USEXIT?

Il candidato repubblicano Donald Trump sembra prefigurare un meccanismo simile alla Brexit: un riposizionamento degli USA rispetto ai troppi campi su cui si estendono

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22 Luglio 2016 - 05.24


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di Pierluigi Fagan.

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In tempi di forti e radicali discontinuità, le idee migliori si trovano nei posti più impensati. 

Michael Moore (http://www.commondreams.org/…/sorry-buzzkill-michael-moore-…), che non possiamo definire un fine ed affermato analista ma forse solo una persona politicamente intuitiva, azzarda un paragone tra Donald Trump e la Brexit, dicendo che come nella seconda ha prevalso la media Inghilterra, il primo potrebbe basare il suo prossimo, eventuale, successo sulla “cintura della ruggine”, i quattro stati industriali nord-occidentali degli USA, che più hanno pagato la riconversione economica dalla manifattura alla banco-finanza.

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Il paragone con la Brexit è anche di significato più ampio. 

Le uscite di Trump sulla NATO e l’eventuale nuova postura dell’America nelle relazioni internazionali, dicono che il candidato repubblicano mostra effettivamente un sano realismo.

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Non è più tempo di deliri imperiali, il mondo sta diventando troppo complesso per esser dominato da un solo attore, tocca prenderne atto: la multipolarità è un fatto oggettivo ed incontrastabile

Ognuno quindi si metta in proprio e giochi la sua partita libero da articolati e macchinosi intruppamenti in meta-sistemi dalla dubbia efficienza ed efficacia (UE, NATO).


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Dovendo allora allocare risorse sempre più scarse in impieghi tra loro alternativi, tocca tornare ad occuparsi del sistema interno, della struttura e della forza intrinseca del sistema USA. Da qui, le bordate a Wall Street che macina profitti ma condivisi da pochissimi (e i pochissimi, così come si è verificato per la Brexit, controllano l’informazione ma alla fine valgono pochi voti), l’over-stretching imperiale in cui gli USA si assumono i costi di difesa per tutti traendone vantaggi che saranno sempre più relativi nel nuovo mondo complesso (mentre i costi saranno sempre più assoluti), il ventilato neo-protezionismo che sarà la conseguenza logica del rimbalzo dallo shock da “globalizzazione deficiente” (ci si riferisce al titolo italiano del libro di Dani Rodrik, La Globalizzazione Intelligente – Laterza – 2011) e il ripudio di quei trattati di libero scambio che in cambio di estensione e rinforzo del’egemonia geopolitica, potenziano solo le economie ancelle a scapito di quella americana (a parte poche multinazionali con fiscalità off-shore).

Tenuto conto dell’indissolubile legame che lega Hillary Clinton alla tradizionale élite guerrafondaia–globalista–banco/finanziaria, il posizionamento social-nazionalista di Trump non solo appare intelligente (in termini di logica politica) ma, come dice lo stesso Moore, potenzialmente molto competitivo. 

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Trump forse capisce poco di politica ma di marketing ne capisce senz”altro più della Clinton.



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