Goro: non parliamo più di razzismo

La verità è che Goro rappresenta in un certo senso la condizione odierna del Paese. [Giacomo Giglio]

Goro: non parliamo più di razzismo
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28 Ottobre 2016 - 15.42


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di Giacomo Giglio

La vicenda riguardante Goro – un piccolo paese in provincia di Ferrara dove una parte degli abitanti ha eretto delle “barricate” anti-migranti – ha fatto registrare una grande attenzione mediatica e ha attirato migliaia di commenti, sia da parte dei detrattori che degli “entusiasti”.

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Ancora una volta, la nazione ha trovato un qualcosa su cui dividersi: vecchio retaggio della nostra penisola, la divisione in due o più fazioni fa parte del Dna patrio sin dai tempi del “sommo poeta” Dante Alighieri. Goro è quindi diventata una sorta di “Stalingrado” assediata dai barbari (nel racconto degli oppositori all’immigrazione), mentre per altri è assurta a simbolo turpe del razzismo e della paura del diverso.

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La verità è che Goro rappresenta in un certo senso la condizione odierna del Paese: viviamo in un panorama sociale sfilacciato, immalinconito, demograficamente brullo e con scarse prospettive di miglioramento. In un contesto di depressione generalizzata, l’arrivo di centinaia di migliaia di “intrusi” – venuti da lande lontane in cui abbondano guerre o povertà secolari – non può che portare a gravi ripercussioni sociali.

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I costi della “filiera” dell’accoglienza, pur essendo non insormontabili a livello assoluto (si parla all’incirca di 3 miliardi di euro, lo 0,2% del Pil), diventano una sorta di “fumo negli occhi” per i milioni di italiani impoveriti dalla crisi: bollare questo legittimo sentimento di “ingiustizia” come razzismo sarebbe la migliore via per dare fuoco alle polveri del vero razzismo.

L’Italia sta sostenendo (quasi da sola) il peso dell’accoglienza di una variegata umanità disperata e alla ricerca di una vita: ciò è indubbiamente encomiabile, ma non può diventare un altare a cui sacrificare ogni concetto di buonsenso. Se il potere politico non troverà urgentemente una soluzione chiara al problema – che sia concertata bene a livello europeo, se ciò può essere ancora possibile (vista la ritrosia dei paesi dell’Est ad accogliere anche solo poche centinaia di migranti) – le tensioni tra “indigeni” e migranti diventeranno inevitabili e sempre più preoccupanti.

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(28 ottobre 2016)

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