Il No tombale per la sinistra italiana

Abbiamo scelto convintamente la battaglia per il NO. Ma riteniamo di dover tener conto anche di punti di vista diversi. Come questo.

Il No tombale per la sinistra italiana
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5 Dicembre 2016 - 06.19


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Come
Megachip al Referendum Costituzionale abbiamo scelto convintamente la battaglia
per il NO. Ma riteniamo di dover tener conto anche di punti di vista diversi
che ci interrogano, come questo di Alessandro Cisilin. Buona lettura.

di Alessandro Cisilin.

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C”era
una volta la sinistra italiana,
quella ammirata dalle sinistre di tutto il mondo, che senza troppi giri di
parole si occupava di temi oramai fuori moda quali la riduzione delle diseguaglianze o la sostanza di un sistema di welfare che, dalla scuola
alla sanità, riuscisse a raggiungere anche i più deboli. Contrordine, compagni,
oggi, nel pieno di un impoverimento di massa, la sfida è la difesa del
bicameralismo perfetto e delle sperequazioni regionali alimentate dalle
gloriose riformette in salsa leghista degli ultimi vent”anni.

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E
questa sinistra oggi festeggia. In effetti il dato va preso sul serio, perché
in quel 60% non ci sono solo Grillo, Salvini, Berlusconi e gli immediati
riconoscimenti internazionali da leader del calibro di Le Pen e Farage. No,
qualche punticino va senz”altro riconosciuto anche alla mobilitazione della
sinistra del Pd e dei gruppuscoli che faticosamente sono alla nobile ricerca di
un percorso unitario – ricerca frustrata anche alle ultime europee, quando
all”indomani del buon risultato della “lista Tsipras” gli eletti hanno subito
trovato pretesti per litigare tra loro e prendere anche materialmente le
distanze dal movimento spontaneo che li aveva condotti a Bruxelles.

Beninteso,
il “nostro NO”, scriveva la lettera di “Sinistra Italiana”, non va
confuso con quello degli altri, è “sul merito”. Si lamentava un “Parlamento
asservito al Governo
”, notando la nuova previsione di “corsie
preferenziali
” per l”esecutivo. Obiezione legittima, che peraltro, nella
peggiore delle ipotesi avrebbe fotografato l”esistente, mentre nella migliore
avrebbe restituito un minimo di agilità a uno dei parlamenti più deboli al
mondo, come documentano gli oltre 60 voti di fiducia imposti alle assemblee
solo dall”esecutivo Renzi. Si denunciava poi un Senato non elettivo, ossia
eletto indirettamente in ambito locale, come avviene in altre democrazie
europee. E su questo si echeggiava perfino una priorità governativa, quella
della “stabilità”, lamentando “la creazione di un Senato la cui
composizione è destinata a variare costantemente ad ogni elezione regionale o
comunale
”. Roba da far tremare i polsi.

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Ironie
a parte, perfino gli estensori del documento erano consapevoli della scarsa
consistenza della posta in palio
, tanto da dover scovare un argomento
ulteriore, ritenuto dirimente: “C’è un elemento che più di altri compromette
la qualità della nostra democrazia: il nuovo articolo 117 C ridisegna le
competenze dello Stato e delle Regioni attribuendo molti poteri allo Stato
”.
Ah sì? Questa è davvero una notizia: la sinistra radicale è diventata paladina
suprema del federalismo, che in Italia ha fin qui aggravato le differenze
reddituali tra regioni e costruito una ventina di Servizi Sanitari riportando
la speranza di vita nel Mezzogiorno verso i livelli dell”immediato dopoguerra.

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Quella
riforma era opinabile, s”intende, con difetti di “profondità e chiarezza” come
ha riconosciuto un elettore del SÌ come Romano Prodi, e trattandosi di testi
costituzionali non sono peccati veniali. Ma aver collocato per mesi al centro
del proprio furore e campagne politiche il testo pur discutibile di una
riformetta che agiva su alcuni nodi prettamente organizzativi della macchina
statale (che non lambivano la prima parte della nostra bellissima Costituzione,
quella ritenuta intoccabile dai costituenti stessi) è una scelta politica di
per sé, ed è quella di aver fatto propria (seppur da posizioni opposte)
l”agenda governativa delle priorità, oltre che quella di tanta stampa nazionale
e internazionale.

E
si tratta di una scelta talmente dirimente che già i leader e leaderini
annunciano: “Uniremo la sinistra del NO”. In quel NO, quindi, c”è la
nuova identità. Chi si batte quotidianamente per stare dalla parte dei deboli e
magari non vedeva alcun riscatto proletario in quel “NO” è avvisato: “siete
fuori, non capite neppure la lungimiranza politica del trionfo referendario
”,
si dice. La prospettiva è in effetti succosa, dalla sostituzione di Renzi con
Padoan o simili
al boom di consensi per partiti quali la Lega (già prodiga di
espliciti ringraziamenti a Sel e sindacati), da imperdibili rese dei conti e
possibili spaccature nel Pd a prospettive incalzanti di ricostruzione di un
partito “di massa” capace di superare addirittura lo zoccolo duro del 3%,
sebbene si sia tuttora spaccati su temi di massimo rilievo quali il quesito se
dialogare o meno con la sinistra Dem.

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Nota
di colore a margine: nei giorni scorsi, conversando prima con un imprenditore
connazionale all”estero e poi con un leader socialista straniero (ambedue
nell”anonimato), mi hanno entrambi apostrofato con l”identico concetto: “In
Italia state litigando su sciocchezze lasciando così che vi camminino sopra la
testa sui temi importanti
”.

Tuttavia,
in fondo a sinistra, per un giorno si è contenti, e come sempre con la
coscienza a posto.

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