Il convento passa minestra con le fave, non gli si può chiedere quello che non ha. Ci si può solo sbizzarrire nella infinite varianti della preparazione di fave con cipolla, fave con patate, fave con pomodoro. E coì via favando.
Tali gastronomiche considerazioni vengono alla mente guardando uno dei tanti (uno qualunque) talk show serali, de La7 o della RAI (di quelli proposti da Mediaset meglio tacere…). Il volo basso, decisamente basso, cui è costretto il dibattito è disarmante: mai una volta i temi vengono offerti ad un approccio profondo, ad uno sguardo che vada oltre il dato dell’attualità , della curiosità sondaggistica, della trepidazione elettoralistica. I pochi sparuti casi (dei quali va dato atto alla Gruber e a Paragone) di “ospitate†intelligenti sono come divorati dal contenitore ospitante, a riprova, più di 60 anni dopo, che Marshall McLuhan aveva ragione nel ritenere che il medium fosse il messaggio.
Un caso emblematico è quello che riguarda Cacciari, frequentemente chiamato in causa a Otto e mezzo. La curiosità è quella che l’ex sindaco di Venezia viene presentato come filosofo, e certamente Cacciari lo è (o lo è stato), ma niente di quello che dice è riconducibile alle sue competenze professionali, alla specifica prospettiva disciplinare di cui dovrebbe essere portavoce, riducendosi quasi sempre in un nervoso, livoroso, impaziente chiacchiericcio segnato dall’orizzonte angusto dei tecnicismi della politica.
Certo, Cacciari fa quello che gli si chiede di fare. E l’irascibilità che spesso esprime potrebbe significare proprio l’asfissia intellettuale che gli procura interagire con gente a lui non propriamente congeniale. Poi però bisogna anche chiedersi: cosa può sembrare irrinunciabile a un filosofo che ha scritto Krisis (per dire…) di un invito a un talk show in cui si parla, una volta su due, di Renzi e dei suoi tweet, di Renzi e delle sue ministre, di Renzi e delle sue genialate mediatiche. E così via renzando.
La visibilità . La visibilità . Il mio regno per la visibilità . (Richie III Cunningham).
Il massimo della perversione si raggiunge tuttavia quando il conduttore si concede il lusso di chiamare in trasmissione l’oscuro, serioso, per nulla charming esperto di un settore (che sia un sociologo, o un antropologo, o un esperto dei processi comunicativi), magari con un bell’incarico presso una prestigiosa università europea. Tutto a quel punto farebbe presagire interessanti sviluppi del dibattito, una sparuta occasione di crescita culturale per lo spettatore.
Ed ecco che arriva puntuale il contrappasso mediatico, il gesto riparatorio, il tocco riequilibrante: gli si affianca la Santanchè, che puntualmente risolve la faccenda attaccando a muso duro l’esperto medesimo con i suoi gargarismi cerebrali da elettroshock andato male.
L’ennesima occasione perduta si trasforma in una ghiotta intercettazione dell’audience. Le interviste (sia pure polemiche) a Pier Paolo Pasolini della RAI dei primi anni ’70 restano un lontanissimo ricordo.
La macchina del tempo. Il mio regno per una macchina del tempo.
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