'Matteo Salvini ''reporter'' a Bruxelles'

Regole di comunicazione: come rispondere a chi cavalca la paura.

'Matteo Salvini ''reporter'' a Bruxelles'
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23 Marzo 2016 - 17.49


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di Giovanna Cosenza

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Il fatto che ieri Matteo Salvini si trovasse a Bruxelles e stesse andando proprio verso l’aeroporto Zaventem mentre scoppiava il primo ordigno, gli ha permesso di realizzare un vero e proprio reportage personale in diretta da Bruxelles,
dal primo istante sui social media e, nelle ore successive fino a tarda
sera, in televisione. Che la comunicazione di Salvini – come quella di
altre destre in Europa e nel mondo – faccia appello alla paura per guadagnare consensi e in prospettiva, alla prima occasione elettorale, per ampliare l’elettorato,
è cosa nota su cui poco c’è da aggiungere. Le polemiche, peraltro, sono
sempre le stesse: da un lato, gli avversari lo accusano di sciacallaggio e strumentalizzazione delle tragedie, d’altra parte lui accusa gli avversari di buonismo e incapacità nell’impedire che le tragedie si ripetano.

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Ora, mentre la posizione di Salvini è molto chiara e, come tale, facile da comunicare – il fatto che accogliamo migranti musulmani è causa unica e semplice del fatto che questi ci ammazzino, noi continuiamo ad accoglierli, dunque loro continuano ad ammazzarci – la posizione degli avversari è sempre troppo complessa e articolata per poter essere comunicata in modo efficace: che gli autori degli attentati siano migranti musulmani non
implica che tutti i migranti musulmani siano potenziali attentatori,
bisogna distinguere fra religione islamica e integralismo islamico,
bisogna continuare ad accogliere chi varca i nostri confini per fuggire
da guerre e persecuzioni
, e così via. Troppe sfumature, troppi
distinguo da un lato, grande nettezza dall’altro: ovvio che Salvini ha
la meglio, altrettanto ovvio che in prospettiva, se le tragedie
continueranno a essere frequenti, alla prima occasione elettorale la
Lega potrebbe guadagnare un consenso in passato impensabile.

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Che fare dunque? Come contrastare la
comunicazione di chi cavalca la paura quando la paura cresce? La
risposta a queste domande non si esaurisce in poche righe, ma implica un
lavoro di comunicazione strategica attento, coerente e
curato nei dettagli. Mi limito a un paio di annotazioni, che dovrebbero
stare alla base di qualunque strategia di comunicazione seria:

(1) Inutile accusare chi strumentalizza
una tragedia di strumentalizzare la tragedia, appunto: se rispondi a
una strumentalizzazione (o anche solo la menzioni), non solo scendi allo
stesso livello e finisci tu stesso per strumentalizzare la tragedia, ma
dai centralità a ciò che vorresti tenere ai margini, ti metti al traino
dell’avversario invece di guidare la comunicazione. Uno a zero a favore
del primo che ha strumentalizzato.

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(2) Inutile negare la paura. Inutile dire, in un momento di grande tensione collettiva
come quello che segue un attentato terroristico, che non bisogna avere
paura o che la paura va scacciata. La paura c’è, è inevitabile, e c’è da
parte di tutti, anche di chi dice che non ce l’ha. L’unica strada è
anzitutto riconoscerla (“capisco che abbiate paura…”, “tutti abbiamo paura in questi casi…”, “io stesso/a ho paura…”), quindi convogliarla, incanalarla verso azioni positive e costruttive,
per evitare che si trasformi in panico o altre forme di irrazionalità,
come quella di credere che tutti i musulmani siano potenziali
attentatori (“stiamo lavorando affinché questo non debba più
succedere…”, “potete contribuire alle operazioni di soccorso…”, “potete
segnalare individui o gruppi sospetti al numero…”).

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D’altro canto, che la paura sia inevitabile
dopo un attentato terroristico è dimostrato dallo stesso Salvini:
proprio lui che cavalca la paura si fa fotografare con la scritta #iononhopaura.
Nega la paura ma le dà la centralità che merita in una comunicazione
basata sulla paura. Astuto Salvini. Meno astuto chi gli risponde.

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