirono 67 manifestanti e altri 500 furono gravemente feriti.

Un dialogo impossibile che mostra i limiti dei processi di cambiamento e delle stesse alternative di sinistra.

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Questo reportage è uscito il 18 febbraio 2016 su [url”Brecha”]http://brecha.com.uy/el-patriarca-en-problemas/[/url] con il titolo “El patriarca en problemas” ed è stato poi ripubblicato da [url”Desinformemonos”]http://desinformemonos.org.mx/[/url], dal quale Marco Calabria lo ha tradotto per Comune-info.

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[url”Link articolo”]http://comune-info.net/2016/02/lautunno-del-patriarca/[/url] © Comune-info.

Infografica: Il presidente Morales tra un leader spirituale aymara e il suo vice Garcia Linera.

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[url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.it/[/url]
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