Due o tre cose turche viste da me/3

'Terza parte del reportage della scrittrice Michela Murgia dall''Istanbul del dopo golpe. Voci e volti di donne da un paese segnato da stridenti differenze'

Due o tre cose turche viste da me/3
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23 Luglio 2016 - 20.00


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di Michela
Murgia
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Sono le dieci di sera quando Fatma – la
chiamerò così per un mio scrupolo – entra nel luogo del nostro appuntamento,
stretta in un corto chemisier di seta di ottima fattura e con una magnifica
cascata di capelli chiari che lascia sciolti sulle spalle a dispetto del caldo
e del vento. Ha una spada di legno al fianco.

“Me l’hanno data al workshop da dove sto
venendo”, mi spiega sorridendo. 

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L”orario così tardo l”ha fissato lei e non ne
sono sorpresa: è già capitato che qualcuno ci proponesse con disinvoltura un
incontro in seconda serata. Istanbul è una città che vive molto col buio, le
strade della movida sono frequentate fino alle due del mattino e nei locali
ancora a quest”ora si fa fatica a trovare un tavolo.

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Hazzo Pulo Passage

Fatma si muove per Beyoğlu con sicurezza;
vuole portarci a bere il raki, l”alcolico tipico, una specie di sambuca che si
beve annacquata, e cerca un posto specifico, dove quando arriviamo il
proprietario la saluta con familiarità.

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L”ho conosciuta qui a maggio durante un
festival letterario e sono curiosa di sapere come legge la situazione turca una
donna giovane (ha trentaquattro anni), laica, divorziata e militante in diverse
associazioni femministe.

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Mappa della zona in
cui ci troviamo.

Comincia col dirmi che quando cӏ stato il
tentato golpe lei si trovava in Polonia per lavoro ed è riuscita a tornare in
Turchia solo quattro giorno dopo.

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“Ho percepito subito la differenza di clima.
Ho visto manifestazioni di gente che sembrava ipnotizzata e gridava cori
all”unisono come obbedendo a un comando. In quelle folle ho provato a cercare
con alcuni il contatto visivo, ma ne sono rimasta sconcertata: sembravano
automi, quasi non riconoscessero il mio essere umana. Le folle urlanti mi
spaventano. Nelle strade poi c”è una quantità di bandiere turche mai vista. Qui
siamo molto nazionalisti, per noi la bandiera è un culto, ma adesso significa
qualcosa di diverso: vuol dire sostegno a Erdoğan. Nel modo in cui la stanno
usando non è più la bandiera di tutti. È successa la stessa cosa per piazza
Taksim. Prima era la piazza della resistenza, dei moti di dissenso, adesso
invece ha cambiato segno: è sempre presidiata dai supporters del presidente.”

Le chiedo se in città si sente al sicuro col
suo abbigliamento e il suo modo di essere.

“Dipende. Ci sono posti della città, come
Beyoğlu, Fatih o la mia zona dove mi sento protetta e posso camminare nelle
strade da sola vestita come voglio. Ma ci sono altri posti della città, in
particolare nell”area anatolica e nel quartiere aeroportuale, dove sono molto
tradizionalisti: lì ho paura ad andare. I fondamentalisti islamici adesso si
sentono indubbiamente più forti e quello che ieri pensavano e basta, oggi
potrebbero anche provare a farlo. Per questo mi sono resa conto che sto più
attenta ovunque, in generale. È questione di prudenza.”

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Mamma con bambino e
poliziotto. Foto ricordo.

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Fatma non viene da una famiglia religiosa ed
è venuta a vivere a Istanbul per studiare economia.

Una volta qui però ha cambiato idea e ha
preferito studi d”arte – soprattutto cinema – e comunicazione. Oggi lavora come
consulente di comunicazione nel turismo e ogni tanto recita in qualche fiction.
Le piacciono la musica, il teatro e la letteratura.

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“A Erdoğan non importa niente dell”arte.
Credo sia per via della sua formazione religiosa tradizionalista e della sua
scarsa cultura, ma non la capisce, non è nelle sue priorità, non ne vede il
senso. In questi giorni di disordini ha dato ordine di sospendere molte
attività culturali programmate, in parte perché è difficile garantirne la
sicurezza e in parte perché le strade e le piazze ora sono occupate da
manifestazioni politiche, che per lui sono certamente più importanti.”

È fidanzata e il suo compagno è molto
preoccupato della situazione: vorrebbe andarsene dalla Turchia, come molti loro
amici stanno già facendo, ma lei non sente lo stesso bisogno.

“Ti sembrerà naif, ma io mi considero una
persona buona e questo mi fa sperare che mi succedano cose buone. Sono
ottimista, credo che la situazione possa migliorare, ma forse dipende dal fatto
che io ho il mio ‘inner corner’, il
mio rifugio protetto nel teatro e nella musica, nelle cose che amo e che ancora
mi legano a questo posto. I miei amici invece stanno partendo per gli Stati
Uniti, per l”Inghilterra e per la Grecia, ciascuno dove ha le sue reti di
relazione.”

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Giovanissime donne
turche all”ingresso della moschea di Sultanahmet

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Parliamo della condizione della donna in
Turchia e lei me ne rivela tutte le contraddizioni.

“La legge formalmente ci protegge, ma ci sono
dichiarazioni dei membri del governo che di quando in quando ci fanno temere
che tutto quello che abbiamo conquistato sia in realtà molto fragile e che la
volontà governativa di proteggerlo sia sempre più debole. Lo stesso Erdoğan ha
detto più volte di non credere all”uguaglianza lavorativa tra donne e uomini e
cӏ stato un parlamentare che in un incontro con le associazioni femministe ha
detto che se dipendesse da lui le donne non dovrebbero neppure ridere in pubblico.
Ti immagini se il potere politico di quella parte del parlamento aumentasse
fino a impedirci una risata per la strada?”

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Non cӏ bisogno di immaginare quello che in
altri paesi è già successo, ma le chiedo se veramente crede che la società
turca si farebbe imporre un arretramento simile nei diritti e nelle libertà
civili.

“Tutto può accadere. Cinque anni fa ti avrei
detto di no, ma oggi non saprei cosa rispondere. Non so più dirti cosa in
Turchia è pericoloso e cosa non lo è. Lo spirito di Gezi park sembra
volatilizzato, chi ieri aveva coraggio oggi ha paura, ciascuno protegge solo il
proprio recinto, non è facile immaginare alternative.”


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Giovane madre col suo bambino.

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E Fetullah Gülen, il tycoon che Erdoğan
accusa di essere il burattinaio occulto del golpe?

“Non so se lo sia, ma di certo potrebbe
esserlo. Gülen è un uomo straordinariamente potente in Turchia, ha moltissimi
seguaci e le sue università sono il luogo in cui in questi anni ha costruito
non solo la formazione degli studenti, ma anche il suo consenso. Non so se
questo abbia determinato un pericolo per la stabilità della Turchia, ma
certamente è un”anomalia democratica avere un simile centro di potere parallelo
in un paese che deve già affrontare tanti problemi. La povertà, prima di tutto.
Nelle zone rurali mancano anche i servizi di base e gli ospedali.”

Le dico che la Turchia nel 2016 ha previsioni
di crescita economica del +5,7%  – per
capire la proporzione, il tasso di crescita nell”eurozona viaggia intorno
all”1,5% – e anche se gli attentati e il golpe stanno dando un colpo mortale al
turismo, quella percentuale di sviluppo da qualche parte starà pur andando a
finire.

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“Non alla povera gente. La quantità di
persone che nelle zone interne vive sotto la soglia di povertà è enorme.”

È mezzanotte passata e da un taxi vediamo
scendere una famiglia – padre, madre e due bambini – con una fascia rossa con
la mezzaluna e la stella legata sulla fronte; stanno andando in via Istiklal a
gridare slogan per Erdoğan. Non degnano di uno sguardo il locale in cui siamo
seduti, un ristorante dove ci sono quasi esclusivamente tavoli occupati da
donne. Neppure una di loro porta il velo e molte hanno i capelli tinti, fumano
e bevono raki e birra.

Sembra impossibile che un simile livello di
diversità sociale possa essere messo a rischio senza resistenza. Fatma ha un
moto d”orgoglio e di ironia: estrae dalla borsa la spada di legno e mi dice
solenne: “Ci difenderemo, sorella!”

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Ridiamo forte e molti si girano a guardarci.

“Stiamo ridendo”, le dico.

“Sì, stiamo ridendo.” – risponde – “E non
smetteremo facilmente.”

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Da Istanbul per ora è tutto.


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Ragazza turca con maglietta di Kill Bill all”ingresso del ponte Galata.


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